Anche nel tribunale di Vattelapesca la classe forense, erede di una delle “arti maggiori”, è guidata da un consiglio eletto fra gli iscritti per curarne gli interessi ed i rapporti con l’ordine giudiziario.
Alla scadenza di ogni mandato si rinnova la sfida fra liste di candidati dai titoli roboanti:
“Tradizione e continuità” o, forse meglio, “Rinnovamento nella tradizione”, “Nuova avvocatura” o, se già usato, “Futuro dell’avvocatura”, “Cambiamento ed innovazione” o, se piace di più, “Innovazione nel cambiamento”, a seconda della scarsa fantasia del momento, con la consapevolezza che invertendo l’ordine dei fattori il prodotto non cambia.
Si rinnovano programmi ambiziosi, – che in gran parte ricalcano quelli inattuati, – e promesse di un, sempre, futuro rilancio della professione.
Insomma, nella brochure di titoli e di programmi vuoti, contenitore senza contenuto, si calano i nomi degli aspiranti consiglieri che intendono “sacrificarsi” nell’interesse della classe forense o semplicemente aspirano ad un posto al sole.
Passata l’effervescenza delle elezioni e la votazione delle cariche rappresentative ritorna la bonaccia ed il consiglio, diviso in guelfi e ghibellini, riacquista la natura di consorteria aristocratico-feudale distinta e distante dagli iscritti.
Si dedica “con passione” alla gestione dell’ordinaria amministrazione; alla promozione di tutti i convegni accreditabili sui temi più disparati, dove il tutto diviene formazione e la formazione si confonde con il tutto; ad organizzare la festa degli auguri prenatalizia e quella d’estate, che costituiscono lo Zenith dell’attività.
Nel frattempo, nel tribunale aumentano i problemi di gestione dei ruoli, i tempi di decisione dei processi, che, per quanto riguarda l’ufficio del giudice di pace, aspirano … a quella eterna.
Il tutto mentre incombe su quest’ultimo il pericolo del prossimo travaso di giudizi e di procedure esecutive in applicazione di una recente scartabellata riforma che ne ha ampliato la competenza per valore e per materia.
Gli iscritti rassegnati subiscono l’agonia della professione nel platonico immobilismo dei rappresentanti.
La nascita di un tavolo tecnico fra avvocati e magistrati sembra essere finalmente una “buona pratica” per affrontare le disfunzioni dei processi e della vita giudiziaria locale. Insomma, un timido segno di vita su Marte.
In realtà l’attività del tavolo si rivela immediatamente talmente riservata da essere avvolta nella nebbia del mistero. Nulla si sa sui problemi sollevati, nulla si sa sulle posizioni assunte, nulla si sa sulle eventuali proposte, nulla si sa sulle soluzioni concordate. Nessuna informazione viene fornita sul sito dell’ordine, con l’invio di newletters, a mezzo stampa o … con piccioni viaggiatori. Nihil, nein, nisba!
Nell’apatia della classe forense, oramai assuefatta al ruolo di “supporto” della magistratura, l’avvocato Rompiglione Rompiglioni, – che ingenuamente crede ancora di praticare una professione libera e liberale, – chiede al proprio ordine lumi sull’attività svolta dal tavolo tecnico e sul perché non ne venga data informazione.
E, con grande sorpresa, si alza il sipario di una commedia goldoniana.
Occorrono mesi e ripetuti scambi epistolari, in cui è costretto a ribadire ai rappresentanti che l’informazione agli iscritti è atto dovuto, ed una sofferta decisione del consiglio affinché gli venga “concessa” la disponibilità dei verbali delle riunioni del tavolo tecnico presso i locali dell’ordine.
Nella data e nell’orario fissati l’avvocato Rompiglioni riesce a visionare i verbali sotto la “vigilante sorveglianza” del rappresentante dell’ordine, che – colpo di scena – si rifiuta di consegnarne copia.
Dopo aver dovuto diffidare il proprio ordine finalmente ottiene il rilascio delle copie dei verbali, sulle quali continua a non essere fornita informazione agli altri colleghi. Informazione che, passando dalla commedia al thriller, resta volutamente un mistero, in modo che ognuno possa immaginarsela come vuole (anche se è facile intuire che la montagna abbia partorito … il classico il topolino).
Morale della storia: l’ordine degli avvocati di Vattelapesca ha la rappresentanza di tutti gli iscritti ma pratica un’informazione ad personam, a richiesta, previa autorizzazione e sotto rigido controllo. Una sorta di novello Minculpop sospeso tra apparenza della trasparenza e trasparenza dell’apparenza.
Il surreale racconto è lieve increspatura nel piatto mare nostrum forense. Piccola onda che fluisce e defluisce sulla sabbia e nasconde un impercettibile panta rei.
Il fiume carsico scorre lentamente; la goccia scava la roccia. I rappresentati si muovono in disordine sparso, abbandonati dai loro rappresentanti; i rappresentanti agiscono “a prescindere” dai loro rappresentati.
I problemi giudiziari si allargano e proliferano gettando sulle spalle dei fortunati “utenti della giustizia” una croce sempre più pesante.
Insomma, si consuma il suicidio di una nobile professione nell’indifferenza generale: “Nisciuno se ne importa. E ognuno aspetta a ‘ciorta”.
Una volta all’autorità della funzione giudiziaria l’avvocatura poteva contrapporre l’autorevolezza della funzione difensiva. Oggi anche nell’avvocatura uno vale uno e l’uno vale l’altro.
Ma, come in tutte le favole che si rispettano, anche questa ha un lieto fine: gli avvocati di Vattelapesca, incoscienti e disinformati, vissero felici e contenti aspettando … la prossima festa prenatalizia degli auguri o quella di inizio estate.
