Pubblico Ministero omette deposito lista testi e il giudice non esercita i suoi poteri di integrazione probatoria: la cassazione bacchetta il giudicante (Riccardo Radi)

La Cassazione penale sezione 5 con la sentenza numero 25626/2025 ha esaminato la seguente questione: il pubblico ministero non aveva, depositato, nei termini prescritti dall’art. 468 cod. proc. pen., una nuova lista testimoniale. Adempimento reso necessario del fatto che la lista “originaria” era rimasta nel fascicolo del procedimento principale.

Nel processo a carico del P., il Tribunale di Ragusa ha assolto l’imputato, attesa la mancanza della lista testimoniale del pubblico ministero e di ulteriori prove addotte a sostegno dell’accusa. Il giudice di primo grado ha ritenuto di non poter attivare i suoi poteri officiosi, ex art. 507 cod. proc. pen., non potendo trarre alcuno spunto per l’esercizio di tali poteri dalla copia della lista testi prodotta in udienza dal pubblico ministero, relativa al procedimento principale a carico degli originari imputati, atteso che da essa non sarebbe stato possibile evincere quali testi avessero espletato attività di indagine nei confronti del P..

A tal fine, inoltre, non sarebbero stati utili né il capo di imputazione né gli altri atti presenti nel fascicolo.

Decisione:

La Suprema Corte bacchetta il giudicante in quanto, non ha osservato l’art. 507 cod. proc. pen., come interpretato dalla costante giurisprudenza di legittimità, secondo la quale «il giudice ha il dovere di acquisire, anche d’ufficio, i mezzi di prova indispensabili per la decisione, dovendosi escludere che sia rimessa alla sua discrezionalità la scelta tra disporre i necessari accertamenti ed il proscioglimento dell’imputato; cosicchè il mancato esercizio di detti poteri di integrazione probatoria richiede una motivazione specifica la cui omissione, censurabile in sede di legittimità, determina la nullità della sentenza per violazione di legge» (Sez. 3, n. 10488 del 17/02/2016, Nica, Rv. 266492; Sez. 2, n. 51740 del 03/12/2013, Mitidieri, Rv. 258115; Sez. 5, n. 38674 del 11/10/2005, Tiranti, Rv. 232554).

Ebbene, nel caso in esame, il Tribunale ha ritenuto di non esercitare i suoi poteri di integrazione probatoria, senza rendere un’effettiva e congrua motivazione, limitandosi a sostenere che: dalla copia della lista testi prodotta in udienza dal pubblico ministero, relativa al procedimento a carico degli originari imputati, non sarebbe stato possibile evincere quali testi avessero espletato attività di indagine nei confronti del P.; al fine dell’esercizio dei poteri in questione, non sarebbero stati utili il capo di imputazione e gli altri atti presenti nel fascicolo.

Si tratta di affermazioni generiche, assertive e che non trovano riscontro nella lista testi in questione, dalla quale emerge che (a eccezione del «teste privato L.V.») i pochissimi testi indicati, secondo le rispettive competenze e qualifiche, avevano effettuato i medesimi accertamenti con riferimento a tutte le posizioni degli imputati e dunque anche con riferimento a quella del P..

Il Tribunale non ha spiegato neppure perché lo “spunto” per l’esercizio dei suoi poteri non potesse essere desunto dall’imputazione, dalla quale era desumibile che le persone offese dei reati erano l’Agenzia delle entrate di Vittoria e il Comune di Acate, che, peraltro, erano le stesse dei reati contestati agli altri imputati.

Il direttore dell’ufficio di Vittoria dell’Agenzia delle entrate e la dirigente dell’Ufficio anagrafe del Comune di Acate, infatti, erano significativamente indicati nella suddetta lista testi.

La sentenza impugnata, conseguentemente, deve essere annullata con rinvio, ai sensi dell’art. 569, comma 4, cod. proc. pen., al Tribunale di Ragusa per il relativo giudizio. Pur trattandosi di un ricorso immediato per cassazione, il rinvio deve essere effettuato al giudice di primo grado e non a quello di secondo grado, atteso che il mancato esercizio dei poteri officiosi, in assenza di un’effettiva motivazione, ha determinato la nullità della sentenza per violazione di legge; nullità che avrebbe comportato l’annullamento della sentenza di primo grado, anche se la parte avesse proposto appello.

L’art. 569, comma 4, cod. proc. pen., invero, prevede che il rinvio al giudice di secondo grado vada effettuato «fuori dei casi in cui nel giudizio di appello» si dovrebbe «annullare la sentenza di primo grado».