Cassazione penale, Sez. 1^, sentenza n. 15868/2024, 7 febbraio/16 aprile 2024, indica il percorso indispensabile per pervenire alla corretta formazione della prova logica.
Provvedimento impugnato
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte territoriale ha confermato la sentenza del GUP che aveva dichiarato MF colpevole dei reati di cui agli artt. 10 e 14 legge 14 ottobre 1974, n. 497, 23 legge 18 aprile 1975, n. 110, per aver illegalmente detenuto, occultate all’interno di un borsone posto nella parte retrostante rispetto ad un garage di sua proprietà, numerose armi da guerra con il relativo munizionamento e, per l’effetto, lo aveva condannato alla pena di giustizia, oltre che al pagamento delle spese processuali; con applicazione delle pene accessorie dell’interdizione in perpetuo dai pubblici uffici e dell’interdizione legale per il tempo di espiazione della pena, nonché con confisca e distruzione di quanto in sequestro.
Attenendosi alla ricostruzione di carattere storico e oggettivo compiuta nel giudizio di merito, in data […] la polizia giudiziaria effettuò una perquisizione alla ricerca di armi, presso l’abitazione di [Tizio], ubicata in […], alla Via […]. Portatisi sul terrazzo dell’abitazione nella quale risiedeva il suddetto, gli operanti notarono un garage, posto nel terreno ivi immediatamente sottostante; domandarono chi ne fosse il proprietario e venne loro indicato l’odierno imputato MF, proprietario di uno chalet ubicato in […], nonché dell’intero fabbricato, all’interno del quale insiste anche l’abitazione del suddetto [Tizio]. Convocato MF, questi fornì la chiave della porta del sopra menzionato garage, la cui ispezione, però, sortì esito negativo. Sul retro del locale, però, si trovava una porta blindata in ferro; una volta aperta tale porta, fu possibile accedere a una porzione di terreno non appartenente a MF, che si presentava fitta di vegetazione incolta e – immediatamente accanto alla porta stessa – fu possibile rinvenire, sotto una tettoia prospiciente il garage, un borsone con la chiusura rivolta verso l’alto, oltre che, a pochissima distanza, un involucro in cellophane. Sia il borsone, sia l’involucro contenevano le armi indicate in rubrica; da ciò, l’incriminazione e la condanna dell’imputato.
Ricorso per cassazione
Ricorre per cassazione MF, a mezzo dei difensori, deducendo due motivi.
Con il primo motivo, viene denunciata violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) e lett. e) cod. proc. pen., in relazione agli artt. 192 comma 2, 125 comma 3, 533 comma 1 e 546 comma 1 lett. e) cod. proc. pen., per avere, la sentenza impugnata, omesso la motivazione in ordine al devoluto e, comunque, per aver reso una motivazione manifestamente illogica e contraddittoria.
La decisione avversata si fonda su un dato di carattere oggettivo, costituito dal fatto che le armi vennero ritrovate in un posto immediatamente adiacente, rispetto a dove è sita l’uscita posteriore del garage di proprietà dell’imputato; da tale dato di tenore fattuale, la Corte territoriale ha tratto il convincimento dell’appartenenza al prevenuto delle armi stesse. Tale elemento oggettivo viene corroborato, secondo il convincimento raggiunto dalla Corte di appello, dalla considerazione che MF conoscesse e frequentasse tale luogo (circostanza desunta, a sua volta, dall’aver egli saputo descrivere tali luoghi, nel corso dell’interrogatorio). La conoscenza, però, derivava semplicemente dall’esser stato l’imputato presente alla perquisizione.
Il dato secondo il quale MF procedesse a frequenti ispezioni del posto (descritto dal primo giudice come niente altro che “un dirupo abbandonato”), invece, è del tutto privo di adeguata dimostrazione. La stessa Corte distrettuale, del resto, è costretta ad ammettere la possibilità che altri – magari calandosi dalla suddetta zona incolta, ovvero anche scendendo da un terrazzo grazie all’utilizzo di una scala – possano aver posizionato in tal posto le armi.
