Con una sentenza emessa il 16 febbraio 2023 nella causa C-349 /21 (allegata alla fine del post), la terza sezione della Corte di giustizia dell’Unione europea (di seguito CGUE) ha sancito la conformità al diritto europeo delle decisioni giudiziarie che autorizzano l’uso di tecniche investigative speciali sulla base di un testo prestabilito e privo di motivazione specifica.
Il caso giudiziario e la domanda di pronuncia pregiudiziale
Un tribunale penale bulgaro ha proposto alla CGUE una domanda di pronuncia pregiudiziale sull’interpretazione dell’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2002/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 luglio 2002, relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche (direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche) (GU 2002, L 201, pag. 37).
Il quesito era stato originato da un procedimento penale nel quale una procura bulgara aveva presentato al presidente del corrispondente tribunale sette richieste di autorizzazione per l’impiego di tecniche investigative speciali (nella specie intercettazioni telefoniche) al fine di intercettare e registrare, se non sorvegliare e tracciare, le conversazioni telefoniche di quattro persone sospettate di aver commesso reati gravi.
Ognuna di tali richieste di intercettazioni telefoniche descriveva in maniera circostanziata, dettagliata e motivata l’oggetto della richiesta, il nome e il numero di telefono della persona interessata, il collegamento esistente tra tale numero e detta persona, gli elementi di prova raccolti fino a quel momento e il presunto ruolo svolto dalla persona interessata negli atti criminosi. La necessità di procedere alle intercettazioni telefoniche richieste per raccogliere elementi di prova relativi all’attività criminale oggetto dell’indagine nonché le ragioni e le condizioni che giustificavano l’impossibilità di raccogliere tali informazioni con altri mezzi erano anch’esse motivate in modo specifico.
Il presidente del tribunale adito le ha accolte tutte il giorno stesso della loro presentazione e ha quindi emesso sette decisioni di autorizzazione di intercettazioni telefoniche.
Nella domanda di pronuncia pregiudiziale il tribunale bulgaro rappresenta che le autorizzazioni in questione corrispondono a un modello prestabilito destinato a coprire tutti i possibili casi di autorizzazione, senza alcun riferimento alle circostanze di fatto e di diritto, ad eccezione del periodo in cui viene autorizzato l’uso delle tecniche investigative speciali.
Le stesse si limitano a menzionare soltanto il rispetto delle disposizioni di legge da esse citate, senza identificare l’autorità all’origine delle richieste di intercettazioni telefoniche e senza indicare il nome e il numero di telefono di ciascuna persona interessata, il reato o i reati per cui si procede, gli indizi che consentono di sospettare la commissione di uno – o più – dei reati summenzionati o, ancora, le categorie di persone e di locali per le quali è stato autorizzato l’impiego di tecniche investigative speciali. Inoltre, il giudice del rinvio afferma che dette autorizzazioni non espongono gli argomenti del pubblico ministero specializzato che dimostrano, in connessione alla normativa nazionale, l’impossibilità di raccogliere le informazioni richieste con un mezzo diverso dalle intercettazioni telefoniche, né precisano se il termine indicato per l’utilizzo di tali tecniche sia stato fissato per la prima volta o se si tratti di una proroga del termine, nonché in base a quale ipotesi e a quali argomenti sia stato deciso tale termine.
Il giudice del rinvio spiega che spetta ad esso, in via preliminare, controllare la validità del procedimento che ha condotto alle autorizzazioni delle intercettazioni telefoniche. In tale contesto, si potrebbe ritenere che il fatto che tali autorizzazioni siano state redatte conformemente a un modello di testo prestabilito e privo di motivazione specifica non gli consenta di verificare i motivi concretamente accolti dal giudice che ha concesso le suddette autorizzazioni. Viceversa, si potrebbe anche ritenere che, accogliendo la richiesta del pubblico ministero specializzato, il giudice che ha rilasciato le autorizzazioni delle intercettazioni telefoniche abbia integralmente accolto i motivi alla base di tali richieste e li abbia fatti propri.
