Cass. pen., Sez. 5^, sentenza n. 3078/2023 (udienza del 6 ottobre 2022), è densa di chiarimenti significativi su plurimi temi di interesse pratico, a partire dalla nozione penalistica di ente pubblico che ha costituito il maggior impegno esplicativo per il collegio data la centralità nella vicenda giudiziaria sottostante al ricorso delle attività di un consorzio del quale occorreva definire la natura.
Impossibilità della trasposizione automatica nell’ambito penale di categorie ed istituti propri di altri ambiti giuridici
Il collegio di legittimità ha chiarito in premessa che è un errore metodologico applicare nell’ambito dei canoni ermeneutici relativi al diritto penale, categorie ed istituti elaborati nell’ambito di altri settori del diritto e – ciò che ancor più rileva – per altri fini.
Ciò perché una simile impostazione finisce per svuotare di contenuto la struttura autonoma della norma incriminatrice e, ancor prima, compromette la stessa funzione del diritto penale, che, nella prospettiva di sistema, non può essere considerato come avulso dalla funzione specifica che l’ordinamento attribuisce al settore di riferimento.
Questo fa sì che la “contaminazione” tra istituti ritenuti rilevanti in diversi ed autonomi settori dell’ordinamento – quale il settore del diritto penale rispetto a quello del diritto civile o del diritto amministrativo – debba essere operata senza mai perdere di vista la finalità dell’operazione ermeneutica di riferimento che, nel caso di specie, è quella di definire l’ambito di applicazione della norma penale.
Nozione penalistica di enti pubblici
…Giurisprudenza amministrativa
Va ricordato che – in riferimento al diritto amministrativo – la giurisprudenza, con risalente indirizzo, opera l’individuazione della natura pubblicistica del consorzio non in base alla qualità degli enti componenti, bensì in base alla natura degli atti posti in essere, in quanto anche gli enti pubblici godono di capacità ed autonomia privata (Consiglio di Stato, Sez. 4, n. 1419 del 17/12/1976). Non a caso, infatti, anche in tema di enti pubblici economici si evidenzia la prevalente attività qualificante, ossia l’esercizio di impresa ispirata a regole di economicità e diretta a conseguire un profitto o, almeno, a coprire i costi, sottolineando come la struttura associativa o consortile rilevi, invece, unicamente ai fini organizzativi (Consiglio di Stato, Sez. 4, n. 699 del 12/09/1994, in cui, in riferimento al Consorzio A., ente di utilizzazione idrica, si era esclusa la natura di ente pubblico economico in quanto lo stesso non svolgeva attività imprenditoriale).
In coerenza con tale impostazione lo stesso Consiglio di Stato, in riferimento a consorzio tra enti locali per la gestione del servizio pubblico idrico, ha affermato la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in un caso in cui la controversia verteva sulla interpretazione ed esecuzione dell’atto costitutivo e dello statuto del consorzio, sia ai sensi dell’art. 15 L. 7 agosto 1990, n. 241 – in tema di accordi tra pubbliche amministrazioni per svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune -, sia ai sensi dell’art. 33, lett. b), d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80 – in tema di controversie tra amministrazioni pubbliche e gestori di pubblici servizi (Consiglio di Stato, n. 699 del 07/02/2002).
