La Cassazione penale sezione 1 con la sentenza numero 20346/2025 ha stabilto, in tema di giudizio abbreviato, che l’art. 442, comma 2-bis, cod. proc. pen. trova applicazione anche nel caso in cui l’imputato, restituito in termini per impugnare la sentenza contumaciale emessa in un dibattimento ordinario, sia stato ammesso nel giudizio di appello al rito abbreviato e non abbia poi presentato ricorso per cassazione.
La Suprema Corte premette che non è in discussione, innanzitutto, che, essendo stata emessa la prima sentenza di condanna del 2015 nella contumacia dell’imputato (lo attesta anche il provvedimento impugnato), sia applicabile il principio – affermato nella pronuncia delle Sezioni unite più volte citata sia nell’ordinanza della Corte d’Appello, sia nel ricorso – secondo cui la restituzione nel termine per appellare la sentenza contumaciale, ai sensi dell’art. 175, comma secondo, cod. proc. pen., nel testo vigente prima dell’entrata in vigore della l. 28 aprile 2014, n. 67, comporta la facoltà per l’imputato, che non abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento, di chiedere al giudice di appello di essere ammesso a un rito alternativo al dibattimento (Sez. U, n. 52274 del 29/9/2016, Rrushi, Rv. 268107 – 01).
Né è revocabile in dubbio che la nuova disciplina di cui all’art. 442, comma 2 bis, cod. proc. pen., introdotto dall’art. 24, comma 1, lett. c), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, sia da ritenersi di natura sostanziale e, dunque, suscettibile di applicazione retroattiva ove più favorevole, con l’unico limite costituito dal giudicato, secondo la previsione generale dell’art. 2, quarto comma, cod. pen.: con la conseguenza che il beneficio dell’ulteriore riduzione di pena di un sesto per mancata impugnazione della sentenza di condanna si applica rispetto a sentenze di primo grado divenute irrevocabili dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 150 del 2022, pur se pronunciate antecedentemente (Sez. 1, n. 42681 del 27/9/2023, Proshka, Rv. 285394 – 01; Sez. 1, n. 16054 del 10/3/2023, Moccia, Rv. 284545 – 01).
Alla luce di tali coordinate, si può, dunque, affermare, come correttamente premesso anche dall’ordinanza impugnata, che nella vicenda in questione:
a) la sentenza di condanna di primo grado di O., al momento dell’entrata in vigore dell’art. 442, comma 2-bis, cod. proc. pen., non poteva considerarsi non più impugnabile – e, quindi, irrevocabile – per effetto della dichiarazione di non esecutività che il giudice aveva dovuto adottare ai sensi degli artt. 175, comma 7, e 670, comma 3, cod. proc. pen.;
b) nel giudizio di appello, conseguente alla impugnazione proposta a seguito della restituzione in termini, O. era tornato nella condizione di richiedere la definizione del processo con un rito alternativo.
Ciò premesso, nel caso di specie il ricorrente, nel giudizio di appello celebrato dopo l’entrata in vigore della c.d. riforma Cartabia a seguito della rimessione in termini, ha proceduto ad un concordato ex art. 599-bis cod. proc. pen., avente ad oggetto l’accoglimento dei motivi d’appello relativi al reato di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 e una riduzione di pena per il rito abbreviato in relazione ai restanti reati. Non risulta che la conseguente sentenza della Corte d’Appello di Napoli sia stata fatto oggetto di ricorso per cassazione, che pure è ammesso, benché limitatamente a casi ben determinati (v. Sez. 1, n. 944 del 23.10.2019, dep. 2020, M., Rv. 276102 – 01; Sez. 2, n. 22002 del 10/4/2019, Mariniello, Rv. 276102).
La peculiarità del caso esaminato risiede nel fatto che non ha potuto trovare stretta applicazione lo schema procedimentale desumibile dal disposto del nuovo art. 442, comma 2-bis, cod. proc. pen., il quale evidentemente presuppone che l’imputato sia stato ammesso al rito abbreviato nel giudizio di primo grado, secondo le norme variamente dettate in via generale dagli artt. 438, 449, comma 2, 458, 461, comma 3, 554-ter, cod. proc. pen., e che la sentenza di condanna all’esito del giudizio non sia stata impugnata.
Non avrebbe potuto esigersi che tale schema venisse rispettato, tenuto conto che l’imputato, per effetto della restituzione nel termine ex art. 175 cod. proc. pen. per impugnare la sentenza contumaciale emessa in un dibattimento ordinario, era stato posto nella condizione di chiedere al giudice di appello di essere ammesso a un rito alternativo.