Si chiede se una prassi nazionale come quella di cui trattasi nel procedimento principale – secondo cui l’obbligo di motivare la decisione giudiziaria che autorizza l’utilizzo di tecniche investigative speciali a seguito di una richiesta motivata delle autorità penali è soddisfatto qualora tale decisione, redatta secondo un modello prestabilito e privo di motivazione specifica, si limiti ad affermare il rispetto dei requisiti da essa menzionati, previsti da tale normativa – sia conforme all’articolo 15, paragrafo 1, ultima frase, di tale direttiva, letto alla luce del suo considerando 11.
Sottolinea che decisioni giudiziarie come le autorizzazioni delle intercettazioni telefoniche limitano, nei confronti delle persone fisiche interessate, i diritti e le libertà garantiti dagli articoli 7, 8 e 11 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»). Esso nutre altresì dubbi quanto alla conformità di una simile prassi con il diritto a una tutela giurisdizionale effettiva, sancito all’articolo 47 della Carta, e con il principio di proporzionalità in quanto principio generale del diritto dell’Unione.
In caso di risposta negativa, il giudice del rinvio si chiede se il diritto dell’Unione osti a una normativa nazionale interpretata nel senso che le registrazioni di conversazioni telefoniche autorizzate da una decisione giudiziaria non motivata possono tuttavia essere utilizzate come prova nell’ambito del procedimento penale.
Il giudice del rinvio sospende pertanto il procedimento e sottopone alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
- Se sia compatibile con l’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2002/58 in combinato disposto con l’articolo 5, paragrafo 1, e con il considerando 11 della stessa, una prassi seguita dai giudici nazionali nei procedimenti penali in forza della quale il giudice autorizza l’intercettazione, la registrazione e la memorizzazione di conversazioni telefoniche dei sospettati servendosi di un testo standard generico precedentemente predisposto in cui, senza alcun riferimento al caso specifico, viene semplicemente affermato il rispetto delle disposizioni di legge.
- In caso di risposta negativa: se integri una violazione del diritto dell’Unione l’interpretazione della legge nazionale nel senso che le informazioni ottenute a seguito di una siffatta autorizzazione vengono utilizzate quale prova del reato contestato
La decisione della CGUE
Si riporta soltanto la risposta testuale ai quesiti posti dal tribunale bulgaro.
Si rinvia alla sentenza per l’esame del percorso argomentativo seguito dalla Corte.
“L’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2002/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 luglio 2002, relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche (direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche), letto alla luce dell’articolo 47, secondo comma, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, deve essere interpretato nel senso che:
esso non osta a una prassi nazionale in forza della quale le decisioni giudiziarie che autorizzano l’utilizzo di tecniche investigative speciali in seguito a una richiesta motivata e circostanziata delle autorità penali sono redatte mediante un testo prestabilito e privo di motivazione specifica, ma che si limita a indicare, oltre alla durata di validità dell’autorizzazione, che i requisiti previsti dalla normativa e menzionati da tali decisioni sono stati rispettati, a condizione che le ragioni precise per le quali il giudice competente ha ritenuto che i requisiti di legge fossero rispettati alla luce degli elementi di fatto e di diritto che caratterizzano il caso oggetto di esame possano essere inferiti agevolmente e senza ambiguità da una lettura incrociata della decisione e della richiesta di autorizzazione, che deve essere resa accessibile, posteriormente all’autorizzazione concessa, alla persona contro cui è stato autorizzato l’utilizzo delle tecniche investigative speciali“.
Il commento
La decisione della CGUE comporta un deciso arretramento rispetto agli standard di accettabilità delle motivazioni dei provvedimenti giudiziari abitualmente richiesti dalla giurisprudenza sovranazionale, specialmente da quella della Corte europea dei diritti umani.
La Corte unionale avalla infatti una prassi che non solo ammette la motivazione per relationem ma addirittura esonera il giudice che autorizza da qualsiasi obbligo di rivisitazione autonoma della richiesta del PM.
In tal modo, la proposizione dell’organo di accusa assume impropriamente il ruolo di fulcro motivazionale e sfuma fino a scomparire la funzione di controllo connaturale al giudice.
Non solo un’occasione mancata ma una sponda a decisioni nazionali volte a minimizzare l’importanza dell’autonomia valutativa del giudice: un vero peccato!