…Giurisprudenza penale
Passando ora all’esame della giurisprudenza penale di legittimità, si devono ricordare alcune nevralgiche sentenze: Sez. 6, n. 33779 del 21/06/2021, Rv. 282107, secondo cui “In tema di reati contro la pubblica amministrazione, riveste la qualifica di pubblico agente il Presidente della fondazione ‘LFC, in quanto tale ente, pur se con gli strumenti privatistici, persegue finalità pubbliche, quali la promozione del territorio lombardo e dello sviluppo del suo comparto industriale nonché dei servizi nel settore delle nuove tecnologie.”; Sez. 6, n. 4119 del 30/04/2019, dep. 30/01/2020, RG SPA Rv. 278196 la quale, in relazione ad un funzionario della C. SPA. preposto all’ufficio che sovraintendeva alle operazioni di predisposizione dei bandi di gara, ha affermato che “In tema di reati contro la pubblica amministrazione, la qualifica di pubblico agente non può farsi discendere dal rilievo pubblicistico dell’attività complessivamente compiuta dall’ente in cui il funzionario è inserito, ma deriva dalla natura delle specifiche attribuzioni e compiti che, nell’ambito di tale attività, sono concretamente svolti dal predetto.”; Sez. 6, n.19848 del 23/01/2018, Rv. 273781, secondo cui “I soggetti inseriti nella struttura organizzativa e lavorativa di una società per azioni possono essere considerati pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio, quando l’attività della società medesima sia disciplinata da una normativa pubblicistica e persegua finalità pubbliche, pur se con gli strumenti privatistici.”; Sez. 6, n. 9385 del 13/04/2017, dep. 01/03/2018, Rv. 27226, che ha affermato come “In tema di appalti di opere pubbliche, il c.d. ‘contraente generale’, di cui agli artt. 9, d.lgs. 20 agosto 2002, n. 190, 176 e 177, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, e successive modifiche, riveste la qualifica di incaricato di pubblico servizio, atteso che, in considerazione dei compiti assunti nei confronti della stazione appaltante – quali, ad esempio, la scelta dei soggetti terzi cui affidare le opere e/o le forniture che consentano di realizzare il risultato all’amministrazione aggiudicatrice, lo sviluppo del progetto definitivo, le attività tecnico-amministrative necessarie alla sua approvazione da parte del Cipe, ove detto progetto non sia posto a base di gara – nonché dei diritti speciali ed esclusivi che gli sono riconosciuti dall’autorità competente secondo le norme vigenti, esso deve essere ricompreso tra i soggetti indicati nell’art. 3, comma 29, d.lgs. n. 163 del 2006 come ente aggiudicatore e, pertanto, indipendentemente dalla sua natura privatistica ed anche al di fuori della quota di lavori per cui deve effettuare gare ad evidenza pubblica comunitaria, è vincolato al rispetto delle regole poste dal codice degli appalti.”; Sez. 6, n. 28299 del 10/11/2015, dep. 07/07/2016, Rv. 267054, che – chiarito come l’obbligatorietà della procedura di evidenza pubblica sia indice sintomatico del rilievo pubblicistico dell’attività svolta dalla società, in relazione a settori strategici per gli interessi pubblici di uno Stato – ha affermato che “I funzionari dipendenti di società operanti nei c. d. settori speciali (nella fattispecie quello dell’energia), sono incaricati di pubblico servizio ai sensi dell’art. 358 cod. pen., atteso il rilievo pubblicistico dell’attività svolta da dette società, obbligate ad adottare la procedura di evidenza pubblica nella gestione degli appalti.”; Sez. 6, n. 6405 del 12/11/2015, dep. 17/022016, Rv. 265830, secondo cui “Il direttore di un telegiornale della R.A.I. riveste la qualifica di incaricato di pubblico servizio in considerazione della connotazione pubblicistica dell’attività di informazione radiotelevisiva, essendo irrilevante la natura privata di tale società.”; Sez. 6, n. 45908 del 16/10/2013, Rv. 257384, secondo cui “I soggetti inseriti nella struttura organizzativa e lavorativa di una società per azioni possono essere considerati pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio, quando l’attività della società medesima sia disciplinata da una normativa pubblicistica e persegua finalità pubbliche, pur se con gli strumenti privatistici.”
Ciò che emerge dall’esame delle citate pronunce è il dato funzionale che ne costituisce il comune denominatore, nel senso che, ai fini della individuazione della natura pubblica di un ente – o, specularmente, sotto l’aspetto dei soggetti operanti, la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di un pubblico servizio -, ciò che rileva è la natura pubblica delle finalità perseguite con la specifica attività, rispetto alla quale la veste giuridica dell’ente può, al più, costituire un indice sintomatico non esclusivo.
In tal senso, infatti, altri elementi appaiono sicuramente più rilevanti per qualificare la natura pubblicistica dell’attività svolta, quale, ad esempio, la disciplina normativa applicata, fermo restando che un ente, pur attraverso l’adozione di strumenti privatistici, ben può perseguire finalità pubbliche.
L’attenzione dell’interprete, quindi, deve focalizzarsi sulla finalità dell’attività perseguita, più che sulla struttura dell’ente e sugli strumenti negoziali adottati.
…Precedente orientamento formalistico, valutazione critica e ragioni del suo superamento
Tale orientamento, in realtà, rappresenta un inequivoco superamento del precedente indirizzo ermeneutico della giurisprudenza di questa Corte che, in riferimento soprattutto alla fattispecie di cui all’art. 640, comma secondo, cod. pen., a seguito del processo di privatizzazione di molti enti pubblici in società per azioni, aveva escluso la natura pubblica di tali società sulla base della sola considerazione della loro veste formale (Sez. 5, n. 38071 del 05/04/2005, Rv. 233073; Sez. 2, n. 8771 del 28/01/2005, Rv. 231155; Sez. 2, n.35603 del 23/06/2004, Rv. 229728; Sez. 2, n. 5028 del 17.3.1999, Rv. 213154).
Anche in riferimento agli enti pubblici economici, si è affermato come non possa essere messa in dubbio la natura privatistica della società, nonostante i vincoli ad essi imposti dall’ente pubblico in tema di gestione del servizio, del personale e delle somme introitate, e, quindi, indipendentemente dalla circostanza che la stessa sia a prevalente capitale pubblico locale, ovvero costituita o partecipata dall’ente titolare del pubblico servizio (Sez. 6, n. 8392 del 05/02/2009, Rv. 243667; Sez. 2, n. 8771 del 28/01/2005, Rv. 231155).
In relazione alle aziende speciali, istituite dai comuni per la gestione dei servizi pubblici, ai sensi degli artt. 22 e 23 L. 8 giugno 1990, n. 142 e successive modifiche, al contrario, si è affermata la natura di enti pubblici economici, in quanto esse integrano un ente strumentale dell’ente locale, che conferisce il capitale di dotazione, ne determina le finalità e gli indirizzi, approva gli atti fondamentali, esercita la vigilanza e verifica i risultati della gestione; tali aziende, inoltre, devono rispettare l’obbligo di pareggio di bilancio, ai sensi dell’art. 23, comma 4 della legge citata, e sono sottoposte ai penetranti controlli di cui all’art. 23, comma 6, della predetta legge, tanto invasivi da determinare per l’ente locale l’obbligo della copertura dei “costi sociali” (Sez. 2, n. 31424 del 03/07/2003, Rv. 226537. V. anche, stesso estensore, Sez. 2, n. 9875 del 2000, Rv. 217701).
Anche in tal caso, quindi, la soluzione è stata individuata attraverso il ricorso ad un criterio formalistico, escludendo la configurabilità dell’ente pubblico economico allorquando la gestione del servizio pubblico sia attuata attraverso una società per azioni, o a responsabilità limitata, a prevalente capitale pubblico costituita o partecipata dall’ente titolare del pubblico servizio.
In realtà – come evidenziato anche dalla dottrina – tale indirizzo di legittimità, in quanto ancorato ad un criterio formalistico, appare evidentemente inadeguato rispetto ad una visione più ampia che collochi gli istituti sia nel loro sviluppo storico che nel complessivo sistema ordinamentale, a fronte del superamento definitivo del dogma dello statalismo e l’affermazione nel nostro sistema politico dei principi di pluralismo autonomistico, parallelamente al processo di privatizzazione di enti pubblici ed alla tendenza legislativa a riconoscere, in capo a soggetti operanti normalmente iure privatorum, la titolarità o l’esercizio di compiti di spiccata valenza pubblicistica.
Ciò ha comportato l’innegabile difficoltà, in molti casi in cui la natura pubblica o privata di un ente non risultasse chiaramente dalla legge, di individuarne gli indici di riconoscimento della natura pubblica, posto che è impossibile individuare una nozione unitaria di ente pubblico, abbracciando tale nozione una fenomenologia estremamente varia e multiforme.
…Affermazione della nozione sostanzialistica
In tale contesto si colloca la sentenza della Sez. 2, n. 42408 del 12/09/2012, Rv. 254038 che, per la prima volta – alla luce di un’ampia disamina della giurisprudenza della Corte costituzionale, delle Sezioni Unite civili, oltre che di quella del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti, ha osservato che, ai fini della identificazione della natura pubblica di un soggetto, la forma societaria riveste carattere neutro, rilevando le finalità che si intendono perseguire e, più in particolare, la “strumentalità pubblicistica” e il conseguente assoggettamento ad una disciplina derogatoria rispetto a quella dettata per il modello societario tradizionale.
Ne discende che, allo scopo di individuare gli indici di riconoscimento dell’ente pubblico, debba essere adottata una nozione di organismo pubblico, che fa leva essenzialmente su una concezione sostanzialistica, la quale richiama quanto stabilito ed elaborato dalla legislazione e dalla giurisprudenza comunitaria.
In tal senso, quindi, l’art. 1 delle direttive 92/50/CEE (servizi), 93/36/CEE (forniture) e 93/37/CEE (lavori), ora art. 3, comma 26, d. Igs. 12 aprile 2006, n. 163, definisce l’organismo di diritto pubblico come “qualsiasi organismo, anche in forma societaria: – istituito per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale; – dotato di personalità giuridica; – la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi oppure il cui organo d’amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico”.
Tale affermazione si rinviene nell’ordinanza delle Sezioni Unite civili, n. 8511 del 19/05/2012, Rv. 622719, che ha chiarito la differenza tra le imprese pubbliche – quelle su cui le amministrazioni possono esercitare, direttamente o indirettamente un’influenza dominante perché ne sono proprietarie, vi hanno una partecipazione finanziaria, o in virtù di norme che disciplinano le imprese in questione – e l’organismo di diritto pubblico.
Le Sezioni Unite hanno ricordato come tale differenza si giustifica in considerazione del fatto che la ratio della disciplina dell’evidenza pubblica (consistente nella necessità di garantire la competizione tra soggetti operanti sul libero mercato in sede di approvvigionamento di beni, servizi e forniture) non trova motivo di applicazione in relazione alla figura dell’impresa pubblica, che si trova ad operare nel mercato in condizioni di normale concorrenza, sopportando i rischi connessi al mercato stesso, il che rende superfluo il ricorso all’evidenza pubblica. Ove, invece, come nei “settori speciali”, gli operatori beneficino di diritti speciali o esclusivi che riservano solo ad alcuni l’esercizio di determinate attività, si rende concreto il rischio di un’alterazione delle regole della concorrenza, con la conseguenza che appare indispensabile il rispetto di tali regole, che si determina con l’applicazione della procedura di evidenza pubblica.
In sintesi, quindi, può concordarsi sul fatto che, nei diversi ambiti di giurisdizione, la ricostruzione del sistema vigente in materia di riconoscibilità della pubblicità degli enti converga nel senso di una concezione sostanziale e non formalistica, sicché anche la nozione penalistica di ente pubblico deve essere inquadrata in tale sistema concettuale, funzionale alla ratio delle norme, che, come osservato dalla Corte costituzionale già con la sentenza n. 466 del 1993, è quella di evitare che l’impiego della società per azioni quale strumento organizzativo per il perseguimento di finalità di interesse pubblico sottragga al controllo e alle relative sanzioni la dispersione del patrimonio pubblico. Qualsiasi diversa interpretazione, infatti, finirebbe per veicolare o agevolare condotte elusive delle più gravi sanzioni penali mediante l’utilizzo dello schermo societario, il che costituirebbe un arretramento di tutela rispetto alla indefettibile e primaria protezione dei bisogni di interesse generale.
Temi ulteriori
…Intercettazioni ambientali in luoghi di privata dimora
Il collegio ha ricordato che l’art. 266, comma 2, cod. proc. pen., richiede, quale requisito per disporre le intercettazioni ambientali in luoghi di privata dimora, che vi sia “fondato motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo l’attività criminosa”, il che non può essere inteso nel senso di ritenere che tale attività vi si svolga effettivamente; il provvedimento autorizzativo delle captazioni, infatti, ha per oggetto l’adozione di un mezzo di ricerca della prova, il che rende evidente come, con un giudizio ex ante, adottato in base a specifici elementi di indagine, possa ritenersi del tutto ragionevole che, al momento dell’adozione del provvedimento di autorizzazione, nel luogo ivi indicato sia in corso lo svolgimento dell’attività criminosa (Sez. 3, n. 40509 del 07/05/2019, Rv. 277362; Sez. 6, n. 36770 de1 09/06/2003, Rv. 226333).
Non va quindi confuso l’esito, eventualmente negativo in termini di rilevanza investigativa, delle captazioni ambientali, con il presupposto legittimante l’adozione dello strumento di ricerca della prova, funzionale all’acquisizione di elementi di prova, ma del tutto indipendente dalla loro concreta produzione e rilevanza.
…Atto pubblico: continua a godere della tutela penale anche se affetto da vizi che lo rendono nullo o annullabile
Anche alla luce della funzione probatoria dell’atto pubblico, che costituisce il fondamento della tutela penale, il contenuto del documento stesso, sotto l’aspetto della sua validità formale, certamente non può incidere automaticamente sulla sua valenza probatoria, sicché l’irregolarità formale dell’atto, così come l’invalidità del rapporto giuridico ivi rappresentato, si pongono su di un piano del tutto diverso dalla sua attitudine funzionale.
