Dottrina e giurisprudenza, da noi e fuori dai nostri confini, si affannano da sempre e fin qui inutilmente nella ricerca di una definizione che identifichi in modo inoppugnabile cos’è che rende penale il penale.
Sono state sì fatte molte proposte ma nessuna di esse è stata esente da critiche così come, ove si volesse uscire dalla stretta cerchia degli adepti, nessuna di esse sarebbe spendibile per spiegare con chiarezza alla donna e all’uomo qualunque cos’ha di così unico e irriproducibile il penale rispetto a qualsiasi altra branca del diritto.
Neanch’io ho la risposta, figuriamoci, e neanche il metodo nel senso che non so come cercarla.
In tutta onestà non sono neanche in grado di formulare sequenze accettabili, anche solo quanto basta per avvicinarmi ad un risultato proponibile.
La sola cosa che mi riesce di fare è andare per sensazioni che hanno l’enorme vantaggio di non dovere essere né spiegate perché sono inspiegabili né giustificate perché sono ingiustificabili.
La prima è che non si arriva da nessuna parte se si usa la legge penale e si rimane lì dentro. Qui, per la verità, un minimo fondamento razionale posso offrirlo: se bastasse la legge penale a spiegare il penale, sarebbe come dire che è penale ciò che il legislatore vuole sia penale ma anche questa tesi, pure proposta, non è sfuggita severe censure per ragioni che non è certo il caso di esaminare qui.
Bisogna uscire dal penale, allora, e andare verso gli esseri umani.
Sì, ma quali?
Quelli che lo pensano e lo producono se considerati tutti insieme sono una folla indistinta e la dinamica delle folle è un po’ troppo azzardata come chiave di lettura. Se considerati come singoli, sono irraggiungibili.
Ci sarebbero poi gli altri, quelli che amministrano giustizia, ma è lo stesso dei legislatori.
Resta quindi una sola possibilità: quelli sui quali si abbatte il penale. Non il tipo astratto ma quelli in carne e ossa accusati o condannati.
Serve considerare gli effetti del processo e della pena su chi li subisce.
È penale allora, in questa prospettiva, ciò che succede a qualcuno che stia subendo un giudizio o scontando una pena.
E quindi cosa?
Il giudizio.
Che effetto fa su chi lo subisce?
Ci sono vari elementi degni di nota.
Sottoposizione a un potere pubblico.
Confronto con un’istituzione esoterica.
Partecipazione a un rito esoterico nella forma, nel linguaggio, nelle procedure, nelle decisioni, negli effetti.
Stigma immediato e sostanzialmente irreversibile.
Superfetazione del giudizio.
Non è e non è mai stata soltanto la contestazione specifica.
Il giudizio penale, superata una certa soglia di gravità, è sempre giudizio di una vita intera.
Se l’accusa è di furto, ciò che si sta negoziando e dibattendo non è se l’accusato ha rubato quella volta ma se è un ladro sempre e, ancora di più, se è un nemico della comunità sempre.
Ed allora, potrebbe essere penale ciò che apre un dibattito non su un fatto-reato ma su un’esistenza.
Poi c’è la pena.
Ne parliamo praticamente ogni giorno in questo blog e, facendolo, siamo costretti a testimoniare disperazione piuttosto che speranza, vite dissolte piuttosto che ricucite, odio piuttosto che accoglienza sicché, sia pure per frammenti, ciò che andiamo raccontando è che penale è molto più e molto peggio di quanto si ritenga comunemente.
Posso adesso concludere, proponendo queste definizioni provvisorie.
È penale quello che costringe al confronto con l’incomprensibile.
È penale quello che mette in discussione un’intera esistenza.
È penale quello che trasforma in persone diverse e peggiori.
È penale quello che mette di fronte a mura invalicabili perché alte fino al cielo e lunghe quanto l’orizzonte.
Altro non saprei.