Dunque, egli, non solo non avrebbe potuto astenersi dal proporre impugnazione contro la sentenza di condanna, ovvero ciò per cui era stato specificamente rimesso in termini, ma soprattutto non avrebbe in alcun modo potuto formulare, se non appunto in appello, la richiesta di giudizio abbreviato, la acquiescenza alla cui decisione determina l’applicazione della riduzione del sesto della pena prevista dal comma 2-bis dell’art. 442 cod. proc. pen.
Si tratta, dunque, di valutare se il disposto della norma in questione trovi applicazione al solo caso dell’imputato condannato all’esito di giudizio abbreviato in primo grado che non frapponga appello o se non possa essere esteso al caso in cui, dopo l’entrata in vigore dell’art. 442, comma 2-bis, cod. proc. pen., il processo definito in primo grado con giudizio ordinario penda nel grado di appello, nel quale per la prima volta l’imputato, a seguito della mancata conoscenza incolpevole del processo, sia nella condizione di chiedere eventualmente il giudizio abbreviato per essere stato restituito in termini ex art. 175 cod. proc. pen.
In questa prospettiva, sembra utile considerare che la riforma delineata sul punto dal d.lgs. n. 150 del 2022 ha lo scopo di ridurre la durata del procedimento penale celebrato con rito alternativo, favorendo la definizione del giudizio dopo la decisione di primo grado e senza dare luogo ai gradi successivi (appello, ove previsto, o giudizio di legittimità) quando la loro introduzione, alla luce della valutazione rimessa alla parte privata, non sia giustificata da un preminente interesse: a fronte della mancata impugnazione della sentenza, l’imputato otterrà, in sede esecutiva, l’ulteriore riduzione di un sesto della pena irrogata (Sez. 1, n. 49255 del 26/9/2023, Bartolomeo, in motivazione).
Si è affermato, pertanto, che è la radicale mancanza dell’impugnazione, che, determinando l’effetto deflattivo perseguito, integra il presupposto necessario per fruire della riduzione ulteriore della pena contemplata dal comma 2-bis dell’art. 442, comma 2-bis; tanto è vero che la norma ha individuato nel giudice dell’esecuzione quello competente a sancire la riduzione, da ciò potendosi trarre conferma che la condizione legittimante la riduzione non può essere integrata dalla diversa fattispecie della rinuncia all’impugnazione già proposta, nel qual caso il giudice competente sarebbe stato individuato nello stesso giudice della cognizione che vi avrebbe provveduto nel contesto provvedimentale dichiarativo dell’inammissibilità sopravvenuta dell’impugnazione (Sez. 1, n. 51180 del 12/10/2023, Galdi, in motivazione).
Se, dunque, la ratio dell’art. 442, comma 2-bis, cod. proc. pen., è quella di favorire la contrazione dei tempi del procedimento, si può affermare che nel caso di specie tale effetto deflattivo si è effettivamente concretizzato nel giudizio d’appello e che ciò si è verificato per effetto della scelta dell’imputato, sia di accedere al rito alternativo sia di non impugnare la sentenza.
È vero che tale situazione è rimasta integrata solo nel giudizio di secondo grado, ma ciò è dipeso dalla mancata conoscenza del procedimento di primo grado, con la conseguenza che il ricorrente, ottenuta la restituzione in termini, ha dovuto necessariamente impugnare la sentenza che aveva definito quel procedimento per evitare che acquisisse forza esecutiva.
Resta, invece, il fatto che la sentenza d’appello, con cui era stata applicata in sede di cognizione la riduzione di un terzo per il rito abbreviato, non è stata impugnata.
Non vi è motivo, pertanto, per non riconoscere l’operatività del meccanismo premiale previsto dall’art. 442, comma 2-bis, cod. proc. pen., cui consegue un ulteriore sconto di pena all’imputato: lo scopo perseguito dal legislatore con tale norma “di ottenere un risparmio di tempi e di energie” (Corte cost., sent. n. 208 del 2024) è stato concretamente assecondato.
Si deve ritenere, pertanto, che il requisito della radicale mancanza dell’impugnazione di cui all’art. 442, comma 2-bis, cod. proc. pen. può essere preteso solo a fronte di una sentenza di condanna di primo grado emessa in un procedimento di cui l’imputato abbia avuto una conoscenza effettiva (tanto da avere potuto concretamente richiedere la definizione del giudizio allo stato degli atti) e va, quindi, inteso come riferibile, più in generale, alla sentenza emessa all’esito del procedimento – foss’anche di secondo grado – cui l’imputato sia stato nella condizione di partecipare effettivamente.
A ciò consegue, quindi, che l’ordinanza debba essere annullata limitatamente alla mancata applicazione della riduzione di cui all’art. 442, comma 2-bis, cod. proc. pen.
