Il giudizio immediato: gli orientamenti interpretativi di legittimità (Vincenzo Giglio)

Il giudizio immediato in generale e la legittimità costituzionale di quello custodiale

Cassazione penale, Sez. 3^, sentenza n. 26948/2022, 8 marzo/13 luglio 2022 si è soffermata sulle caratteristiche generali del giudizio immediato.

L’ordinamento conosce due tipi di giudizio immediato: quello c.d. “ordinario”, instaurato a domanda del PM (art. 453, comma 1 cod. proc. pen.), entro novanta giorni decorrenti dalla iscrizione della notizia di reato nel registro ex art. 335 cod. proc. pen., oppure su richiesta dell’imputato (art. 453, comma 2, cod. proc. pen.); quello c.d. “cautelare” (o custodiale) – inserito nell’ordinamento con decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92, convertito dalla legge 24 luglio 2008, n. 125 – che può essere chiesto dal PM, nell’ipotesi in cui per il reato oggetto della domanda l’indagato si trovi in stato di custodia cautelare, anche fuori dai termini fissati dall’art. 454 cod. proc. pen. e, comunque, entro centottanta giorni, decorrenti dalla esecuzione della misura.

A differenza degli altri riti speciali, connotati dall’unicità del modello procedimentale, quello immediato si caratterizza per la poliedricità strutturale conseguente all’ampliamento dell’originaria previsione normativa, costituente l’archetipo, mediante l’aggiunta del c.d. rito immediato custodiale che con il primo condivide l’assenza dell’udienza preliminare, in coerenza con le peculiari esigenze di speditezza e di risparmio di risorse processuali che contraddistinguono questo giudizio alternativo (Corte cost., ordinanze nn. 256 del 2003 e 371 del 2002).

I vari presupposti del rito sono riconducibili o alla tutela dell’obbligo dell’azione penale e della correlativa necessaria completezza delle indagini oppure al piano delle garanzie difensive. Rientra nel primo ambito la possibilità di non instaurazione del rito in presenza di un grave pregiudizio per le indagini. Sono, invece, riconducibili al secondo aspetto, quanto al giudizio immediato ordinario, l’evidenza della prova, l’obbligo di preventivo interrogatorio o, comunque, in sua assenza, di regolare notificazione dell’avviso a presentarsi emesso secondo le forme indicate dall’art. 375 cod. proc. pen., il divieto di esperimento nei confronti degli irreperibili; quanto al c.d. giudizio immediato custodiale, disciplinato dall’art. 453, comma 1-bis, cod. proc. pen., il perdurante stato di custodia cautelare della persona sottoposta alle indagini dopo la definizione della procedura di riesame o il decorso dei termini per proporre la richiesta di riesame, l’omessa revoca o annullamento della misura per insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza (cfr., complessivamente, Sez. U, n. 42979 del 26/06/2014, Squicciarino, Rv. 260017).

Ciò posto, quanto alla legittimità costituzionale del giudizio immediato cd. custodiale (anche a prescindere dalla non chiara rilevanza che siffatta questione avrebbe concretamente nel giudizio, nel quale l’imputato ha infine richiesto l’ammissione al rito abbreviato e non allega doglianza di sorta in relazione allo status detentionis), è stato invero ripetutamente ribadito dalla Corte costituzionale (quantunque in tema di giudizio immediato tout court, v. in fra) che “per quanto concerne le censure che attengono alla disparità di trattamento, tenuto conto della struttura del processo penale, caratterizzato dalla presenza di una pluralità di riti alternativi che mirano, attraverso la semplificazione dei meccanismi e l’abbreviazione dei tempi del procedimento, a pervenire ad una più rapida conclusione della vicenda processuale, è ragionevole che le forme di esercizio del diritto di difesa siano modulate in funzione delle caratteristiche dei singoli procedimenti speciali (v., ex plurimis, sentenze n. 344 del 1991 e n. 16 del 1970, nonché ordinanze n. 326 del 1999 e n. 432 del 1998); che, in particolare, in tema di giudizio immediato la brevità del termine, giustificata dall’evidenza della prova, entro cui il PM deve presentare, ex art. 454, comma 1, cod. proc. pen., la relativa richiesta, comporta la necessità di anticipare le attività difensive volte ad evitare il rinvio a giudizio prima della conclusione delle indagini, e cioè a partire dal momento in cui, grazie all’interrogatorio, alla persona sottoposta alle indagini sono stati contestati i fatti dai quali emerge l’evidenza della prova; che l’estensione al giudizio immediato delle modalità di esercizio del diritto di difesa previste dall’art. 415-bis cod. proc. pen. si porrebbe in antinomia con i presupposti che giustificano la costruzione di questo rito secondo criteri di massima celerità e semplificazione, senza il filtro dell’udienza preliminare, analogamente agli altri procedimenti speciali – giudizio direttissimo e decreto penale di condanna – nei quali, per ragioni diverse, non è previsto l’avviso di conclusione delle indagini” (così, in motivazione, Corte cost. n. 203 del 2002).

In coerenza e completamento, è stato recentemente osservato – in tema di prospettata incompatibilità tra GIP che ha emesso la misura e GIP che ammette il giudizio immediato – che le due ricordate ipotesi di giudizio immediato, quello previsto dal comma 1 e quello previsto dal comma 1-bis, fondano l’attivazione del rito su presupposti nominalmente differenti: l’evidenza della prova l’una; la gravità indiziaria, da cui discende il titolo custodiale, l’altra.

Dal combinato disposto dell’art. 453 comma 1-bis cod. proc. pen., e dell’art. 455, comma 1-bis, cod. proc. pen., emerge che il legislatore ha privato il giudice di qualsiasi controllo sulla richiesta di giudizio immediato a seguito di misura cautelare.

Il GIP è vincolato ad accogliere la richiesta di giudizio immediato per il reato o per i reati per i quali l’indagato si trovi in stato di detenzione sulla base di un’ordinanza definitiva, a meno che, nel periodo compreso tra la richiesta e la decisione del giudice, l’ordinanza non sia stata revocata o annullata per insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza.

L’assenza di un ambito valutativo autonomo al riguardo è già stato evidenziato da precedenti di legittimità (Sez. 2, n. 15578 del 13/12/2012, dep. 2013, Rv. 255790), che hanno qualificato come abnorme (Sez. 6, n. 7912 del 20/01/2011, Rv. 249476) una decisione di rigetto del decreto di giudizio immediato ove persista la misura restrittiva, per la ritenuta carenza di evidenza della prova. In detta situazione, in cui si è pervenuti al giudizio immediato a seguito dell’emissione del provvedimento di custodia cautelare, ai sensi dell’art. 453 comma 1-bis cit., è quindi preclusa al GIP qualsiasi valutazione, anche riferita all’evidenza delle prova, derivando questa ipso iure dalla riconosciuta esistenza dei gravi indizi a sostegno della misura, e sempre che tale condizione non sia esclusa da circostanze sopravvenute all’emissione del provvedimento restrittivo.

La specialità dell’ipotesi di cui al comma 1-bis si desume in primo luogo dalla specialità della ratio, che non è solo quella di accelerare i tempi nei procedimenti nei quali il quadro probatorio sia talmente definito da ritenere che il contraddittorio tra le parti non possa condurre alla pronuncia di una sentenza di non luogo a procedere nell’udienza preliminare, ma anche di imporre al PM di completare celermente le indagini nei casi in cui l’indagato sia in stato di custodia cautelare.

Deve aggiungersi che la citazione a giudizio immediato disposta ai sensi del comma 1-bis presuppone il controllo del giudice sulla gravità indiziaria nel procedimento di cui all’art. 309 cod. proc. pen. ovvero l’acquiescenza dell’indagato con il decorso dei termini per la proposizione della richiesta di riesame: ipotesi che prevede obbligatoriamente che l’indagato possa instaurare un effettivo contraddittorio.

Che la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza, passata al vaglio del contraddittorio, sia sufficiente, di per sé, a fondare la obbligatoria richiesta di giudizio immediato non può certo ritenersi «irragionevolmente discriminatorio e al tempo stesso gravemente lesivo del diritto di difesa» (così, in motivazione, Sez. 2, n. 48591 del 01/10/2019, Rv. 277931; cfr. anche Sez. 6, n. 49288 del 28/10/2015, Rv. 265742; cfr. anche, quanto ai poteri comunque spettanti al GIP, Sez. 5, n. 31974 del 13/03/2019, Rv. 277248).

In definitiva, quindi, va ribadita la manifesta infondatezza della questione proprio in ragione del necessario diverso articolarsi delle difese in conseguenza dei differenti riti processuali e, conseguentemente, dei differenti presupposti di ciascun rito. Laddove, in ogni caso, sussiste ragionevole tutela del contraddittorio sia pure nel quadro della celerità e della semplificazione che detti riti speciali perseguono in conseguenza di una facilitata situazione sostanziale.

Il giudizio immediato custodiale: legittimità della richiesta di ammissione fatta dal PM dopo la pronuncia del Tribunale del riesame ma prima della definitività del titolo cautelare

Cassazione penale, Sez. 1^, sentenza n. 10332/2021, 23 ottobre 2020, 17 marzo 2021 ha premesso cheil ricorrente nell’assumere che l’indirizzo ermeneutico seguito dalla Corte di assise di appello in ordine alla ritualità dell’emissione di decreto di giudizio immediato prima che la decisione del tribunale del riesame sia divenuta definitiva conviva, nella quotidiana prassi applicativa, con altro, di segno opposto, che, al contrario, postula che l’esercizio dell’azione penale sia, in tali casi, preceduto dall’esaurimento di tutte le impugnazioni ordinarie — ivi compreso, dunque, il ricorso per cassazione previsto dall’art. 311 cod. proc. pen. — avverso il titolo genetico della misura cautelare.

Se, invero, all’indomani dell’introduzione dell’istituto del giudizio immediato c.d. «custodiale» non erano mancate, nella giurisprudenza di legittimità, voci sintoniche con l’interpretazione propugnata dal ricorrente (in questo senso, ad esempio, si era espressa Sez. 3, n. 14341 del 11/03/2010, Rv. 246610), la Corte di cassazione ha successivamente optato per l’opposto indirizzo che, affermatosi, a partire dal 2010 (Sez. 1, n. 42305 del 11/11/2010, Rv. 249023), attraverso una serie di decisioni costanti, si è ormai definitivamente stabilizzato (ex plurimis, val la pena di segnalare, tra le sentenze massimate, Sez. 6, n. 47722 del 06/10/2015, Rv. 265877, e, tra le più recenti, Sez. 3, n. 40774 del 06/06/2019, non massimata, e Sez. 1, n. 55022 del 07/03/2017, non massimata).

Non ricorrono, dunque, le condizioni per investire le Sezioni unite, iniziativa che il ricorrente sollecita indicando, probabilmente per un mero refuso, una sentenza della prima sezione (la n. 23549 del 04/02/2015) in realtà inesistente, e la sentenza n. 49821 del 10/05/2016, nella quale la questione non è stata espressamente affrontata.

La Corte territoriale ha, dunque, fatto corretta applicazione del condivisibile principio per cui la richiesta di giudizio immediato nei confronti dell’imputato in stato di custodia cautelare può essere legittimamente presentata dal PM dopo la conclusione del procedimento dinanzi al tribunale del riesame e prima ancora che la decisione sia divenuta definitiva.

In questo senso depongono, infatti, la lettera e la ratio della norma contenuta nel comma 1-ter dell’art. 453 del codice di rito, che stabilisce che la richiesta di giudizio immediato è formulata dal PM «dopo la definizione del procedimento di cui all’articolo 309, ovvero dopo il decorso dei termini per la proposizione della richiesta di riesame», senza alcun richiamo all’art. 311 cod. proc. pen., assolvendo così una funzione acceleratoria della definizione dei giudizi di merito riguardanti imputati detenuti, che sarebbe frustrata dalla necessità di attendere l’esito dell’impugnazione cautelare di legittimità proposta avverso il provvedimento che definisce la fase di riesame (e degli eventuali giudizi rescissori che ne dovessero conseguire).

Parimenti infondata è l’ulteriore doglianza di natura processuale, incentrata sulla prosecuzione dell’attività di indagine in epoca successiva all’emissione del decreto di giudizio immediato.

La giurisprudenza di legittimità è, al riguardo, ferma nel ritenere che «Non vi è alcuna incompatibilità tra l’attività integrativa di indagine, ex art. 430 cod. proc. pen., ed il giudizio immediato, considerato che, se gli elementi raccolti sono sufficienti per richiedere il giudizio immediato, il PM può determinarsi in tal senso, mentre nulla vieta di completare l’attività di indagine, ai sensi dell’art. 430 cod. proc. pen.” (Sez. 5, n. 5550 del 25/11/2015, dep. 2016, Rv. 266058) e, con specifico riferimento al giudizio immediato c.d. «custodiale», che «In tema di giudizio immediato “custodiale”, l’art. 453, comma primo-bis, cod. proc. pen. non vieta in modo assoluto lo svolgimento di ulteriori indagini dopo la scadenza del termine di 180 giorni, poiché questo riguarda le sole investigazioni dalle quali devono risultare i gravi indizi di colpevolezza idonei a giustificare la richiesta del rito speciale» (Sez. 3, n. 3122 del 22/11/2013, dep. 2014, Rv. 258380).

D’altro canto, va opportunamente aggiunto, anche diversamente opinando non potrebbe, comunque, ritenersi la nullità del decreto di giudizio immediato, atto di carattere endoprocessuale, che non incide sui diritti di difesa dell’imputato (Sez. U, n. 42979 del 26/06/2014, Squicciarino, Rv. 260018) e che può essere oggetto di ulteriore sindacato nei soli casi di mancanza dell’interrogatorio o dell’invito a presentarsi.

Manifestamente infondata si palesa, da ultimo, l’eccezione di legittimità costituzionale dell’art. 453, comma 1-bis, cod. proc. pen., per violazione degli artt. 2, 3, 13, 24, 11 e 117, primo comma (in relazione all’art. 6 CEDU), Cost., già disattesa dai giudici di merito, che il ricorrente ripropone rilevando, in buona sostanza, l’irragionevolezza della disparità di trattamento, con riferimento: alla sottrazione al rito ordinario, a detrimento dell’imputato che si trovi nelle condizioni previste dalla norma; all’incidenza sulla scansione dei termini massimi, per ciascuna fase, della custodia cautelare; alla dilatazione del tempo di applicazione del regime custodiale, con conseguente pregiudizio alle prerogative difensive.

La Corte di assise di appello ha rigettato l’eccezione, in linea con quanto già statuito dal giudice di primo grado, richiamando le plurime decisioni (ordinanze nn. 203 del 2002 e 127 del 2003) con cui la Corte costituzionale ha attestato la piena compatibilità costituzionale della normativa in materia di giudizio immediato — per evidenza della prova, in quei casi — assicurata dalla individuazione di una specifica condizione probatoria, che rende superflua la celebrazione dell’udienza preliminare, e dalla garanzia del diritto di difesa, connessa alla possibilità per l’indagato di interloquire, in sede di interrogatorio e a seguito di invito a presentarsi, con la cognizione di causa derivante dalla contestazione verbale degli elementi e delle fonti su cui si basa l’evidenza della prova, evocata dagli artt. 453 e 375, comma 3, cod. proc. pen.

Il giudice delle leggi ha, peraltro, escluso — come ricordato dalla Corte territoriale — che l’indagato sia vulnerato nelle proprie facoltà difensive, che hanno ampio modo di dispiegarsi, prima dell’esercizio dell’azione penale, anche in funzione di contestazione del requisito dell’evidenza della prova, e che la differenza di disciplina, rispetto a quella che connota il giudizio ordinario, risponde a criteri di ragionevolezza e non integra la denunciata disparità di trattamento.

La decisione impugnata è ineccepibile anche nella parte in cui mutua le valutazioni espresse dalla Corte costituzionale in relazione al giudizio immediato c.d. «custodiale», in cui lo spessore del quadro indiziario, che consente di bypassare il vaglio dell’udienza preliminare, è attestato dal riscontro, avallato dal tribunale del riesame, dei gravi indizi di colpevolezza ed il diritto di difesa trova attuazione nell’interrogatorio di garanzia ed in seguito alla proposizione delle impugnazioni cautelari.

A fronte di siffatte considerazioni, il ricorrente, oltre ad invocare il rispetto del principio di parità di trattamento, che si è detto non essere sacrificato dalla normativa de qua agitur, pone l’accento sull’incidenza che l’opzione per il rito immediato determina sullo status libertatis dell’indagato, così dimenticando, però, che la verifica della persistenza di gravi indizi di colpevolezza ed esigenze cautelari è affidata ad una diversa e parallela interlocuzione, imperniata sulla possibilità, in nulla pregiudicata dalla peculiare modalità di esercizio dell’azione penale, di sollecitare, in ogni momento, il giudice competente — a certe condizioni tenuto a provvedere anche ex officio — mediante l’attivazione di autonomi procedimenti ex artt. 299, 310 e 311 cod. proc. pen.

Del tutto infondato si rivela, pertanto, l’assunto del ricorrente secondo cui il combinato disposto degli art. 303 e 453, comma 1-bis, cod. proc. pen. «comporta l’automatico prolungamento dei termini della custodia cautelare a seguito del giudizio immediato che prescinda da un qualsiasi accertamento contenutistico, tutto facendo dipendere dallo stato di detenzione in carcere o agli arresti domiciliari dell’imputato».

Evidenza della prova: non equivale al concetto di definibilità del processo allo stato degli atti e al suo raggiungimento può concorrere l’attività integrativa di indagine del PM

Cassazione penale, Sez. 7^, ordinanza n. 25856/2025, 7/15 luglio 2025, ha affermato che gli atti di indagine acquisiti prima dell’esercizio dell’azione penale, ma non depositati dal PM contestualmente alla richiesta ex art. 454, cod. proc. pen., sono utilizzabili a condizione che, in caso di ammissione della prova che su di essi si fonda, sia garantito all’imputato, come nel caso di specie, il diritto pieno ed effettivo al contraddittorio, (Sez. 3, n. 39076 del 03/12/2021, dep. 2022, Rv. 283765-03).

Difatti, secondo la giurisprudenza di legittimità, il requisito dell’evidenza della prova, di cui all’art. 453, comma 1, cod. proc. pen., non deve essere inteso nel senso della definibilità del processo allo stato degli atti, potendo il PM procedere anche ad attività integrativa di indagine e contestazione suppletiva sulla base dei nuovi elementi emersi senza attendere gli esiti dell’istruttoria dibattimentale (fattispecie in cui la Corte ha escluso qualsiasi nullità nel caso in cui il PM, nell’intervallo di tempo tra l’emissione del decreto di giudizio immediato e l’udienza dibattimentale, aveva depositato una consulenza tecnica sulla cui base procedeva a contestare l’aggravante di cui all’art. 80 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309).

In termini anche Cassazione penale, Sez. 3^, sentenza n. 42818/2024, 26 settembre, 22 novembre 2024, secondo la quale non vi è alcuna incompatibilità tra l’attività integrativa di indagine, ex art. 430 cod. proc. pen., ed il giudizio immediato, considerato che, se gli elementi raccolti sono sufficienti per richiedere il giudizio immediato, il PM può certamente determinarsi in tal senso, ma non vi è un divieto a completare l’attività di indagine, ai sensi dell’art. 430 cod. proc. pen. (Sez. 5, n. 5550 del 25/11/2015, Rv. 266058).

Il requisito della evidenza della prova di cui all’art. 453, comma 1, cod. proc. pen., cioè, non deve essere inteso nel senso della definibilità del processo allo stato degli atti e, pertanto, non impedisce in dibattimento l’acquisizione di ulteriori prove o lo sviluppo di ulteriori approfondimenti. Con la conseguenza che ben può il PM svolgere attività integrativa di indagine anche a seguito dell’emissione del decreto che dispone il giudizio, potendo altresì procedere a contestazione suppletiva sulla base dei nuovi elementi emersi senza attendere gli esiti dell’istruttoria dibattimentale (Sez. 6, n. 3266 del 05/07/2018, dep. 2019, Rv. 275043).

Decreto che dispone il giudizio immediato: è insindacabile anche ove si constati di seguito la mancanza dell’evidenza della prova

Cassazione penale, Sez. 2^, sentenza n. 1781/2025, 15 dicembre 2024, 5 gennaio 2025, ha chiarito che Il provvedimento con cui il giudice per le indagini preliminari dispone il giudizio immediato, chiudendo una fase di carattere endoprocessuale senza conseguenze rilevanti sui diritti di difesa dell’imputato, non può essere sindacato dal giudice del dibattimento, salva l’ipotesi in cui risulti che la richiesta del rito non è stata preceduta da un valido interrogatorio o dall’invito a presentarsi, integrandosi in tal caso la violazione di una norma procedimentale concernente l’intervento dell’imputato, sanzionata con la nullità a norma degli artt. 178, comma 1, lett. c), e 180 cod. proc. pen. (Sez. U, n. 42979 del 26/06/2014, Squicciarino, Rv. 260018 – 01; Sez. 2, n. 29570 del 27/03/2019, Rv. 276731 – 01).

