Delitti, DNA e like: il nuovo volto tragicomico della giustizia (Vito Daniele Cimiotta)

Nel caleidoscopico teatro della giustizia contemporanea italiana, la verità giudiziaria sembra aver ceduto il passo a un più accattivante — quanto pericoloso — reality show in streaming, dove il pubblico si trasforma in giudice supremo e il diritto penale viene ridotto a un clickbait da social network.

Ormai, non è più il processo a fare giustizia, bensì l’algoritmo di una piattaforma digitale e la frenesia compulsiva di titoli urlati. In un’epoca in cui ogni cittadino può vestire i panni del “professionista” e dispensare sentenze in 280 caratteri, il procedimento giudiziario si è trasformato in una farsa dove la presunzione di innocenza è spesso calpestata dall’impazienza di un pubblico affamato di scandali e rivelazioni.

Non importa se l’indagine è complessa, se le prove sono controverse o se la scienza forense richiede tempi e rigore: conta solo chi urla più forte sui social.

Il caso Garlasco rappresenta il paradigma di questa giustizia-spettacolo.

Dopo quasi diciotto anni di processi, appelli e sentenze oscillanti, ecco il colpo di scena che non ti aspetti: il DNA maschile rinvenuto nella bocca di Chiara Poggi, simbolo di una svolta, non è altro che la traccia di un altro cadavere, un uomo deceduto pochi giorni prima, sul cui corpo erano stati effettuati probabilmente degli accertamenti. 

Questa rivelazione, più degna di un romanzo giallo dai toni grotteschi che di una procedura scientifica seria, è stata travolta dalla frenesia mediatica che ha sbandierato novità, spesso senza attendere conferme o approfondimenti. Così, tra fake news e scoop improvvisati, si alimenta la spirale di sfiducia che ormai avvolge il sistema giudiziario.

La corsa spasmodica a pubblicare “notizie” sul caso, spesso prive di ogni criterio di attendibilità o contestualizzazione, ha trasformato la giustizia in un palcoscenico dove si recitano monologhi sconclusionati di “esperti” improvvisati e si scatenano ondate di indignazione di fronte a titoli sensazionalistici.

Ogni dettaglio, anche il più fragile o contraddittorio, diventa materia di battaglia nei feed dei social, dove il diritto si piega alla tirannia del clic e del commento più urlato. Non meno grottesco è il proliferare di “professionisti dell’indignazione”, che senza alcuna competenza specifica si ergono a paladini della verità, svelando complotti e verità nascoste attraverso hashtag e live streaming.

La complessità di un’indagine penale lascia spazio all’improvvisazione e al giudizio sommario, spesso a discapito dei diritti fondamentali degli indagati e del buon andamento della giustizia.

In questo scenario surreale, la fiducia nel sistema giudiziario si sgretola con una rapidità che lascia sbigottiti.

Ogni nuova notizia che mette in discussione prove fondamentali o che rivela clamorose contaminazioni come quella del DNA “fantasma” non fa che alimentare un sentimento crescente di sfiducia, disincanto e cinismo. Il cittadino, bombardato quotidianamente da scandali, smentite e processi mediatici, si ritrova disarmato, incapace di distinguere tra verità e apparenza, tra giustizia e spettacolo.

La sfiducia non è più un fenomeno marginale o passeggero, ma una metastasi che corrode dalle fondamenta il delicato equilibrio su cui si regge ogni Stato di diritto. Quando la giustizia diventa terreno di battaglia per opinioni urlate e notizie parziali, il rispetto per le istituzioni si dissolve, lasciando spazio a un pericoloso vuoto di credibilità. E in assenza di fiducia, ogni regola, ogni procedimento, ogni sentenza perde di valore e significato.

Del resto, come pretendere di credere in un meccanismo che somiglia sempre più a un format da reality, dove la verità è spesso offuscata da fake news, scoop improvvisati e “prove” degne di un thriller da bassa lega?

Se la giustizia oggi appare più come uno spettacolo tragicomico che come un istituto serio e imparziale, allora la domanda non è più se, ma quando la sfiducia diventerà definitivamente crisi irreversibile.