Controllo di legittimità sulla motivazione: avverbi, aggettivi e sostantivi come oppio del popolo (Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 2^, sentenza n. 21909/2025, 7 maggio/10 giugno 2025, offre una compiuta elencazione del panorama giurisprudenziale attorno al vizio di motivazione.

La decisione della Suprema Corte

…Perimetro del controllo di legittimità sulla motivazione

Il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato deve mirare a verificare che la relativa motivazione sia:

a) “effettiva”, ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata;

b) non “manifestamente illogica”, ovvero sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica;

c) non internamente “contraddittoria”, ovvero esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute;

d) non logicamente “incompatibile” con altri atti del processo, dotati di una autonoma forza esplicativa o dimostrativa, tale che la loro rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto dal giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o radicalmente inficiare sotto il profilo logico la motivazione (nell’affermare tale principio, la Corte ha precisato che il ricorrente, che intende dedurre la sussistenza di tale incompatibilità, non può limitarsi ad addurre l’esistenza di atti del processo non esplicitamente presi in considerazione nella motivazione o non correttamente interpretati dal giudicante, ma deve invece identificare, con l’atto processuale cui intende far riferimento, l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione adottata dal provvedimento impugnato, indicare le ragioni per cui quest’ultimo inficia o compromette in modo decisivo la tenuta logica e l’interna coerenza della motivazione).

…Insufficienza del contrasto di singoli atti processuali con la ricostruzione complessiva sulla quale è fondata la decisione impugnata

Non è dunque sufficiente che gli atti del processo invocati dal ricorrente siano semplicemente “contrastanti” con particolari accertamenti e valutazioni del giudicante e con la sua ricostruzione complessiva e finale dei fatti e delle responsabilità, né che siano astrattamente idonei a fornire una ricostruzione più persuasiva di quella fatta propria dal giudicante. Ogni giudizio, infatti, implica l’analisi di un complesso di elementi di segno non univoco e l’individuazione, nel loro ambito, di quei dati che – per essere obiettivamente più significativi, coerenti tra loro e convergenti verso un’unica spiegazione – sono in grado di superare obiezioni e dati di segno contrario, di fondare il convincimento del giudice e di consentirne la rappresentazione, in termini chiari e comprensibili, ad un pubblico composto da lettori razionali del provvedimento.

…Necessità che gli atti indicati a sostegno del vizio di motivazione siano in grado di disarticolare l’intero ragionamento del giudicante

È, invece, necessario che gli atti del processo richiamati dal ricorrente per sostenere l’esistenza di un vizio della motivazione siano autonomamente dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione sia in grado di disarticolare l’intero ragionamento svolto dal giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione.

Il giudice di legittimità è, pertanto, chiamato a svolgere un controllo sulla persistenza o meno di una motivazione effettiva, non manifestamente illogica e internamente coerente, a seguito delle deduzioni del ricorrente concernenti “atti del processo”.

Tale controllo, per sua natura, è destinato a tradursi in una valutazione, di carattere necessariamente unitario e globale, sulla reale “esistenza” della motivazione e sulla permanenza della “resistenza” logica del ragionamento del giudice.

…Al giudice di legittimità non è consentita la rilettura degli elementi di fatto

Al giudice di legittimità è quindi preclusa – in sede di controllo della motivazione – la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti e del relativo compendio probatorio, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa.

Tale modo di procedere trasformerebbe, infatti, la Corte nell’ennesimo giudice del fatto, mentre la Corte Suprema, anche nel quadro della nuova disciplina introdotta dalla legge 20 febbraio 2006 n. 46, è – e resta – giudice della motivazione.

…Sono unicamente deducibili come vizi della motivazione la mancanza, la manifesta illogicità, la contraddittorietà

In sostanza, in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, Rv. 262965).

Né la Suprema Corte può trarre valutazioni autonome dalle prove o dalle fonti di prova, neppure se riprodotte nel provvedimento impugnato. Invero, solo l’argomentazione critica che si fonda sugli elementi di prova e sulle fonti indiziarie contenuta nel provvedimento impugnato può essere sottoposto al controllo del giudice di legittimità, al quale spetta di verificarne la rispondenza alle regole della logica, oltre che del diritto, e all’esigenza della completezza espositiva (Sez. 6, n. 40609 del 01/10/2008, Rv. 241214).

