Le decisioni che i giudici non devono spiegare (Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 3^, sentenza n. 41430/2024, 23 ottobre/11 novembre 2024, allegata in versione anonimizzata alla fine del post, è una piccola rassegna delle attività giurisdizionali dalla cui motivazione i giudici di legittimità esonerano se stessi e i giudici di merito.

In fatto

Con sentenza del 31/10/2023, la Corte di appello, in parziale riforma della sentenza resa in data 30/06/2021, all’esito di giudizio abbreviato, dal Gip del Tribunale, dichiarava non doversi procedere nei confronti di QL e GDV in ordine alle ipotesi contravvenzionali di cui all’art. 256, commi 1, 3 e 4 d. lgs n. 152/2006 contestate al capo B) e nei confronti di DA in ordine alle ipotesi contravvenzionati di cui all’art. 256, commi 1,3 e 4 d .lgs n. 152/2006 contestate al capo B) e al capo C), e, confermando nel resto, rideterminava la pena per le residue imputazioni, sostituendo la pena detentiva inflitta a QL con la sanzione sostitutiva della detenzione domiciliare.

Ricorsi per cassazione

Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione QL, GDV e DA, a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia, chiedendone l’annullamento ed articolando i motivi di seguito enunciati.

QL propone due motivi di ricorso.

Con il primo deduce violazione degli artt. 110 e 452-quaterdecies cod. pen. di cui al capo B) e vizio di motivazione.

Lamenta che i giudici di merito avevano ritenuto la penale responsabilità del ricorrente per il reato di cui all’art. 452-quaterdecies cod. pen., per aver gestito un’attività di smaltimento illecito di rifiuti tra … e …, pur essendo emerso il suolo marginale e circoscritto ad un breve lasso temporale (un mese); le conversioni captate, la fattiva presenza del ricorrente solo in una giornata – il 19 giugno 2018 – sui luoghi del reato e le dichiarazioni rese in sede di interrogatorio dal predetto, erano circostanze che evidenziavano che QL non era partecipe dell’attività illecita e men che mai organizzatore della stessa.

Con il secondo motivo deduce violazione dell’art. 62-bis cod. pen. e vizio di motivazione, lamentando che la Corte di appello aveva denegato l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche, attraverso clausole di stile ed evidenziando l’assenza di elementi postivi, così vanificando la funzione delle stesse di adeguamento della pena al caso concreto.

GDL propone un unico motivo, deducendo vizio di motivazione.

Espone che con motivo di gravame aveva dedotto che il primo giudice nulla aveva argomentato in ordine all’accoglimento della richiesta di applicazione pena ex art. 444 cod. proc. pen., alla quale il PM aveva negato il consenso; sul punto la Corte di merito nulla aveva argomentato in ordine alla congruità o meno della pena oggetto della proposta di patteggiamento, nonostante il motivo di gravame, pur menzionato in sentenza fosse specifico (positivo comportamento processuale, precedente condizione di collaboratore di giustizia e attuale regolare attività lavorativa).

DA propone un unico motivo, deducendo vizio di motivazione per omessa valutazione di riscontri probatori rilevanti e decisivi per la declaratoria di assoluzione dell’imputato ai sensi dell’art. 530, comma 2, cod. proc. pen.

Lamenta che la Corte territoriale aveva confermato l’affermazione di responsabilità del ricorrente, con percorso argomentativo non preciso e con condivisibile, nonostante le doglianze difensive avevano evidenziato che il ricorrente era stato un mero accompagnatore del coimputato N. (capo B) e che egli non aveva l’effettiva disponibilità del magazzino in … (capo C); la Corte di merito aveva errato nel considerare sintomatico della piena partecipazione alle attività illegali del gruppo la vicenda dei siti, in quanto il contratto del capannone R. non era stato né registrato né sottoscritto dalla concedente, al ricorrente non potevano attribuirsi i trasferimenti sulle carte postepay; inoltre, non era onere della difesa ricostruire un’ipotesi alternativa a quella prospettata dall’accusa rimasta indimostrata.

Decisione della Suprema Corte

Il primo motivo di ricorso di QL ed il motivo unico di ricorso di DA sono inammissibili.