In particolare, la constatazione della mancanza dell’evidenza della prova non potrebbe mai condurre a una regressione del processo alla fase precedente, mentre la tardività della richiesta del PM, per la cui presentazione è previsto un termine non perentorio, non incide né sull’iniziativa nell’esercizio dell’azione penale né limita i diritti della difesa.

Si pone sulla medesima linea interpretativa Cassazione penale, Sez. 5^, sentenza n. 13081/2021, 9 marzo/7 aprile 2021, la quale richiamo un consolidato indirizzo interpretativo di legittimità il quale, muovendo dalla risoluzione del precedente conflitto ad opera della sentenza delle Sezioni unite n. 42979 del 26/06/2014, Squicciarino, (così, infatti, Sez. 3, n. 1482 del 20/09/2017, dep. 15/01/2018, Rv. 271981; Sez. 6, n. 18193 del 21/03/2018, Rv. 272986; Sez. 5, n. 4729 del 10/12/2019, dep. 04/02/2020, Rv. 278558) ha costantemente affermato che la decisione con la quale il GIP dispone il giudizio immediato non può essere oggetto di ulteriore sindacato, chiudendo, la medesima, una fase di carattere endoprocessuale, priva di conseguenze rilevanti sui diritti di difesa dell’imputato, salva l’ipotesi in cui il giudice del dibattimento rilevi che la richiesta del rito non è stata preceduta da un valido interrogatorio o dall’invito a presentarsi, integrandosi in tal caso la violazione di una norma procedimentale concernente l’intervento dell’imputato, sanzionata di nullità a norma degli artt. 178, comma primo, lett. c) e 180 cod. proc. pen., ipotesi palesemente diversa da quella riguardante il requisito dell’evidenza della prova, mantenendo, l’imputato, anche in tale forma procedimentale, tutti i diritti alla controprova, così da contrastarne la ritenuta, comunque solo allo stato, “evidenza” (potendo inoltre accedere agli ulteriori riti alternativi, il giudizio abbreviato ed il patteggiamento della pena).

Deve, inoltre, rilevarsi che, in tema di giudizio immediato, il requisito dell’evidenza probatoria deve essere valutato in relazione al quadro conoscitivo disponibile nel momento in cui il PM ha compiuto la sua scelta processuale (Sez. 4, n. 1520 del 10/12/2013, dep. 15/01/2014, Rv. 258488), così che è irrilevante il fatto che alcune delle fonti dell’evidenza della prova provengano da un precedente dibattimento (che peraltro, diversamente da quanto accade nelle indagini preliminari, ha garantito che la sua raccolta avvenisse nella pienezza del contraddittorio), i cui atti, peraltro, restituiti al pubblico ministero affinché proceda non più a citazione diretta, fanno ormai parte integrante del suo fascicolo e non possono certo essere oggetto di separata valutazione.

Deducibilità della nullità del giudizio immediato: possibile ove ricorra l’erroneo meccanismo di citazione dell’imputato in relazione al titolo del reato che gli è ascritto

Cassazione penale, Sez. 2^, sentenza n. 26776/2021, 7 aprile/14 luglio 2021, ha rilevato l’ammissibilità in linea teorica della deduzione della questione di nullità nel giudizio celebrato innanzi al tribunale col rito immediato allorché la stessa non investa il sindacato sulla ricorrenza dei presupposti di ammissibilità del giudizio stesso, ordinario o cautelare che sia, quindi sull’evidenza della prova e sul rispetto dei termini stabiliti dall’art. 453 cod. proc. pen., verifica che compete in via esclusiva al GIP (Cass. S.U., n. 42979 del 26/6/2014, Squicciarino, rv. 260017), ma piuttosto l’erroneo meccanismo di citazione dell’imputato in relazione al titolo del reato che gli è ascritto.