La Corte, inoltre, manca di confrontarsi con gli esiti della ricerca papillare effettuata sulle armi, che rivestono una importanza fondamentale in punto di riconducibilità soggettiva e che hanno sortito un esito favorevole, per la posizione del ricorrente. Le analisi effettuate, infatti, hanno consentito di accertare come l’impronta rinvenuta sulla valigetta contenente le armi non sia riferibile all’imputato.
Con il secondo motivo, viene denunciata violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), lett. c) e lett. e) cod. proc. pen., con riferimento agli artt. 81, 132 e 133 cod. pen, nonché 125 cod. proc. pen., stante la omessa motivazione in ordine al devoluto e per aver reso una motivazione manifestamente illogica e contraddittoria.
La sentenza impugnata non tiene conto del fatto che – a tutto voler concedere – l’imputato si sarebbe limitato a consentire ad altri di posizionare le armi nel suddetto sito; trattasi, inoltre, del titolare di un bar, una persona, cioè, inserita in un sano contesto sociale ed economico, che non risulta legata alla criminalità organizzata e che, anzi, è stata in passato vittima di questa, come dimostrato dalla denunzia da lui inoltrata contro un clan egemone in zona.
Con tempestivi motivi nuovi, la difesa ha dedotto la violazione degli artt. 606, comma 1, lett. b), lett. c) e lett. e) cod. proc. pen., in relazione agli artt. 10 e 14 legge 14 ottobre 1974, n. 497 e 23 legge 18 aprile 1975, n. 110, oltre che in relazione agli artt. 648 cod. pen., 192 comma 2, 125 comma 3, 533 comma 1 e 546 comma 1 lett. e) cod. proc. pen., sotto il profilo del travisamento della prova per omissione, per quanto inerisce agli esiti dell’accertamento tecnico relativo alla ricerca papillare, nonché per aver reso una motivazione manifestamente illogica e contraddittoria.
Si richiamano, poi, la già lamentata manifesta illogicità della motivazione e la contraddittorietà interna ed esterna della stessa, derivante dall’utilizzo di un elemento di valutazione e conoscenza inesistente in atti, ossia quello attinente alla asserita frequentazione ed assidua ispezione – ad opera del ricorrente – della parte retrostante il suo garage, laddove vennero ritrovate le armi.
È errato pervenire a tale conclusione, semplicemente muovendo dal fatto che – in sede di interrogatorio – MF sia stato in grado di descrivere il sito; ciò è dipeso, invece, unicamente dall’esser stato l’imputato presente all’attività di perquisizione effettuata dalla polizia giudiziaria.
Si ribadisce, inoltre, il travisamento della prova per omissione, in quanto la sentenza avversata non ha considerato gli esiti della ricerca papillare, che ha una valenza favorevole al ricorrente, dato che è risultata presente esclusivamente l’impronta papillare di un soggetto terzo. Tale profilo, pur essendo stato oggetto di specifica devoluzione in sede di gravame, non è stato trattato dalla Corte, pur essendo esso in grado di dimostrare come MF non avesse mai maneggiato le armi incriminate e, pertanto, non potesse averne avuto la disponibilità.
Viene poi richiamata la già lamentata lesione riferita al canone del ragionevole dubbio.
Decisione della Suprema Corte
Il primo motivo è fondato, nei termini di seguito chiariti, risultando l’accoglimento dello stesso assorbente rispetto a ogni doglianza ulteriore.
Il fondamentale dato della riconducibilità delle armi al ricorrente si situa, nell’ottica della Corte distrettuale, sul crinale della cd. prova logica, derivante dal collegamento inferenziale fra una pluralità di elementi valutativi e sotto meglio analizzato.
In primo luogo, la Corte richiama massime di comune esperienza, enunciando una regola interpretativa in base alla quale – se un soggetto intende nascondere qualcosa di importante e illecito – cerca di individuare un sito che sia, a un tempo, inaccessibile sia per le forze dell’ordine, sia per terzi che potrebbero, eventualmente, impossessarsi della merce.
Ciò premesso, MF viene ritenuto dalla Corte di appello perfettamente a conoscenza dello stato dei luoghi; viene ritenuto, altresì, essere un frequentatore degli stessi, tanto che immediatamente fornisce la chiave del garage.