I ricorrenti, attraverso una formale denuncia di vizio di motivazione, richiedono sostanzialmente una rivisitazione, non consentita in questa sede, delle risultanze processuali. Nei motivi in esame, in sostanza, si espongono censure, le quali si risolvono in una mera rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata, sulla base di diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, senza individuare vizi di logicità, ricostruzione e valutazione, quindi, precluse in sede di giudizio di cassazione (cfr. Sez. 1, 16.11.2006, n. 42369; Sez. 6, 3.10.2006, n. 36546; Sez. 3, 27.9.2006, n. 37006).

Va ribadito, a tale proposito, che, anche a seguito delle modifiche dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. introdotte dalla L. n. 46 del 2006, art. 8, non è consentito dedurre il “travisamento del fatto”, stante la preclusione per il giudice di legittimità di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (Sez.6, n. 27429 del 04/07/2006; Sez. 5, n. 39048/2007; Sez. 6, n. 25255 del 2012) ed in particolare di operare la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (cfr. Sez. 6, 26.4.2006, n. 22256).

La Corte di cassazione deve circoscrivere il suo sindacato di legittimità, sul discorso giustificativo della decisione impugnata, alla verifica dell’assenza, in quest’ultima, di argomenti viziati da evidenti errori di applicazione delle regole della logica, o fondati su dati contrastanti con il senso della realtà degli appartenenti alla collettività, o connotati da vistose e insormontabili incongruenze tra loro, oppure inconciliabili, infine, con “atti del processo”, specificamente indicati dal ricorrente e che siano dotati autonomamente di forza esplicativa o dimostrativa, tale che la loro rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto, determinando al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua la motivazione (Sez. 4, 08/04/2010 n. 15081; Sez. 6 n. 38698 del 26/09/2006; Sez. 5, n. 6754 del 07/10/2014, dep.16/02/2015).

Il secondo motivo di ricorso di QL è manifestamente infondato.

Va richiamato il consolidato principio di diritto, secondo cui l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche è oggetto di un giudizio di fatto e non costituisce un diritto conseguente all’assenza di elementi negativi connotanti la personalità del soggetto, ma richiede elementi di segno positivo, dalla cui assenza legittimamente deriva il diniego di concessione delle circostanze in parola; l’obbligo di analitica motivazione in materia di circostanze attenuanti generiche qualifica, infatti, la decisione circa la sussistenza delle condizioni per concederle e non anche la decisione opposta (Sez. 3, n. 35570 del 30/05/2017; Sez. 1, n. 46568 del 18/05/2017; Sez. 3, n. 44071 del 25/09/2014; Sez. 2, n. 38383 del 10.7.2009; Sez.6, n. 42688 del 24/09/2008). Ne consegue che è assolutamente sufficiente che il giudice si limiti a dar conto, come nella specie, di avere ritenuto l’assenza di elementi o circostanze positive a tale fine.

Il motivo di ricorso di GDV è manifestamente infondato.

Secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, che va ribadita, il giudice non è tenuto, all’esito del dibattimento, ad enunciare specificamente le ragioni per le quali ritiene giustificato il dissenso del PM sulla richiesta predibattimentale di applicazione della pena, sussistendo un obbligo di specifica motivazione solo quando, al contrario, ritenga tale dissenso ingiustificato applicando la sanzione.

Le ragioni per le quali la pena “proposta” è ritenuta non adeguata si traggono, a contrario, dalla parte relativa alla determinazione del trattamento sanzionatorio concretamente applicato dal giudicante all’esito della fase processuale di sua competenza (Sez. 5, n. 2782 del 21/10/2014, dep. 21/01/2015; Sez. 3, n. 12002 del 2011).

Nella specie, la Corte di appello ha adeguatamente motivato in ordine alla congruità della pena irrogata dal primo giudice, rimarcando come la pena base fosse stata modulata in misura prossima al minimo edittale e la recidiva contestata non potesse essere ritenuta prevalente con le concesse circostanze generiche, in considerazione della sua natura qualificata. Consegue, pertanto, la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi.