Pericolo di reiterazione del reato: non è necessario dimostrare l’esistenza di “occasioni prossime” capaci di agevolare la riproduzione della condotta che si vuole inibire (Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 1^, sentenza n. 26618/2025, udienza dell’11 luglio 2025, deposito del 21 luglio 2025, ha affermato che i caratteri del giudizio prognostico – in sede cautelare personale – devono essere improntati alla rigorosa e complessiva valutazione dei comportamenti e delle modalità di realizzazione dei fatti attribuiti al soggetto, in rapporto alla attuale condizione, e non alla necessaria individuazione di occasioni prossime facilitanti la riproduzione del reato.

L’espressa previsione del requisito dell’attualità del pericolo di reiterazione del reato, in aggiunta a quello della concretezza, introdotta dalla legge 16 aprile 2015 n. 47 nel testo dell’art. 274 lett. c) cod. proc. pen., realizza una endiadi, rappresentando essenzialmente un richiamo all’osservanza – da parte del giudice – di un presupposto già presente nel sistema sub specie concretezza (v. Sez. I n. 5787 del 21.10.2015, rv 265985, alle cui argomentazioni si fa rinvio, nonché, tra le altre, Sez. VI n. 15978 del 27.11.2015, rv 266988; Sez. VI n. 9894 del 16.2.2016, rv 266421).

La volontà del legislatore del 2015 è animata da un finalismo meramente rafforzativo di un dovere argomentativo che era già presente nel sistema, posto che un pericolo per dar luogo ad una limitazione della libertà personale deve essere – per logica – concreto ed attuale, pena la negazione della stessa natura della misura cautelare, che è quella di limitarlo.

Piuttosto, l’evoluzione della interpretazione della disposizione di legge in esame si è mossa verso la individuazione dei contenuti del giudizio prognostico, posto che in taluni arresti si è effettivamente individuata la necessità di valorizzare non solo la concreta capacità di riproduzione della condotta illecita in capo al soggetto, ma anche l’esistenza di «occasioni prossime» idonee a facilitare la riproduzione del comportamento che si vuole inibire (v. Sez. III n. 11372 del 10.11.2015, rv 266481; il tema è ripreso da Sez. VI n. 24477 del 4.5.2016, rv 267091) .

Ciò rende necessarie alcune precisazioni, posto che il collegio non intende aderire a siffatto orientamento, pur dovendosi ribadire che la ‘ricognizione argomentata’ del pericolo non può limitarsi ad asserzioni o basarsi su mere congetture e deve tener conto della condizione specifica in cui si trova il soggetto indagato al momento della adozione del provvedimento.

Il giudizio prognostico su condotte future di un soggetto, espresso in termini di pericolosità, si fonda – in ogni ambito giuridico – sul medesimo schema logico (v. art. 203 cod.pen.) rappresentato dalla valorizzazione della sua componente ‘storica’ (la ricostruzione della o delle condotte poste in essere dal soggetto attenzionato e delle loro modalità concrete di realizzazione) che influisce in modo decisivo sulla formulazione della prognosi, rappresentandone il fondamento e condizionandone razionalmente gli esiti.

La prognosi (apprezzamento della ricorrenza del pericolo) è per sua natura un giudizio rivolto al futuro, il che esclude una sua possibile declinazione in termini di certezza (attributo con cui si possono, convenzionalmente e processualmente, qualificarsi solo condotte passate).

In ogni giudizio prognostico vi è pertanto un margine ineliminabile di fallibilità, tanto più doverosamente evitabile quanto più si rafforza il presupposto cognitivo, ossia l’analisi di tutto ciò che emerso sino al momento in cui la prognosi è richiesta (modalità del fatto già realizzato, antecedenti causali, condotta di vita antecedente, fattori che possono aver inciso sulla determinazione ad agire).

La limitazione della libertà, in chiave inibitoria, è dunque per sua natura correlata ad un esame complessivo di tali indicatori ma non può negarsi – dato l’oggetto del particolare giudizio – che il pericolo, anche per la costruzione legislativa delle sue caratteristiche, sia legato alla potenzialità riproduttiva della condotta espressa dai comportamenti pregressi del soggetto e non dai particolari stimoli che il contesto di vita verrà a proporgli.

In tal senso, la necessaria identificazione di «occasioni prossime» tese a rendere ancor più probabile la riproduzione della condotta temuta, è opzione interpretativa che finisce con l’introdurre un presupposto non espressamente previsto dalla legge, spostando l’attenzione su fattori per lo più imprevedibili e dunque – in realtà – soggettivistici, in quanto estranei alla rigorosa valutazione dei fattori di produzione di quanto è già avvenuto (unico reale ancoraggio della prognosi oggettiva).

In altri termini, affermare che un pericolo è concreto ed attuale significa trarre dalla cd. parte storica del giudizio gli indicatori idonei a sostenere una ragionevole probabilità di realizzazione di ulteriori condotte di particolare gravità o comunque analoghe a quelle già poste in essere, tenendo conto della situazione concreta in cui la persona indagata è venuta a trovarsi al momento della decisione.

Con ciò si intende dare continuità a quelle opzioni interpretative che hanno ribadito come i caratteri del giudizio prognostico – in sede cautelare personale – siano improntati alla rigorosa e complessiva valutazione dei comportamenti e delle modalità di realizzazione dei fatti attribuiti al soggetto, in rapporto alla attuale condizione, e non alla necessaria individuazione di occasioni prossime facilitanti la riproduzione del reato (in tal senso v. Sez. IV n. 27420 del 3.5.2018, rv 273084; Sez. V n. 49038 del 14.6.2017, rv 271522; Sez. V n. 33004 del 3.5.2017, rv 271216; Sez. V n. 31676 del 4.4.2017, rv 270634; Sez. V n. 12618 del 18.1,2017, rv 269533; Sez. II n. 11511 del 14.12.2016, rv 269684).