Ha affermato infatti la Suprema Corte (Sez. 1, n. 8227 del 10/02/2010, rv. 246249) che “il giudice del dibattimento può sindacare i presupposti e le condizioni per l’ammissione del giudizio immediato qualora essi si risolvano in violazioni di norme procedimentali concernenti l’intervento, l’assistenza o la rappresentanza dell’imputato“, come accade allorché per reati, per i quali l’art. 550 cod. proc. pen. stabilisca la citazione diretta con esclusione della celebrazione dell’udienza preliminare, si proceda a giudizio immediato con omissione dell’avviso delle conclusioni delle indagini di cui all’art. 415-bis cod. proc. pen. ed assegnazione del termine prescritto dall’art. 458 cod. proc. pen. per il compimento delle scelte difensive in ordine all’accesso ad eventuali riti alternativi.

Nella riflessione interpretativa dottrinaria e della Suprema Corte si è correttamente segnalato come le due modalità di esercizio dell’azione penale siano incompatibili tra loro ed introducano un procedimento differenziato per struttura e tempi degli adempimenti, in quanto il giudizio a citazione diretta ex art. 555 cod. proc. pen. si snoda attraverso un’udienza di prima comparizione, nel corso della quale devono compiersi le attività tipiche dell’udienza preliminare quanto alla scelta dei riti alternativi e quelle introduttive del dibattimento, quali l’indicazione delle circostanze da provare e la formulazione della richiesta di ammissione delle prove in riferimento alle liste di testi, periti e consulenti, depositate almeno sette giorni prima. Tali adempimenti nel rito immediato devono, invece, compiersi entro il termine di cui all’art. 458 cod. proc. pen. quanto alle opzioni per eventuali riti speciali e nella fase degli atti preliminari ex art. 491 cod. proc. pen. per le altre questioni; in ragione di tali profili divergenti nei rispettivi modelli procedurali e dell’assenza delle garanzie assicurate all’imputato a conclusione delle indagini preliminari, funzionali alla migliore conoscenza dell’accusa, degli elementi di prova ed all’informata preparazione della difesa in vista del giudizio, si giustifica la comminatoria della sanzione di nullità allorchè il giudizio immediato sia introdotto per fattispecie di reato che non lo consentono: si tratta comunque di nullità generale a regime intermedio ai sensi degli artt. 178 cod. proc. pen., comma 1, lett. c) e 180 cod. proc. pen., sanata se non rilevata o eccepita tempestivamente entro la conclusione del giudizio di primo grado (Cass. Sez. 6, n. 5902 del 13/10/2011, Rv. 252065; Sez. 1, n. 22549 del 4/2/2015, Rv. 263742; contra: Cass. Sez. 4, n. 3805 del 17/12/2014, Rv. 261949, per la quale il vizio procedurale dà luogo a nullità assoluta poiché preclude all’imputato di ricevere la notifica dell’avviso di conclusione delle indagini ex art. 415-bis cod. proc. pen. e, in caso di celebrazione del giudizio nelle forme del rito abbreviato, cagiona l’indebito mutamento del giudice naturale)».

Alla luce di tale insegnamento, va, dunque, rilevato come il principio di diritto richiamato dalla Corte di appello si riferisca alle ipotesi in cui la censura riguardi la sussistenza dei presupposti di ammissibilità del giudizio immediato, ossia quando essa sia intesa a sindacare l’evidenza della prova e il rispetto dei termini stabiliti dall’art. 453 cod. proc. pen.

Tale principio, invece, non riguarda l’ipotesi in esame che, come premesso, denuncia l’erroneo meccanismo di citazione dell’imputato in relazione al titolo del reato che gli è ascritto.

L’instaurazione del giudizio immediato impedisce, tanto quanto la sentenza di condanna, che si rimettano in discussione, in mancanza di fatti sopravvenuti, i gravi indizi posti a base di un provvedimento cautelare

Secondo Cassazione penale, Sez. 6^, sentenza n. 31781/2024, 11 giugno/2 agosto 2024, in mancanza di “fatti sopravvenuti” idonei a modificare le valutazioni già effettuate, la possibilità di rimettere in discussione i “gravi indizi” posti a base di un provvedimento cautelare è esclusa non solo quando vi sia stata già pronuncia di condanna, ma anche nel caso in cui la fase del giudizio sia stata instaurata nelle forme del giudizio immediato che presuppone “l’evidenza della prova” verificata dal giudice per le indagini preliminari ai sensi degli artt. 453 e 455 cod. proc. pen. (Sez. U, n. 38 del 25/10/1995, Liotta, Rv. 202858).