Cassazione penale, Sez. 3^, sentenza n. 27995/2025, 11/30 luglio 2025, ha chiarito, riguardo alle false dichiarazioni finalizzate all’ottenimento del reddito di cittadinanza, che l’ignoranza o l’errore circa la sussistenza del diritto a percepirne l’erogazione, in difetto dei requisiti a tal fine richiesti dall’art. 2 di. 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, in legge 28 marzo 2019, n. 26, si risolve in un errore su legge penale, che non esclude la sussistenza del dolo ex art. 5 cod. pen., in quanto l’anzidetta disposizione integra il precetto penale di cui all’art. 7 del citato d.l.
Provvedimento impugnato
Con sentenza del 21 novembre 2024 la Corte territoriale ha rigettato l’impugnazione proposta da RC nei confronti della sentenza del 2 febbraio 2023 del GUP con la quale, a seguito di giudizio abbreviato, era stato condannato alla pena di un anno e quattro mesi di reclusione in relazione ai delitto di cui all’art. 7 d.l. n. 4 del 2019, convertito in I. n. 26 del 2019 (ascrittogli perché, al fine di ottenere il beneficio del reddito di cittadinanza, presentava la relativa domanda pur essendo consapevole della applicazione nei suoi confronti, con ordinanza del Tribunale notificatagli il 22 gennaio 2019, della misura cautelare del divieto di avvicinamento).
Ricorso per cassazione
Avverso tale sentenza l’imputato, mediante il suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione, affidandolo ad un unico motivo, mediante il quale ha lamentato, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., l’illogicità della motivazione nella parte in cui è stata ribadita la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato ascrittogli, escludendo la rilevanza dell’errore in cui era incorso il ricorrente nel compilare il modello di domanda per l’ottenimento del beneficio, nella parte relativa alla sottoposizione di componenti del nucleo familiare a misure cautelari, che era stata interpretata dal ricorrente nel senso che la domanda fosse relativa ai propri familiari e non anche al richiedente il beneficio, a causa della ambiguità della formulazione della relativa domanda nel modello; questa era posta in modo fuorviante, in quanto riferita ai componenti del nucleo familiare e non al richiedente, che, peraltro, non aveva presentato personalmente la richiesta ma tramite la propria commercialista di fiducia, alla quale il ricorrente si era rivolto proprio per la sua ignoranza della legge penale e di quella extrapenale integratrice del precetto, con la conseguente scusabilità dell’errore nei quale era incorso il ricorrente.
Ha richiamato le indicazioni fornite dalla Corte costituzionale per individuare i parametri per poter ritenere scusabile l’errore di diritto o l’ignoranza della legge, evidenziando nuovamente la rilevanza delle limitate conoscenze e delle capacità dell’agente, già considerati dalla giurisprudenza di merito proprio a proposito della configurabilità dell’ipotesi delittuosa di cui all’art. 7 d.l. n. 4 del 2019.
Decisione della Corte Suprema
In tema di false dichiarazioni finalizzate all’ottenimento del reddito di cittadinanza, l’ignoranza o l’errore circa la sussistenza del diritto a percepirne l’erogazione, in difetto dei requisiti a tal fine richiesti dall’art. 2 di. 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, in legge 28 marzo 2019, n. 26, si risolve in un errore su legge penale, che non esclude la sussistenza del dolo ex art. 5 cod. pen., in quanto l’anzidetta disposizione integra il precetto penale di cui all’art. 7 del citato d.l. (Sez. 2, n. 23265 del 07/05/2024, Rv. 286413 – 01, nella quale, in motivazione, è stato aggiunto che non ricorre neanche un caso di inevitabilità dell’ignoranza della legge penale, non presentando la normativa in tema di concessione del reddito di cittadinanza connotati di cripticità tali da far ritenere l’oscurità del precetto).
La tesi della oscurità del dato da interpretare, derivante dal riferimento ambiguo ai componenti del nucleo familiare, che determinerebbe un errore (peraltro privo di rilievo in quanto ricadente, come notato, sulla legge penale), si scontra con la considerazione, già formulata dalla Corte d’appello, della evidente ricomprensione nel nucleo familiare anche del diretto interessato al beneficio, il primo a non dovere ricadere – evidentemente – nelle situazioni ostative individuate dalla legge con riferimento (tra le altre) alla sottoposizione a determinate misure cautelari, con la conseguente manifesta infondatezza dei rilievi sollevati su tale punto dal ricorrente, peraltro volti a censurare una valutazione di merito, sulla agevole comprensibilità dei dati richiesti e da dichiarare, giustificata in modo adeguato e pienamente logico dalla Corted’appello.
Il ricorso è pertanto inammissibile.
