Cassazione penale, Sez. 2^, sentenza n. 18099/2025, 20 marzo/13 maggio 2025, ha chiarito i limiti dell’utilizzo processuale delle indicazioni fornite dal sistema SARI di riconoscimento immagini in uso alla polizia giudiziaria.
Provvedimento impugnato
Con sentenza del 25/10/2024, la Corte d’appello confermava la sentenza del 17/01/2024 del GIP, emessa in esito a giudizio abbreviato, con la quale DS era stato condannato alla pena di giustizia per il reato di rapina pluriaggravata (dall’essere stata la minaccia commessa con armi, da persone travisate e da più persone riunite, dall’essere stato il fatto commesso nei confronti di persone ultrasessantacinquenni e dall’avere cagionato alle stesse un danno patrimoniale di rilevante gravità).
Ricorso per cassazione
Si riportano due soltanto tra i motivi di ricorso, gli unici di interesse ai fini della questione oggetto del post.
Il primo di essi è proposto in relazione all’art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen., per violazione dell’art. 192 dello stesso codice «con riferimento alla inutilizzabilità degli esiti accertativi delle immagini relative al riconoscimento di DS attraverso il Sistema SARI e alla mancanza, carenza e illogicità della motivazione in punto di valorizzazione indiziaria».
Dopo avere trascritto il proprio motivo di appello su tale punto (pagg. 10-13 del ricorso), il difensore di DS lamenta che la Corte d’appello non avrebbe «vagliato il motivo di gravame specificamente argomentato dalla difesa, omettendo di sondare la violazione dei diritti fondamentali dei cittadini così come riportati nel motivo sopra trascritto».
Secondo il ricorrente, sarebbe comunque illogico attribuire valenza indiziaria a una compatibilità solo del 55,2% tra le immagini di uno dei soggetti che erano stati ripresi dalle telecamere di videosorveglianza e l’immagine del proprio cartellino foto-segnaletico, atteso che, così facendo, «[s]i entra nel concetto di probabilismo confinante con il possibilismo così non consentendo che dell’esito accertativo se ne possa dedurre un elemento a carico dell’imputato».
Col secondo motivo, sviluppato in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., il difensore deduce violazione di legge e manifesta illogicità e carenza della motivazione «in ordine al riconoscimento facciale effettuato dai Carabinieri del RIS mediante “confronto antroposomatico”».
Il difensore lamenta la manifesta illogicità della motivazione in quanto la Corte d’appello di avrebbe valorizzato il suddetto riconoscimento antroposomatico «non tanto in virtù della capacità e forza scientifica, oggettivamente dimostrata, sottoponibile ad un giudizio controfattuale che impedisce qualsiasi soluzione alternativa, ma in forza della mancanza di elementi che ne avrebbero potuto generare la incompatibilità, come, ad esempio, l’aver sostenuto l’insussistenza di “difformità”».
Inoltre, non vi sarebbe «alcuna spiegazione cerca il grado di compatibilità tra i fotogrammi estrapolati dalle videoriprese e la fotografia segnaletica dell’imputato», in termini di «percentuale di compatibilità».
Deduce ancora che qualora, «come auspicato dalla difesa, si dichiarassero inutilizzabili gli esiti acquisitivi derivanti dall’utilizzo del Sistema SARI, ne deriverebbe, all’evidenza, la mancanza dell’elemento di prova da sottoporre a confronto di compatibilità con la fotografia segnaletica dell’imputato».
Decisione della Suprema Corte
Il primo motivo è manifestamente infondato.
Si deve anzitutto evidenziare che, nell’economia della decisione della Corte d’appello, gli esiti del riconoscimento facciale con il sistema SARI (Sistema automatico di riconoscimento immagini) in uso alla polizia giudiziaria assumono solo il ruolo di uno dei plurimi riscontri individualizzanti alle dichiarazioni accusatorie che erano state rese nei confronti dell’imputato dai due coimputati AR e PT – i quali avevano confessato di avere commesso la rapina, dichiarando che alla stessa aveva partecipato anche DS, con la funzione di basista -, tra i quali riscontri vi erano anche le risultanze dei dati relativi al traffico e all’ubicazione dei telefoni cellulari del DS.
