Il tema è scottante ed è da sempre controverso, quale valore probatorio ha una identificazione fotografica non seguita da un riconoscimento in sede dibattimentale di ricognizione personale?
La Cassazione penale sezione 5 con la sentenza numero 28132/2025 ha stabilito che l’individuazione diretta di persona effettuata nei locali della polizia giudiziaria dalle persone offese trova il suo paradigma nella prova dichiarativa proveniente da un soggetto che, nel corso delle informazioni, dichiara di avere accertato direttamente l’identità personale dell’imputato. Tale prova deve essere tenuta distinta dalla ricognizione personale, disciplinata dall’art. 213 cod. proc. pen., essendo inquadrabile tra quelle non disciplinate dalla legge di cui all’art. 189 cod. proc. pen., e pienamente utilizzabile, ferma restando la facoltà del giudice di apprezzarne liberamente le risultanze (Sez. 2, n. 16773 del 20/03/2015, Osas, Rv. 263767; vedi anche Sez. 5 n. 18057 del 13.1.2010, Rv. 246862).
Posto, quindi, che in una situazione, quale quella di specie, l’accertamento della responsabilità dell’imputata non si fonda su una ricognizione in senso tecnico, la cui validità formale è condizionata all’adempimento delle prescrizioni di cui all’art. 213 e ss. cod. proc. pen., bensì sulla ritenuta attendibilità, attribuita alla deposizione di colui che ha effettuato il riconoscimento, entrambi i giudici di merito (soprattutto quello di primo grado la cui sentenza integra quella impugnata dando luogo ad un unico complesso argomentativo) hanno congruamente motivato in ordine alla credibilità del teste S.C., evidenziando che questi aveva potuto vedere in volto, al momento del fatto, entrambi gli autori del furto (un uomo ed una donna), in quanto aveva tentato di trattenerli sul posto, mentre portavano una bicicletta, asportata da una pertinenza del condominio, per caricarla nell’auto, della cui fisionomia aveva fornito una dettagliata descrizione, quando si era recato a denunciare il delitto presso la stazione dei Carabinieri, e che non aveva avuto alcuna esitazione a riconoscere nella ricorrente uno degli autori del reato dato che erano passati solo due giorni dal fatto.
Invero, il riconoscimento fotografico, operato in sede di indagini di polizia giudiziaria, ancorché non sia regolato dal codice di rito, può essere legittimamente assunto come prova, in quanto costituisce un accertamento di fatto utilizzabile in giudizio ai sensi dell’art. 189 cod. proc pen. (Sez. 5, n. 6456 del 01/19/2015, Verde, Rv. 266023) e catalogabile, dunque, nel novero delle cd. prove atipiche.
La certezza del riconoscimento fotografico non discende dal riconoscimento come strumento probatorio in sè, ma dall’attendibilità accordata alla deposizione di chi si dica certo dell’individuazione (Sez. 6, n. 17103 del 31/20/2018, dep. 2019, Aouchini, Rv. 275548; Sez. 5, n. 9505 del 24/11/2015, dep. 2016, Coccia, Rv. 267562; Sez. 4, n. 16902 del 04/02/2004, Pantaleo, Rv. 228043).
E’ pacifico nella giurisprudenza di legittimità l’inquadramento dell’atto di individuazione (personale o fotografica), compiuto nel corso delle indagini preliminari, nella categoria generale delle manifestazioni riproduttive di una percezione visiva; in quanto tale, esso «rappresenta una specie del più generale concetto di dichiarazione, sicché la sua forza probatoria non discende dalle modalità formali del riconoscimento bensì dal valore della dichiarazione confermativa, alla stessa stregua della deposizione testimoniale (Sez. 4, n. 1867 del 21/2/2013, dep. 2014, Jonovic, Rv. 258173), e non dalle formalità di assunzione previste dall’art. 213 cod. proc. pen. per la ricognizione personale, utili ai fini della efficacia dimostrativa secondo il libero apprezzamento del giudice» (Sez. 5, n. 23090 del 10/07/2020, Signorelli, Rv. 279437 – 01).
Si tratta, dunque, di prova non espressamente disciplinata dal codice di rito, utilizzabile nel giudizio in base al principio della non tassatività dei mezzi di prova ed a quello del libero convincimento del giudice (Sez. 5, n. 6456 del 01/10/2015, dep. 2016, Verde, Rv. 266023 – 01).
Sia che l’atto di individuazione entri a far parte del patrimonio probatorio, rilevante per il giudizio, per effetto della scelta processuale della definizione allo stato degli atti, sia che di esso riferisca il testimone, escusso nell’istruttoria dibattimentale, (richiamando quanto avvenuto nel corso delle indagini preliminari, oppure quando l’individuazione avvenga direttamente nel corso del dibattimento), i criteri di valutazione di tale prova devono essere quelli propri dei risultati dichiarativi acquisiti: ciò comporta che «l’affidabilità e la valenza probatoria dell’individuazione informale discendono dall’attendibilità accordata al teste ed alla deposizione dal medesimo resa, valutata alla luce del prudente apprezzamento del giudice» (Sez. 6, n. 12501 del 27/01/2015, Di Stefano, Rv. 262908 – 01).
