Cassazione penale, Sez. 3^, sentenza n. 29875/2025, 3 luglio/28 agosto 2025, ha ribadito che, in tema di reati tributari, l’amministratore di una società risponde del reato omissivo contestatogli quale diretto destinatario degli obblighi di legge, anche se sia un mero prestanome di altri soggetti che abbiano agito quali amministratori di fatto, atteso che la semplice accettazione della carica attribuisce allo stesso doveri di vigilanza e controllo, il cui mancato rispetto comporta responsabilità penale o a titolo di dolo generico, per la consapevolezza che dalla condotta omissiva possano scaturire gli eventi tipici del reato, o a titolo di dolo eventuale per la semplice accettazione del rischio che questi si verifichino (Sez. F, n. 42897 del 09/08/2018, Rv. 273939 – 02; Sez. 3, n. 7770 dei 05/12/2013, dep. 2014, Rv. 258850 – 01; Sez. 3, n. 22919 del 06/04/2006, Rv. 234474 – 01).
L’amministratore di diritto risponde, dunque, in concorso con l’amministratore di fatto (quale autore principale, in quanto titolare effettivo della gestione sociale e, pertanto, nelle condizioni di poter compiere l’azione dovuta), anche dei delitto di indebita compensazione di cui all’art. 10-quater d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, a titolo di concorso per omesso impedimento dell’evento, ai sensi degli artt. 40, comma secondo, cod. pen. e 2632 cod. civ., a condizione che ricorra l’elemento soggettivo richiesto dalla norma incriminatrice (Sez. 3, n. 1722 del 25/09/2019, dep. 2020, Rv. 277507 – 01, con la quale è stata ritenuta esente da censure la sentenza con la quale è stata affermata la sussistenza del dolo eventuale dell’amministratore di diritto, desumendola, oltre che dall’accettazione della carica, da una pluralità di elementi fattuali convergenti, che ne comprovavano la consapevolezza delle criticità gestionali della società e lo svolgimento di un ruolo attivo in ambito societario, con conseguente accettazione del rischio relativo alla commissione di reati da parte dell’amministratore di fatto).
Sulla base dell’insegnamento delle Sezioni unite (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn, Rv. 261104), “per la configurabilità del dolo eventuale, anche ai fini della distinzione rispetto alla colpa cosciente, occorre la rigorosa dimostrazione che l’agente si sia confrontato con la specifica categoria di evento che si è verificata nella fattispecie concreta aderendo psicologicamente ad essa e a tal fine l’indagine giudiziaria, volta a ricostruire l’iter e l’esito del processo decisionale, può fondarsi su una serie di indicatori quali: a) la lontananza della condotta tenuta da quella doverosa; b) la personalità e le pregresse esperienze dell’agente; c) la durata e la ripetizione dell’azione; d) il comportamento successivo ai fatto; e) il fine della condotta e la compatibilità con esso delle conseguenze collaterali; f) la probabilità di verificazione dell’evento; g) le conseguenze negative anche e per l’autore in caso di sua verificazione; h) il contesto lecito o illecito in cui si è svolta l’azione nonché la possibilità di ritenere, alla stregua delle concrete acquisizioni probatorie, che l’agente non si sarebbe trattenuto dalla condotta illecita neppure se avesse avuto contezza della sicura verificazione dell’evento (cosiddetta prima formula di Frank)“.
Nel caso in esame, proprio considerando detti indicatori, risulta coerente l’affermazione della rappresentazione da parte della ricorrente della probabile verificazione dell’evento ascrittole, ossia della effettuazione di una compensazione illecita mediante l’utilizzo di crediti inesistenti di ammontare superiore alla soglia di punibilità, considerando il totale disinteresse della ricorrente per il corretto adempimento degli adempimenti fiscali (ossia la lontananza della condotta tenuta da quella doverosa); l’esperienza della ricorrente in materia societaria e il compenso dalla stessa percepito (ossia le pregresse esperienze dell’agente e la sua personalità); il permanere nella carica per un tempo apprezzabile nonostante le plurime anomalie più volte riscontrate e le segnalazioni di sospetto da parte di soggetti terzi (cioè la durata e la ripetizione dell’azione e il comportamento successivo al fatto); il fine di lucro perseguito, al punto da sollecitare il pagamento del compenso, e l’accettazione delle conseguenze negative della condotta (ossia il fine della condotta e la compatibilità con esso delle conseguenze collaterali); la rilevante probabilità dell’inadempimento agli obblighi tributari, avendo la ricorrente riconosciuto di aver sottoscritto documentazione amministrativa e di essersi recata anche presso l’Agenzia delle Entrate (ossia la probabilità di verificazione dell’evento e le conseguenze negative anche per l’autore in caso di sua verificazione).
