CGUE: gli Stati possono designare i Paesi sicuri con atti legislativi ma i giudici hanno il potere di controllarli (Vincenzo Giglio)

Con la sentenza emessa l’1° agosto 2025 nelle cause riunite C-758/24 e C-759/24, la Grande Sezione della Corte di giustizia dell’Unione europea, rispondendo a due domande di pronuncia pregiudiziale proposte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Tribunale ordinario di Roma (Italia), con ordinanze del 31 ottobre 2024 e del 4 novembre 2024,  ha chiarito che il diritto dell’Unione non osta a che uno Stato membro proceda alla designazione di un paese terzo quale paese di origine sicuro mediante un atto legislativo, a condizione che tale designazione possa essere oggetto di un controllo giurisdizionale effettivo. Detto controllo deve vertere sul rispetto delle condizioni sostanziali di siffatta designazione enunciate all’allegato I alla direttiva 2013/32/UE, in particolare quando un ricorso sia presentato avverso una decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale in esito alla procedura accelerata applicabile ai cittadini di paesi terzi così designati.  

I giudici che hanno proposto le domande di pronuncia pregiudiziale sono stati aditi da due richiedenti asilo di nazionalità bengalese le cui istanza di protezione internazionale sono state respinte dalla competente Commissione territoriale in virtù dell’elenco dei Paesi sicuri contenuto nel DL 158/2024.

Sia la sentenza che il relativo comunicato stampa sono allegati alla fine del post.

Nell’immediatezza il Governo ha diramato una nota (a questo link per la consultazione) in cui esprime sorpresa per la decisione della CGUE, addebitandole di avere rivendicato spazi che non le competono a fronte di responsabilità eminentemente politiche.

Non è certo una novità la posizione di Palazzo Chigi ed era stata espressa con esemplare chiarezza dal Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, On. Alfredo Mantovano (a questo link per la consultazione del nostro post), mentre ancora infuriavano le polemiche attorno al cosiddetto caso Apostolico, dal nome della giudice Iolanda Apostolico, cui veniva addebitato di avere disapplicato il Decreto Cutro e di averlo fatto su basi ideologiche.

Concezioni, quella dei giudice eurounitari e dei giudici nazionali che ne hanno sollecitato la presa di posizione, e l’altra del nostro Governo, agli antipodi, non conciliabili in alcun modo.

Chiaro che il conflitto si colorirà sempre più di venature politiche e non è certo un bene per il Paese.