…Inammissibilità dei motivi pedissequamente riproduttivi di censure già dedotte in appello e disattese

La medesima giurisprudenza di legittimità considera, inoltre, inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e motivatamente disattesi dal giudice di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto non assolvono la funzione tipica di critica puntuale avverso la sentenza oggetto di ricorso (v., tra le tante, Sez. 5, n. 25559 del 15/06/2012; Sez. 6, n. 22445 del 08/05/2009, Rv. 244181; Sez. 5, n. 11933 del 27/01/2005, Rv. 231708).

In altri termini, è del tutto evidente che, a fronte di una sentenza di appello che ha fornito una risposta ai motivi di gravame, la pedissequa riproduzione di essi come motivi di ricorso per cassazione non può essere considerata come critica argomentata rispetto a quanto affermato dalla Corte d’appello: in questa ipotesi, pertanto, i motivi sono necessariamente privi dei requisiti di cui all’art. 581 cod. proc. pen., comma 1, lett. c), che impone la esposizione delle ragioni di fatto e di diritto a sostegno di ogni richiesta (Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Rv. 243838).

…La manifesta illogicità della motivazione richiede che la ricostruzione con essa contrastante sia inconfutabile, non essendo sufficiente una mera ipotesi alternativa

A ciò si aggiunge che in materia di ricorso per cassazione, perché sia ravvisabile la manifesta illogicità della motivazione considerata dall’art. 606 primo comma lett. e) cod. proc. pen., la ricostruzione contrastante con il procedimento argomentativo del giudice, deve essere inconfutabile, ovvia, e non rappresentare soltanto un’ipotesi alternativa a quella ritenuta in sentenza (cfr. con riferimento a massime di esperienza alternative, Sez. 1, n. 13528 del 11/11/1998, Rv. 212054) dovendo il dubbio sulla corretta ricostruzione del fatto-reato nei suoi elementi oggettivo e soggettivo fare riferimento ad elementi sostenibili, cioè, desunti dai dati acquisiti al processo, e non ad elementi meramente ipotetici o congetturali seppure plausibili (Sez. 4, n. 22257 del 25/03/2014, Rv. 259204; Sez. 5, n. 18999 del 19/02/2014, Rv. 260409).

…Non spetta alla Suprema Corte stabilire se la decisione di merito sia fondata sulla migliore ricostruzione possibile dei fatti

Del resto in tema di vizi della motivazione, il controllo di legittimità operato dalla Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se tale giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (Sez. 5, n. 1004 del 30/11/1999, dep. 2000, Rv. 215745; Sez. 2, n. 2436 del 21/12/1993, dep. 1994, Rv. 196955), ciò perché la correttezza o meno dei ragionamenti dipende anzitutto dalla loro struttura logica e questa è indipendente dalla verità degli enunciati che la compongono.

…Inammissibilità del ricorso surrettizio al vizio di violazione di legge processuale (art. 192, cod. proc. pen.) per censurare valutazioni non condivise del compendio indiziario

Deve, poi, anche ricordarsi che «In tema di ricorso per cassazione, è inammissibile il motivo in cui si deduca la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., anche se in relazione agli artt. 125 e 546, comma primo, lett. e), cod. proc. pen., per censurare l’omessa o erronea valutazione di ogni elemento di prova acquisito o acquisibile, in una prospettiva atomistica ed indipendentemente da un raffronto con il complessivo quadro istruttorio, in quanto i limiti all’ammissibilità delle doglianze connesse alla motivazione, fissati specificamente dall’art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen., non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui all’art. 606, comma primo, lett. c), cod. proc. pen., nella parte in cui consente di dolersi dell’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità» (Sez. 6, n. 45249 del 08/11/2012 – dep. 2012, Rv. 254274).

…Irrilevanza delle “minime incongruenze argomentative” e dell’omessa esposizione di elementi di valutazione non decisivi

A ciò si aggiunge che «In tema di ricorso in cassazione ai sensi dell’art. 606, comma primo lett. e), la denunzia di minime incongruenze argomentative o l’omessa esposizione di elementi di valutazione, che il ricorrente ritenga tali da determinare una diversa decisione, ma che non siano inequivocabilmente munite di un chiaro carattere di decisività, non possono dar luogo all’annullamento della sentenza, posto che non costituisce vizio della motivazione qualunque omissione valutativa che riguardi singoli dati estrapolati dal contesto, ma è solo l’esame del complesso probatorio entro il quale ogni elemento sia contestualizzato che consente di verificare la consistenza e la decisività degli elementi medesimi oppure la loro ininfluenza ai fini della compattezza logica dell’impianto argomentativo della motivazione» (Sez. 2, n. 9242 del 8/2/2013, Rv. 254988).