Né ha rilievo dirimente la circostanza che la ricorrente non sia stata riconosciuta con la stessa certezza in dibattimento.
Se la conferma durante il dibattimento dell’operata individuazione, nel corso delle indagini, da parte del testimone, mediante un nuovo atto positivo di individuazione, assicura un elevato grado di attendibilità della dichiarazione complessiva, al cui interno si colloca la frazione dell’attestazione, riguardante la percezione visiva riferita dal testimone, possono darsi ipotesi in cui, mentre nel corso delle indagini il testimone ha eseguito l’attività di individuazione, con esiti di corrispondenza tra il soggetto individuato e la persona dell’imputato, nell’istruttoria dibattimentale il riconoscimento mediante individuazione non avviene con la stessa modalità e negli stessi termini.
La cassazione, a tal proposito, ha affermato che in tema di prove non disciplinate dalla legge, ove all’individuazione fotografica effettuata in fase di indagini preliminari non faccia seguito, in fase dibattimentale, la ricognizione personale dell’imputato presente in termini di “assoluta certezza”, la prova dell’identificazione del predetto può essere raggiunta anche mediante la valutazione della precedente dichiarazione confermativa dell’individuazione fotografica, verificando l’esistenza di dati obiettivi, eventualmente anche riferiti dal testimone, che forniscano spiegazione del mancato ricordo in termini di sicura concordanza (Sez. 2, Sentenza n. 25122 del 07/03/2023, Rv. 284859 – 01).
Avevamo commentato la suddetta sentenza : Individuazione fotografica non seguita nella fase dibattimentale da ricognizione personale: raggiungimento della prova dell’individuazione (di Riccardo Radi) – TERZULTIMA FERMATA
Ritornando al caso esaminato dalla cassazione sezione 5, l’identificazione fotografica è stata accompagnata dalla identificazione, nei filmati, dell’autovettura usata dagli imputati (la ricorrente ed il L., non appellante) e trova conferma anche nella circostanza che il coimputato – sulla cui identificazione non è proponibile alcun dubbio processualmente rilevante – era presente con la P. al momento della perquisizione domiciliare, all’interno della abitazione di quest’ultima.
Nel caso di specie, la Corte d’Appello, e prima ancora il giudice di primo grado, con lineari e coerenti argomentazioni, hanno svolto il dovuto vaglio di attendibilità del figlio della persona offesa, che ha effettuato il riconoscimento dell’imputato, dalla visione delle immagini delle videoriprese, presso la caserma dei Carabinieri, attestandone la particolare convinzione sulla certezza dell’individuazione della imputata, che veniva inquadrata direttamente nel volto.
Sulla base della richiamata dichiarazione testimoniale, la Corte di merito ha ritenuto valido il riconoscimento, effettuato, senza ombra di dubbio, in sede di indagini preliminari, poi, confermato, in dibattimento, dal teste S.C., che dichiarava di avere visto la imputata chiaramente in volto, ed ha evidenziato come debba essere riconosciuta maggiore valenza probatoria all’atto compiuto nella fase delle indagini (Sez. 5, n. 44373 del 29/04/2015, Bartolozzi, Rv. 265813; Sez. 2, Sentenza n. 41375 del 05/07/2023, Rv. 285160 – 01).
Al riguardo, deve osservarsi che l’individuazione di un soggetto – sia personale sia fotografica – è una manifestazione riproduttiva di una percezione visiva e rappresenta, perciò, una specie del più generale concetto di dichiarazione.
Ne consegue che tale dichiarazione è assoggettata al medesimo regime delle dichiarazioni testimoniali, con la conseguenza che vale anche per essa la regola che la conferma, a seguito di contestazione, nel corso del dibattimento, acquisisce al patrimonio cognitivo del giudice, con piena utilizzabilità, la circostanza narrata (Sez. 5, n. 44373 del 29/04/2015, Bartolozzi, Rv. 265813-01; Sez. 2, Sentenza n. 55420 del 23/11/2018 Rv. 274470 – 01).
Come di recente ritenuto da questa Corte (Sez. 2, Sentenza n. 25122 del 07/03/2023, Rv. 284859 – 01), la prova dell’identificazione può essere raggiunta anche mediante la valutazione della precedente dichiarazione confermativa dell’individuazione fotografica, verificando l’esistenza di dati obiettivi, eventualmente anche riferiti dal testimone, che forniscano spiegazione del mancato ricordo in termini di sicura concordanza.
Correttamente il Tribunale ha valorizzato il primo ed unico riconoscimento, avvenuto nel corso delle indagini preliminari e nell’immediatezza del fatto e, quindi, in un contesto di superiore e rafforzata credibilità.
Nella specie, la Corte di appello ha confermato la bontà di tali argomentazioni, evidenziando che il teste non ha escluso di avere effettuato, nel corso delle indagini, il positivo riconoscimento dell’imputata, in termini di certezza (al 100%), ma si è limitato ad esprimere un diverso giudizio, che appare giustificato dall’affievolirsi del ricordo in ragione del tempo decorso (cinque anni), e che, comunque, ha confermato, a seguito di contestazione, il precedente riconoscimento.
