Le condotte di frode al fisco, data la loro generale specialità, si esauriscono entro il quadro sanzionatorio delineato dall’apposita normativa (Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 2^, sentenza n. 27038/2025, udienza dell’11 luglio 2025, deposito del 23 luglio 2025, ha ricordato, in accordo alla giurisprudenza delle Sezioni unite penali, che qualsiasi condotta di frode al fisco non può che esaurirsi all’interno del quadro sanzionatorio delineato dalla apposita normativa sicchè ricorre una generale specialità delle previsioni penali tributarie in materia di frode fiscale, le quali, in quanto disciplinano condotte tipiche e si riferiscono ad un determinato settore di intervento della repressione penale, esauriscono la connessa pretesa punitiva dello Stato e della Unione Europea.

È infatti configurabile un rapporto di specialità tra le fattispecie penali tributarie in materia di frode fiscale (artt. 2 ed 8, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74) ed il delitto di truffa aggravata ai danni dello Stato (art. 640, comma secondo, n. 1, cod. pen.), in quanto qualsiasi condotta fraudolenta diretta alla evasione fiscale esaurisce il proprio disvalore penale all’interno del quadro delineato dalla normativa speciale, salvo che dalla condotta derivi un profitto ulteriore e diverso rispetto all’evasione fiscale, quale l’ottenimento di pubbliche erogazioni (Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010, dep. 2011, Giordano, Rv. 248865 – 01).

Orbene, con motivazione che rileva anche in relazione al rapporto tra il delitto di truffa aggravata e la fattispecie di dichiarazione infedele di cui all’art. 4 d. lgs. 74/2000, le Sezioni unite hanno precisato che: “La negazione del rapporto di specialità tra frode fiscale e truffa ai danni dell’Erario, si pone, inoltre, in contraddizione con la linea di politica criminale e con la ratio che ha ispirato il legislatore nella riforma di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000 … il legislatore, in occasione della riforma introdotta con il d.lgs. n. 74 del 2000, con una scelta di radicale alternatività rispetto al pregresso modello di legislazione penale tributaria, ha inteso abbandonare il “modello del c.d. “reato prodromico”, caratteristico della precedente disciplina di cui al d.l. 10 luglio 1982, n. 429, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 1982, n. 516 – modello che attestava la linea d’intervento repressivo sulla fase meramente “preparatoria” dell’evasione d’imposta – a favore del recupero alla fattispecie penale tributaria del momento dell’offesa degli interessi dell’erario. Questa strategia – come si legge nella relazione ministeriale – ha portato a focalizzare la risposta punitiva sulla dichiarazione annuale, quale atto che “realizza, dal lato del contribuente, il presupposto obiettivo e definitivo dell’evasione, negando rilevanza penale autonoma alle violazioni “a monte” della dichiarazione stessa” … Particolare rilievo sistematico assumono altresì le disposizioni normative degli artt. 6 e 9 d.lgs. n. 74 del 2000 sul tentativo e, rispettivamente, sul concorso di persone. La disposizione dell’art. 6 del d.lgs. n. 74 del 2000, escludendo la punibilità a titolo di tentativo dei delitti in materia di dichiarazione di tipo commissivo di cui agli artt. 2, 3 e 4 dello stesso decreto legislativo, “mira – oltre che a stimolare, nell’interesse dell’erario, la resipiscenza del contribuente scoperto nel corso del periodo d’imposta – ad evitare che violazioni “preparatorie”, già autonomamente represse nel vecchio sistema (registrazione in contabilità di fatture per operazioni inesistenti, omesse fatturazioni, sottofatturazioni, ecc.), possano essere ritenute tuttora penalmente rilevanti ex se, quali atti idonei, preordinati in modo non equivoco ad una falsa dichiarazione”, come tali punibili ex se a titolo di delitto tentato… In altri termini, se il legislatore individua nella presentazione della dichiarazione annuale la condotta tipica e il momento di rilevanza penale della fattispecie di evasione, espressamente escludendo che la soglia di punibilità possa essere “anticipata”, ai sensi dell’art. 56 cod. pen., anche nel caso di accertamento di irregolarità fiscali compiute nel corso del periodo d’imposta, non è ovviamente consentita l’utilizzazione strumentale di un’ipotesi delittuosa comune contro il patrimonio quale la truffa aggravata ai danni dello Stato (eventualmente anche sub specie di tentativo) per alterare, se non stravolgere, il sistema di repressione penale dell’evasione disegnato dalla legge …”. 

Prendendo, poi, espressa posizione sul tema del concorso di reati o del concorso apparente di norme la stessa pronuncia delle Sezioni unite Giordano (Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010, dep. 2011, cit.) espressamente affermava che: “In definitiva, qualsiasi condotta di frode al fisco non può che esaurirsi all’interno del quadro sanzionatorio delineato dalla apposita normativa … Vi è, dunque, una generale specialità delle previsioni penali tributarie in materia di frode fiscale, le quali, in quanto disciplinano condotte tipiche e si riferiscono ad un determinato settore di intervento della repressione penale, esauriscono la connessa pretesa punitiva dello Stato (e della Unione Europea) … Ulteriori interventi di contrasto contro il fenomeno delle frodi fiscali, in particolare contro le c.d. operazioni carosello, sono contenuti nel d.l. 25 marzo 2010, n. 40, convertito con modificazioni in legge 22 maggio 2010, n. 73. Proprio queste novelle legislative dimostrano ulteriormente che il sistema sanzionatorio in materia fiscale ha una spiccata specialità che lo caratterizza come un sistema chiuso e autosufficiente, all’interno del quale si esauriscono tutti i profili degli interventi repressivi, dettando tutte le sanzioni penali necessarie a reprimere condotte lesive o potenzialmente lesive dell’interesse erariale alla corretta percezione delle entrate fiscali”. 

L’affermazione della predetta pronuncia risulta pertanto di inequivocabile chiarezza nella misura in cui stabilisce che qualsiasi condotta di frode al fisco trova la sua risposta repressiva esclusivamente nella legislazione speciale tributaria, senza possibilità di “recupero” di fatti, peraltro nemmeno costituenti reato per omesso superamento delle soglie di punibilità, nell’alveo delle generali ipotesi di truffa aggravata in danno dello Stato.

Il principio affermato dalle Sezioni unite con riferimento ai rapporti tra i reati di emissione ed utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti e la fattispecie di truffa aggravata, va ribadito  anche in caso di dichiarazione infedele ex art. 4 d.lgs. 74/2000, fatto meno grave rispetto alle indicate ipotesi di frode fiscale, poiché, anche in tal caso, l’ottenimento di rimborsi non dovuti a seguito della falsa rappresentazione di spese od altri oneri inesistenti, comporta esclusivamente un vantaggio fiscale per il contribuente, senza invece che sussistano ulteriori profitti diversi rispetto a tale operazione effettuata in danno dell’Agenzia delle Entrate.  Pertanto, anche nel rapporto tra dichiarazione infedele e truffa aggravata, sussiste l’identica ratio già individuata dalle Sezioni unite Giordano che hanno sottolineato la “generale specialità delle previsioni penali tributarie in materia di frode fiscale, le quali, in quanto disciplinano condotte tipiche e si riferiscono ad un determinato settore di intervento della repressione penale, esauriscono la connessa pretesa punitiva dello Stato”.