Viepiù, in sede di udienza di convalida dell’arresto, egli afferma che altri soggetti – restati ovviamente ignoti al processo – potrebbero essersi calati dal terrazzo sovrastante, accessibile dall’appartamento del succitato [Tizio], servendosi di una certa scala (poi non rinvenuta). Prosegue la Corte territoriale sottolineando come la porzione di terreno retrostante, rispetto al garage di proprietà di MF non sia in realtà abbandonata, come dimostra la presenza della già detta porta blindata; da ciò, trae la conclusione che il proprietario dell’intero immobile abbia cura – in modo costante – dello stesso e, quindi, ispezioni con cadenza regolare anche il terreno ad esso retrostante.
L’ulteriore elemento deduttivo sottolineato dai giudici di secondo grado è nel senso che un terzo, non identificato, che avesse collocato le armi nel terreno sopra descritto, avrebbe compiuto un gesto del tutto privo di razionalità, in quanto si sarebbe esposto, in tal modo, ad un serio rischio di impossessamento delle armi ad opera di altri.
Le ulteriori deduzioni operate dalla Corte di appello attengono:
– alla tipologia di scala descritta dall’indagato, mai ritrovata in loco e che avrebbe comunque dovuto avere – secondo quanto ritenuto in sentenza – una altezza davvero notevole, onde consentire l’accesso al terreno, partendo dal terrazzo sovrastante; al posizionamento del borsone, che è stato rinvenuto adagiato sul terreno e – protetto da una tettoia, oltre che proprio accanto all’uscita secondaria del garage (segnali evidentemente evocativi, secondo la sentenza impugnata, del collocamento dello stesso ad opera proprio del soggetto che aveva la disponibilità del locale);
– alla sicura conoscenza esistente fra [Tizio] (sarebbe a dire, il soggetto destinatario dell’originaria perquisizione posta in essere dalla polizia giudiziaria) e MF. Da tale dato, la Corte distrettuale deduce la non illogicità della conclusione che l’imputato possa essersi prestato a detenere le armi su mandato dello stesso [Tizio] (ipotesi che la stessa sentenza riconosce, comunque, essere sfornita di elementi a sostegno) ovvero su indicazione proveniente da terzi, rimasti sconosciuti al processo (ipotesi che si giudica non peregrina in forza di una deduzione di tipo “ambientale”, che trova scaturigine nel fatto che MF vive e lavora a […], zona notoriamente ad alta densità camorristica).
…La prova logica e il suo percorso formativo
La struttura motivazionale esibita dalla sentenza avversata esige un esame attento ed approfondito. Giova subito precisare come – stando proprio a quanto esposto dalla Corte territoriale – non si disponga di una prova diretta, di natura magari dichiarativa, documentale o scientifica. La prova della penale responsabilità dell’imputato deve essere raggiunta, allora, non attraverso la strada dell’acquisizione diretta, bensì in via induttiva ed inferenziale.
Viene quindi in rilievo il noto percorso formativo della cd. prova logica. Un procedimento concettuale improntato alla ricerca della formazione deduttiva del convincimento, che però è tale da offrire ugualmente la necessaria, tranquillizzante coerenza e la rigorosa tenuta logica. Si può giungere, pertanto, alla formazione di una prova piena e rassicurante – circa la colpevolezza di un dato soggetto – se non sub specie di prova testimoniale o dichiarativa – almeno sotto il versante della prova critica.
Servendosi, dunque, del ben noto canone razionale e dialettico, consistente nel trarre elementi di convincimento dal perfetto collimare di circostanze note – pur se non direttamente rappresentative del fatto da provare – ma che, debitamente valutate, sia singolarmente che globalmente, possano condurre ad un esito probatorio dotato di concludenza tale, da consentire di escludere la ragionevole possibilità di prospettazione di qualsivoglia soluzione alternativa.
…La prova indiziaria
Trattasi, insomma, della tipologia di prova richiesta dall’art. 192, comma 2, del codice di rito. Questa ultima disposizione, infatti, prevede che «l’esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi a meno che questi siano gravi, precisi e concordanti», evocando appunto la prova critica, logica, indiretta e contrapponendola implicitamente alla prova diretta, storica o rappresentativa, acquisibile con i mezzi previsti dal secondo titolo dello stesso libro terzo del codice di rito (pare anche utile richiamare il dictum, fra le altre, di Sez. 5, n. 36152 del 30/04/2019, Rv. 277529, a mente della quale: «In tema di prova indiziaria, il requisito della molteplicità, che consente una valutazione di concordanza e quello della gravità sono tra loro collegati e si completano a vicenda, nel senso che, in presenza di indizi poco significativi, può assumere rilievo l’elevato numero degli stessi, quando una sola possibile è la ricostruzione comune a tutti, mentre, in presenza di indizi particolarmente gravi, può essere sufficiente un loro numero ridotto per il raggiungimento della prova del fatto»).
…La precisione
Giova però anche sottolineare come – nella lettera dell’art. 192 cod. proc. pen. – il riferimento al connotato della precisione degli indizi stigmatizzi ed escluda la possibilità di utilizzare, ai fini che ora interessano, una circostanza indiziante che appaia idonea ad adattarsi indifferentemente ad una difforme interpretazione dei fatti e che sia dotata di pari capacità evocativa, ossia che risulti in grado di condurre ad una soluzione alternativa, rispetto alla prova del fatto ignoto da dedurre. L’indizio preciso, allora, è quello qualificabile come “necessario”.
…La concordanza
Mediante il richiamo al concetto di concordanza, poi, si intende affermare che la verifica, circa la concludenza e certezza del fatto da provare, debba essere saggiata non singolarmente, relativamente ad una circostanza indiziante – che sia fornita, ovviamente, dei requisiti della certezza e della gravità – bensì simultaneamente, nel senso che è necessario procedere ad una valutazione complessiva, inerente a tutti gli elementi presuntivi che presentino singolarmente una positività parziale o, almeno, potenziale di efficienza probatoria.
…Le deduzioni difensive
Nel caso di specie, la difesa aveva auspicato, mediante specifica deduzione formulata in sede di gravame, anche l’attento vaglio di un elemento indiziario ulteriore, rispetto a quelli presi in considerazione dalla Corte; elemento che – in ipotesi difensiva – sarebbe stato astrattamente in grado di condurre a difformi lumi, in punto di riferibilità soggettiva della condotta di detenzione delle armi.
Era stata valorizzata, infatti, l’esistenza di un accertamento dattiloscopico e papillare condotto sulle armi, atto a dimostrare – in ipotesi difensiva – la riconducibilità della detenzione a ignoti soggetti terzi; ciò in ragione dell’assenza di impronte riferibili all’imputato e, invece, della presenza di tracce papillari ascrivibili ad altri (cfr. analisi dattiloscopica sussunta nella relazione tecnica RIS CC). Trattasi di un elemento che – nell’ambito del procedimento inferenziale, sul quale si fonda l’iter argomentativo sposato dalla sentenza impugnata – avrebbe potuto ipoteticamente scalfire la saldezza della ricostruzione operata dalla Corte distrettuale.
…e la loro omessa considerazione
Con tale dato, i giudici di appello hanno invece omesso qualunque confronto. Si è pertanto verificato, nella concreta fattispecie, il dedotto vizio di travisamento della prova per omissione, deducibile per cassazione ai sensi dell’art. 606, comma primo, lett. e) cod. proc. pen. e configurabile quando manchi la motivazione, in ordine alla valutazione di un elemento probatorio acquisito nel processo (fra tante, Sez. 4, n. 50557 del 07/02/2013, Rv. 257899). L’elemento pretermesso, come detto, che riveste una chiara connotazione di decisività, apparendo – almeno astrattamente – atto a disarticolare la saldezza logica della decisione avversata, soprattutto a fronte di una imputazione di detenzione di armi di carattere non concorsuale (che per definizione, quindi, postula il diretto contatto, fra l’unico detentore e le armi).
Sarà allora indispensabile – in sede di giudizio rescissorio – verificare se l’elemento conoscitivo mancante sia effettivamente dotato della specifica attitudine, una volta considerato, a minare il sopra riassunto tessuto argomentativo, che sorregge la pronunzia oggetto di impugnazione.
…L’esito
Alla luce delle considerazioni che precedono, si impone l’annullamento della sentenza impugnata, con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello.
Note di commento
La capillare descrizione dei fatti contenuta nella prima parte della decisione annotata permette di comprendere quali elementi abbiano valorizzato i giudici di merito che hanno concordemente riconosciuto la responsabilità del ricorrente per le imputazioni contestategli.
Eccoli: un borsone e un involucro di cellophane contenenti armi da guerra e il relativo munizionamento trovati sotto una tettoia in un terreno incolto immediatamente adiacente ad un garage di sua proprietà ed al quale si accedeva aprendo una porta blindata di cui l’imputato aveva la chiave; la conoscenza di tale luogo dimostrata dall’imputato nel corso del suo interrogatorio.
La decisione elenca anche gli ulteriori elementi che quei giudici avevano o avrebbero potuto avere a disposizione per arricchire la base fattuale disponibile e, in ipotesi, per pervenire ad un diverso verdetto.
Sono questi: la conoscenza del luogo del ritrovamento da parte dell’imputato poteva essere spiegata alternativamente con la sua presenza fisica all’atto della perquisizione che aveva portato al sequestro delle armi e delle munizioni; il ritrovamento sul contenitore delle armi di un’impronta papillare non appartenente all’imputato e, per contro, l’assenza di impronte attribuibili a quest’ultimo; il positivo profilo personale di MF, titolare di un esercizio commerciale, non legato ad ambienti di criminalità organizzata ed anzi vittima di questa, come risultava da una sua denuncia passata nei confronti del clan egemone della zona.
La decisione mette infine in luce le congetture possibili e comunque affacciatesi nel giudizio: l’imputato ispezionava frequentemente il terreno; persone diverse da lui avrebbero potuto entrarvi e depositarvi le armi.
Sappiamo come entrambi i giudici di merito abbiano maneggiato questo insieme di elementi.
Si sono serviti di un sillogismo fondato su plurime proposizioni maggiori: le armi e le munizioni sono state trovate in un luogo immediatamente prossimo ad un garage di proprietà dell’imputato ed al quale si accedeva attraverso una porta blindata di cui costui aveva le chiavi; il medesimo frequentava abitualmente il luogo del ritrovamento e conosceva Tizio nei cui confronti era stata inizialmente disposta la perquisizione; non era stata trovata alcuna scala che potesse essere utilizzata da soggetti diversi dall’imputato per entrare nel terreno.
Hanno poi utilizzato come proposizione minore la massima d’esperienza secondo la quale “se un soggetto intende nascondere qualcosa di importante e illecito – cerca di individuare un sito che sia, a un tempo, inaccessibile sia per le forze dell’ordine, sia per terzi che potrebbero, eventualmente, impossessarsi della merce”.
Sono quindi pervenuti ad una conclusione: l’imputato deteneva le armi in proprio o su mandato di Tizio o su richiesta di terzi.
È il momento di dire che si tratta di un sillogismo traballante in ogni sua parte ed in effetti come tale è stato considerato dal collegio di legittimità.
È tale nelle proposizioni maggiori per via dell’omesso inserimento di un dato fattuale, quello del ritrovamento sul borsone di un’impronta papillare non appartenente all’imputato, in grado di privare del requisito della concordanza il residuo insieme indiziario, tanto più considerato che le imputazioni non erano contestate in concorso con ignoti e che, dunque, il contatto di un terzo con il contenitore delle armi introduce un elemento di irriducibile conflittualità con l’ipotesi accusatoria.
Il sillogismo traballa anche nella proposizione minore: non solo perché, senza neanche scomodare La lettera rubata di Edgar Allan Poe – il miglior nascondiglio possibile non è necessariamente quello ipotizzato nella sentenza impugnata ma anche perché, se si vuole minimizzare il rischio di essere scoperti dalle forze dell’ordine, non è un’idea brillantissima collocare armi da guerra esattamente accanto al proprio garage.
Traballa infine nelle conclusioni come è reso evidente dal fatto che ne sono state tracciate tre alternative, due delle quali assimilabili a un soffio di vento per la totale assenza di riscontri che gli diano sostanza, e la terza – quella privilegiata – frutto dello sgangherato percorso argomentativo stigmatizzato dai giudici della prima sezione penale.
In conclusione, l’ennesima conferma che il sonno della ragione genera mostri.