In tal senso può affermarsi che l’eventuale vizio che possa rendere annullabile o nullo un atto pubblico non lo rende, per ciò solo, insuscettibile di tutela penale, nella misura in cui esso sia connotato dai requisiti formali essenziali richiesti dalla legge per il raggiungimento del suo scopo, nel senso che attraverso la falsificazione il documento risulti valido per provare la sussistenza della situazione documentata, seppure apparente.
In tal senso, non a caso, è stato ritenuto che l’inesistenza giuridica di un atto possa essere individuata dalla mancata sottoscrizione del pubblico ufficiale che lo ha formato solo qualora l’atto debba essere sottoscritto da un unico soggetto, cosa che non avviene bel caso dell’atto collegiale (Sez. 5 n. 1252 del 30/11/1970, dep. 26/02/1971, Rv. 116827).
…Concetto di gara pubblica
Il concetto di gara presuppone una competizione tra aspiranti, che si svolge sulla base della previa indicazione e pubblicizzazione dei criteri di selezione e di presentazione delle offerte, ogni volta che la pubblica amministrazione proceda, anche in maniera informale o atipica, all’individuazione del contraente su base comparativa, a condizione che l’avviso informale o il bando e, comunque, l’atto equipollente indichino previamente i criteri di selezione e di presentazione delle offerte, ponendo i potenziali partecipanti nella condizione di valutare le regole che presiedono al confronto e i criteri in base ai quali formulare le proprie (Sez. 6, n. 6603 del 05/11/2020, dep. 19/02/2021, Rv. 280836, in cui – ribadendo una sedimentata giurisprudenza sul punto, citata in motivazione – si è affermato che i reati di turbativa, di cui agli artt. 353 e 353-bis cod. pen., non sono configurabili solo nel caso in cui la pubblica amministrazione proceda all’individuazione del contraente sulla base di una procedura selettiva interna, non essendo in tal caso individuabile una gara).
…Nozione di errore scusabile
Tale errore è configurabile solo laddove sussista una obiettiva situazione di incertezza sulla portata applicativa o sul contenuto della norma extrapenale.
In ogni caso, occorre ricordare come non possa escludersi l’elemento soggettivo del reato allorquando il contesto amministrativo si palesi incerto, in quanto il soggetto agente deve astenersi dal porre in essere comportamenti dubbi, essendo onerato di acquisire dai competenti organi le necessarie informazioni ed assicurazioni circa la legittimità dell’attività svolta, potendo escludersi la colpevolezza solo alla luce di un complessivo e pacifico orientamento correttezza della propria interpretazione del disposto normativo; peraltro, la scusabilità dell’ignoranza della legge penale, per l’agente che svolga professionalmente un’attività nel settore di interesse, comporta necessariamente che questi – da un comportamento positivo degli organi amministrativi o da un complessivo, pacifico orientamento giurisprudenziale – abbia potuto trarre il convincimento della correttezza dell’interpretazione normativa e, quindi, della liceità del comportamento tenuto, essendo per costui particolarmente rigoroso il dovere di informazione sulla legislazione in materia (Sez. 3, n. 33039 del 04/11/2015, dep. 28/07/2016, Rv. 268120; Sez. 6, n. 6991 del 25/01/2011, Rv. 249451; Sez. 4, n. 32069 del 15/07/2010, Rv. 248339).
Massima
Nei diversi ambiti di giurisdizione, la ricostruzione del sistema vigente in materia di riconoscibilità della pubblicità degli enti converga nel senso di una concezione sostanziale e non formalistica, sicché anche la nozione penalistica di ente pubblico deve essere inquadrata in tale sistema concettuale, funzionale alla ratio delle norme, che è quella di evitare che l’impiego della società per azioni quale strumento organizzativo per il perseguimento di finalità di interesse pubblico sottragga al controllo e alle relative sanzioni la dispersione del patrimonio pubblico. Qualsiasi diversa interpretazione, infatti, finirebbe per veicolare o agevolare condotte elusive delle più gravi sanzioni penali mediante l’utilizzo dello schermo societario, il che costituirebbe un arretramento di tutela rispetto alla indefettibile e primaria protezione dei bisogni di interesse generale.