Ciò evidenziato, si deve osservare che, come è stato rilevato dalla Corte d’appello, che la Suprema Corte, con la sentenza n. 39551 del 13/07/2023, non massimata, non ha escluso l’utilizzabilità degli esiti dell’utilizzo del Sistema SARI, qualora gli stessi si inseriscano in un più strutturato complesso di risultanze probatorie («il Tribunale del Riesame non si è limitato a valorizzare il giudizio di compatibilità dei dati somatici del viso, offerto dal sistema Sari in uso alle forze di polizia giudiziaria, che forniva una percentuale di somiglianza non rassicurante, ma ha dato rilievo ad un sistema di comparazione elaborato dalla polizia scientifica che non si limita ad attribuire un giudizio di somiglianza tra le immagini dei volti poste a raffronto, ma che si basa sui dati fisionomici dell’individuo, e quindi su parametri estremamente individualizzanti, che ha fornito un risultato di compatibilità in relazione a tutti gli elementi posti in comparazione, ma che non ha consentito di garantire certezza di identità per il solo fatto che i dati desumibili dalle immagini erano soltanto in numero di otto. A fronte di tale elemento indiziario estremamente significativo, il giudice del riesame ha poi tratto spunto dal conforto costituito da ulteriori elementi rafforzativi […]»).
Nel caso in esame, tali risultanze probatorie erano senz’altro ravvisabili nelle chiamate in correità dei due coimputati, nei dati relativi al traffico e all’ubicazione dei telefoni cellulari del DS e, con specifico riguardo all’individuazione dello stesso DS come uno dei soggetti che erano stati ripresi dalle telecamere di videosorveglianza, nelle risultanze del confronto antroposomatico che era stato svolto dai Carabinieri del RIS di cui subito si dirà.
Il secondo motivo è manifestamente infondato.
La Corte d’appello ha riportato tutte le coincidenze a livello antroposomatico che erano state riscontrate dai Carabinieri del RIS confrontando i fotogrammi che erano stati estrapolati dalle riprese delle telecamere di videosorveglianza e la fotografia segnaletica del ricorrente («grado di adiposità del volto; morfologia del volto; tipologia di capelli; attaccatura dei capelli sulla regione frontale e temporale destra; andamento della fronte; morfologia dell’andamento del naso; pliche naso buccali; morfologia del mento; andamento del profilo fronto-nasale; morfologia generale del padiglione auricolare destro»).
La Corte d’appello ha altresì evidenziato come i Carabinieri del RIS, nell’esprimere la propria valutazione di compatibilità tra i soggetti che avevano sottoposto a confronto, avessero chiarito come la mancata espressione di un giudizio di compatibilità totale fosse dovuta solo alla mancanza di segni caratteristici quali nei, cicatrici, rughe caratteristiche, eccetera.
Alla luce di ciò, l’affermazione della Corte d’appello secondo cui vi era «piena sovrapposizione tra i tratti somatici dell’imputato e quelli della persona ripresa dal sistema di videosorveglianza» appare del tutto conseguente e pienamente logica.
Pertanto, la Corte d’appello ha fondato il proprio giudizio di compatibilità non «in forza della mancanza di elementi che ne avrebbero potuto generare la incompatibilità», come è sostenuto dal ricorrente, ma in forza – in positivo – della sopra indicata piena sovrapponibilità dei tratti somatici del ricorrente ai tratti somatici del soggetto che era stato ripreso dalle telecamere di videosorveglianza.
Solo successivamente al riscontro, in positivo, di tale piena sovrapponibilità, la Corte d’appello ha verificato, in modo anch’esso del tutto logico, l’assenza di «alcuna difformità».