…Non spetta al giudice di merito analizzare approfonditamente tutte le deduzioni delle parti e le risultanze processuali, essendogli sufficiente spiegare in modo logico e adeguato le ragioni della decisione e dimostrare di avere tenuto presente ogni fatto decisivo

Inoltre va ricordato che, secondo giurisprudenza consolidata della Suprema Corte, nella motivazione della sentenza, il giudice di merito non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni che hanno determinato il suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo; nel qual caso devono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata. (in questo senso v. Sez. 6, n. 20092 del 04/05/2011, Rv. 250105; Sez. 4, n. 1149 del 24.10.2005, dep. 2006, Rv 233187).

…È incensurabile il silenzio su una specifica deduzione prospettata nell’impugnazione o in memorie difensive purché risulti dal tenore complessivo della motivazione che la stessa è stata implicitamente disattesa

Del resto, la Suprema Corte ha chiarito che in sede di legittimità non è censurabile una sentenza per il suo silenzio su una specifica deduzione prospettata col gravame, quando la stessa è disattesa dalla motivazione della sentenza complessivamente considerata. Pertanto, per la validità della decisione non è necessario che il giudice di merito sviluppi nella motivazione la specifica ed esplicita confutazione della tesi difensiva disattesa, essendo sufficiente per escludere la ricorrenza del vizio che la sentenza evidenzi una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione della deduzione difensiva implicitamente, senza lasciare spazio ad una valida alternativa. Sicché, ove il provvedimento indichi con adeguatezza e logicità quali circostanze ed emergenze processuali si sono rese determinanti per la formazione del convincimento del giudice, sì da consentire l’individuazione dell’iter logico-giuridico seguito per addivenire alla statuizione adottata, non vi è luogo per la prospettabilità del denunciato vizio di preterizione (Sez. 2, n. 29434 del 19.5.2004, Rv. 229220; Sez. 2, n. 1405 del 10/12/2013, dep. 2014, Rv. 259643).

Quanto detto vale anche per le memorie difensive ex art. 121 cod. proc. pen. depositate in sede di giudizio di merito atteso che «L’omessa valutazione di una memoria difensiva non determina alcuna nullità, ma può influire sulla congruità e sulla correttezza logico-giuridica della motivazione del provvedimento che definisce la fase o il grado nel cui ambito sono state espresse le ragioni difensive» (Sez. 1, n. 26536 del 24/06/2020, Rv. 279578).

…È una questione di fatto l’interpretazione del linguaggio usato in comunicazioni o conversazioni intercettate

Con riguardo, poi, agli esiti delle attività di intercettazione, fermo restando che «In tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità» (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715 – 01), va anche ricordato che «In materia di intercettazioni costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite» (tra le altre: Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, Rv. 282337 – 01).

…Non è stata ancora inventata la “doloscopia”

Occorre, altresì, ricordare che quasi tutti i ricorsi in esame vedono come argomento di contestazione “trasversale” l’indimostrata prova in capo agli imputati dell’elemento soggettivo dei reati agli stessi rispettivamente in contestazione.

Sul punto, come ha già avuto modo di precisare già in tempi remoti la Suprema Corte, «ai fini dell’accertamento dell’elemento psicologico del soggetto agente, essendo la volontà ed i moti dell’anima interni al soggetto, essi non sono dall’interprete desumibili che attraverso le loro manifestazioni, ossia attraverso gli elementi esteriorizzati e sintomatici della condotta. … Ne deriva che i singoli elementi e quindi anche quelli soggettivi attraverso cui si estrinseca l’azione, inerenti al fatto storico oggetto del giudizio, impongono una loro analisi la quale, essendo pertinente ad elementi di fatto, costituiscono appannaggio del giudizio di merito, non di quello della legittimità che può solo verificare la inesistenza di vizi logici, la correttezza e la compiutezza della motivazione, l’assenza di errori sul piano del diritto, così escludendosi in tale sede un terzo riapprezzamento del merito» (Sez. 1, n. 12726 del 28/09/1988, dep. 1989, Rv. 182105).

