Cassazione penale, Sez. 1^, sentenza n. 29846/2025, 18 giugno/27 agosto 2025, ha chiarito che devono essere tenuti distinti, quanto all’aggravante di cui all’art. 577, primo comma n. 1, cod. pen., i profili della «relazione affettiva» e della «stabile convivenza», ora previsti come situazioni alternative, in virtù delle modifiche apportate dalla Legge n. 69/2019.
La Suprema Corte (si veda, in termini, Sez. 1, n. 10897 del 21/11/2023, dep. 2024, Rv. 285924 – 01, non massimata sul punto) ha già condivisibilmente chiarito che la scelta del legislatore di attribuire rilievo autonomo alla situazione di fatto della «stabile convivenza» amplia la tutela a un ventaglio di situazioni e rapporti caratterizzati da un più alto dovere di protezione.
La stabile convivenza va, dunque, interpretata nel senso che la ricorrenza della circostanza aggravante è esclusa lì dove la vittima abbia una mera e temporanea coabitazione con l’aggressore, mentre valorizza il dovere di protezione verso soggetti che hanno condiviso per un tempo apprezzabile le abitudini di vita e che si trovino (al di là della avvenuta rottura del sottostante vincolo affettivo) ancora a condividere gli spazi vitali.
Si è osservato nella sentenza citata che non si tratta di opzione dissonante né con gli obiettivi di tutela perseguiti nell’ambito del contrasto al fenomeno della violenza domestica, né con il principio di ragionevolezza delle differenziazioni di trattamento sanzionatorio, posto che la maggior tutela si ricollega a una obiettiva esigenza di più elevata protezione di tali soggetti.
Tanto premesso, la tesi difensiva secondo cui non poteva ritenersi sussistente detto profilo circostanziale in ragione del fatto che la stabile convivenza sarebbe locuzione tesa a implicare una condivisione non soltanto «materiale» degli spazi abitativi ma anche emotiva (sotto il profilo della comunanza di vita e reciproca assistenza), aspetto ormai assente nell’ambito del rapporto tra imputato e vittima, non può trovare accoglimento.
Invero, già sul piano dell’interpretazione letterale, è del tutto evidente che l’intervento legislativo reputa fattore di aggravamento dell’omicidio una situazione di fatto – la stabile convivenza tra autore del gesto delittuoso e vittima – in modo autonomo e differenziato rispetto al legame affettivo esistente tra tali soggetti, in ragione dell’avvenuta variazione del testo realizzata tramite la sostituzione della congiunzione ‘e’ con la disgiuntiva ‘o’.
La convivenza (rafforzata dall’attributo della stabilità), nell’ordinario svolgersi delle relazioni umane, si accompagna a legami biologici o affettivi tali da implicare condivisione di scelte di vita o reciproca assistenza e non vi è dubbio che la ratio legis sia riconducibile alla necessità di maggior tutela dei soggetti che, per le più varie ragioni, abbiano realizzato, unitamente all’autore del reato, forme di concreta condivisione non soltanto “logistica”, ma anche “emotiva” di uno spazio vitale.
Tuttavia, la scelta del legislatore è proprio quella di fornire un più elevato livello di tutela a coloro i quali si trovino a dover condividere uno spazio abitativo – finché la coabitazione ha luogo – anche nel momento (che è quello di maggiore fragilità) in cui la condivisione emotiva sia venuta meno, come nel caso sottostante al ricorso in cui le Corti di merito hanno – con motivazione aderente alle risultanze di prova – posto in risalto il fatto, rimasto incontrastato, che aveva consentito all’ex compagno di vita di restare presso la casa coniugale nell’interesse di quest’ultimo come anche dei figli minori. Ciò che integra l’aggravante de qua.
Conferma evidente, sul piano logico e sistematico, è la diversa attribuzione di disvalore (pena da 24 a 30 anni, ai sensi del comma 2 dell’art. 577) all’omicidio commesso nei confronti della persona «già stabilmente convivente» quando la convivenza sia cessata.
L’opzione del legislatore è quella di tutelare in modo rafforzato (attraverso la previsione di un incremento sanzionatorio del delitto di omicidio) i soggetti che abbiano vissuto una concreta comunanza di vita con il colpevole, con linea di demarcazione basata sul dato oggettivo della convivenza fisica. Sin quando la convivenza permane la tutela è massima (con maggior disvalore del fatto, punito con l’ergastolo) mentre, quando cessa, l’omicidio, pur restando di maggiore gravità – rispetto a quello comune – viene punito con pena temporanea.
