Imputato alloglotta: il suo diritto alla traduzione degli atti non comprende l’ordinanza di sospensione dei termini di fase della custodia cautelare, salvo che l’interessato dimostri di avere subito un pregiudizio effettivo (Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 2^, sentenza n. 27202/2025, 24 giugno/25 luglio 2025, ha ribadito, in tema di mancata traduzione dell’ordinanza di sospensione dei termini di fase della custodia cautelare in carcere, che il soggetto alloglotta che lamenta la violazione delle sue prerogative difensive, per effetto della mancata traduzione del provvedimento restrittivo adottato nei suoi confronti, non può semplicemente limitarsi a dolersi dell’omissione, ma, in coerenza con la natura generale a regime intermedio delle nullità, che, nella specie, vengono in rilievo, ha l’onere di indicare l’esistenza di un interesse a ricorrere, concreto, attuale e verificabile, non rilevando, in tal senso, la mera allegazione di un pregiudizio astratto o potenziale.

Provvedimento impugnato

Con il provvedimento in epigrafe, il Tribunale, in sede di appello cautelare, ha confermato l’ordinanza del GUP, emessa il 28 febbraio 2025, che aveva sospeso, ai sensi dell’art. 304, comma 4, cod. proc. pen., i termini di fase della custodia cautelare in carcere applicata ai ricorrenti in relazione ai reati di associazione per delinquere, rapina, lesione personale ed altro. La sospensione era intervenuta dall’udienza del 28 febbraio 2025 all’udienza del 21 marzo 2025; i termini di custodia cautelare sarebbero scaduti, senza la sospensione, 11 marzo 2025. Il Tribunale ha ritenuto, in primo luogo, che l’ordinanza di sospensione dei termini di fase non dovesse essere tradotta agli indagati alloglotti, non rientrando tra gli atti meritevoli dell’adempimento di tale obbligo ai sensi dell’art. 143 cod. proc. pen., dal momento che nel provvedimento non era contenuto alcun riferimento al merito delle accuse mosse a carico dei ricorrenti.

Ricorrono per cassazione gli indagati, a mezzo dei loro rispettivi difensori.

Costoro, con unico atto, deducono, per ciò che qui interessa, violazione di legge per non essere stata disposta la traduzione agli imputati alloglotti dell’ordinanza di sospensione dei termini di fase della custodia cautelare, provvedimento che sarebbe da annoverare tra quelli che necessitavano di tale adempimento, alla luce della interpretazione dell’art. 143 cod. proc. pen. fornita dalla giurisprudenza di legittimità e dalla Corte costituzionale, che il ricorso richiama, in quanto volta alla tutela più estesa possibile del diritto di difesa, da intendersi radicata rispetto ad ogni singolo atto e ad ogni momento di svolgimento del procedimento, avendo, per di più, il provvedimento di sospensione dei termini di fase della custodia cautelare diretta efficacia sulla libertà personale degli indagati, così da non potersi considerare un’ordinanza meramente procedimentale come ritenuto dal Tribunale e come si desumerebbe dalla circostanza che avverso di essa è prevista autonoma impugnazione distinta da quella contro la sentenza. I ricorrenti precisano che la mancata traduzione nella loro lingua aveva compromesso le prerogative difensive e le conseguenti strategie, stante il fatto che con l’ordinanza di sospensione dei termini di fase, emessa all’udienza del 2 febbraio 2025, era stata dichiarata la chiusura dell’incidente probatorio, non prevista per quella udienza.

Decisione della Suprema Corte

I ricorsi, proposti con motivi complessivamente infondati, devono essere rigettati.

In ordine al primo motivo, comune ad entrambi i ricorsi, i ricorrenti, pacificamente alloglotti, si dolgono del fatto che non sia stata tradotta nella loro lingua l’ordinanza con la quale il GUP ha sospeso i termini di fase della custodia cautelare.

Deve premettersi che si era avuta l’assistenza dell’interprete in ogni altro momento inerente allo svolgimento dell’udienza preliminare e dell’incidente probatorio in quella sede disposto. Nonostante debba riconoscersi, seguendo la linea interpretativa tracciata dalla sentenza della Corte costituzionale n. 10 del 1993, che l’art. 143 cod. proc. pen. debba essere interpretato, secondo quanto testualmente si legge nella sentenza citata, “come una clausola generale, di ampia applicazione, destinata ad espandersi e a specificarsi, nell’ambito dei fini normativamente riconosciuti, di fronte al verificarsi delle varie esigenze concrete che lo richiedano, quali il tipo di atto cui la persona sottoposta al procedimento deve partecipare ovvero il genere di ausilio di cui la stessa abbisogna”, non si ritiene che l’ordinanza di sospensione dei termini di fase della custodia cautelare in carcere di cui si discute, dovesse essere tradotta.

La stessa sentenza citata, pur animata dal fine di dilatare l’ambito di applicabilità dell’art. 143 cod. proc. pen. ed assicurare la traduzione degli atti processuali agli imputati alloglotti, non ha inteso rendere obbligatorio tale incombente in relazione ad ogni atto della sequenza procedimentale. Il provvedimento impugnato ha natura meramente processuale, non dispone ex novo alcuna misura cautelare né la aggrava in base a circostanze di fatto sopravvenute, non contiene alcuna menzione delle accuse a carico dei ricorrenti né riferimenti alla imputazione provvisoria loro contestata e nemmeno è idoneo a chiudere o ad aprire una nuova fase del procedimento.

Al momento della sua emissione, non è prevista alcuna diretta interlocuzione degli indagati. Costoro avevano avuto modo, per un verso, di veicolare le loro corrette prerogative difensive attraverso l’impugnazione del provvedimento da parte dei loro difensori, regolarmente avvenuta ai sensi dell’art. 304 cod. proc. pen.; per altro verso, essendo stato concesso dal giudice un rinvio dopo la sospensione dei termini di fase, di adottare le loro scelte processuali ed eventualmente intervenire direttamente nella fase di discussione dell’udienza preliminare, ai sensi dell’art. 421 cod. proc. pen., senza che fosse stato modificato, per effetto del provvedimento qui avversato, il perimetro del processo e della decisione. In fin dei conti ed alla luce di quanto appena osservato, i ricorrenti non sono portatori di alcun interesse attuale e concreto a coltivare l’eccezione, non essendo state in alcun modo compromesse le loro prerogative difensive.

La necessità che, nella materia all’esame, l’imputato che non conosca la lingua italiana abbia un concreto interesse a censurare la mancata traduzione di un provvedimento, è stata avvertita da Sez. U, n. 15069 del 26/10/2023, dep. 2024, Niecko, Rv. 286356.

Nella motivazione di tale pronuncia – che si stava occupando di stabilire la natura della patologia processuale discendente dalla mancata traduzione all’indagato della ordinanza applicativa della misura cautelare, dunque di un provvedimento di portata ben più consistente sotto il profilo che qui interessa rispetto a quello oggi impugnato – si è ritenuto, testualmente, che “il soggetto alloglotta che lamenta la violazione delle sue prerogative difensive, per effetto della mancata traduzione del provvedimento restrittivo adottato nei suoi confronti, non può semplicemente limitarsi a dolersi dell’omissione, ma, in coerenza con la natura generale a regime intermedio delle nullità, che, nella specie, vengono in rilievo, ha l’onere di indicare l’esistenza di un interesse a ricorrere, concreto, attuale e verificabile, non rilevando, in tal senso, la mera allegazione di un pregiudizio astratto o potenziale (tra le altre, Sez. 2, n. 33455 del 20/04/2023, Rv. 285186 – 01; Sez. 4, n. 4789 del 19/02/1992, Rv. 189947 – 01).

L’interesse a dedurre una tale patologia processuale, infatti, sussiste soltanto se ed in quanto il soggetto alloglotta abbia allegato di avere subito, in conseguenza dell’ordinanza non tradotta, un pregiudizio illegittimo.

Sul punto, è opportuno richiamare Sez. 1, n. 13291 del 19/11/1998, Rv. 211870 – 01, secondo cui non si può prefigurare alcuna nullità dell’atto, laddove «sia solo l’imputato a dolersene, senza indicare un suo concreto e attuale interesse al riguardo, non avendo alcun valore la semplice allegazione di un pregiudizio del tutto astratto».