Del resto, considerato che, come rilevato in dottrina, la «doloscopia» non e stata ancora inventata, e che quindi il dolo può essere tratto solo da dati esteriori, che ne indicano l’esistenza, e servono necessariamente a ricostruire anche il processo decisionale alla luce di elementi oggettivi, appare evidente che le forme esteriori della condotta sono elementi che ben possono essere utilizzati dal giudicante come prova logica per la qualificazione dell’elemento soggettivo della condotta stessa costituendo indici sintomatici della volontà dell’agente.

Note di commento

È piuttosto diffusa in Cassazione una tecnica argomentativa che sembra una riedizione, ma con profonde modifiche, del metodo scolastico: posta la quaestio di partenza e collocati sullo sfondo fino a farli quasi scomparire l’opponens e il respondens, il magister avoca a se stesso ognuno dei passaggi fondamentali – ivi compresa la perimetrazione della quaestio – per arrivare all’ambìto traguardo del quod demonstrandum erat.

Del resto, alla Suprema Corte spetta assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge e l’unità del diritto oggettivo nazionale e questo alto compito spiega la tendenza a motivazioni che si potrebbero definire “euclidee”, in quanto volte a dimostrare l’implacabile razionalità delle conclusioni raggiunte e, insieme, l’inaccettabilità di qualsiasi conclusione alternativa.

La sentenza di cui si discute si iscrive a buon diritto in questa tipologia di decisioni.

Vale però la pena verificare di quale pasta siano fatte le sue sequenze.

…I misuratori che non misurano

Il modello euclideo ammette assiomi, cioè concetti basici non dimostrati perché intuitivi, dai quali sono ricavati teoremi, cioè proposizioni che non contraddicono gli assiomi.

I risultati dell’organizzazione geometrica euclidea sono noti a tutti, non fosse altro perché tutti devono studiarli a scuola: un’ottima dimostrazione della validità dei suoi assiomi.

Vediamo adesso quanto di realmente euclideo sia contenuto nella decisione della seconda sezione penale.

La verifica non può che fondarsi sulla qualificazione dei concetti essenziali.

Non sfugge che essa è costantemente affidata a misuratori di qualità e quantità, espressi a loro volta da avverbi, aggettivi e sostantivi.

Si procederà per esempi.

L’effettività della motivazione deve rappresentare realmente le ragioni sulle quali è fondata.

La non manifesta illogicità è il frutto di argomentazioni non viziate da evidenti errori logici.

L’assenza di contraddizione interna è attestata dalla correlativa assenza di insormontabili incongruenze.

Gli atti richiamati dal ricorrente a sostegno del vizio di motivazione devono essere capaci di determinare una radicale incompatibilità all’interno del ragionamento giudiziale.

Il vizio di motivazione può essere fondato sulla sua manifesta illogicità la quale, a sua volta, richiede non una mera ipotesi alternativa ma una ricostruzione contrastante inconfutabile.

Il dubbio manifestato sulla corretta ricostruzione del fatto-reato deve essere sostenibile.

La motivazione del giudice di merito è inattaccabile se compatibile col senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento.

Sono irrilevanti le minime incongruenze argomentative e l’omessa esposizione dielementi di valutazione non decisivi.

Sorgono spontanee alcune domande: ammesso e non concesso che le decisioni dei giudici di legittimità siano come avvisi ai naviganti, come potrebbe servirsene chi deve impostare la rotta? Quand’è che una ricostruzione alternativa diventa inconfutabile, quanto deve essere evidente un errore logico, cosa deve dire o non dire il giudice per oltrepassare la plausibile opinabilità di apprezzamento e di cosa si parla quando si accenna al senso comune?

…Le parole irridenti: la doloscopia

Non è stata ancora inventata la doloscopia”. Si legge anche questo nella motivazione e si tratta nient’altro che della copiatura di un concetto espresso da Francesco Mauro Iacoviello, in “Processo di parti e prova del dolo”, Criminalia, 2010, rieditato da DisCrimen nel 2018.

Con una fondamentale differenza: la decisione annotata si mostra decisamente assertiva quanto all’utilizzo dei dati esteriori come elementi sintomatici del dolo; Iacoviello, al contrario, ne constata onestamente i rischi e la fragilità: “Sterminati sono gli indizi della condotta, pochi sono gli indizi del dolo. Ritorna l’interrogativo di Gandino: “quomodo probatur dolus?” E la risposta, ancora oggi, è: “ex coniecturis”.

Stili diversi, senza dubbio.

…In conclusione

Quella annotata è una decisione che ha ben poco di euclideo e che ci consegna un’unica certezza: nessuno, Cassazione compresa, può misurare l’incommensurabile.