L’avvocato che instaura giudizi per conto di clienti deceduti (Redazione)

Il CNF con la sentenza numero 35/2025 ha stabilito che pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante l’avvocato che dia corso al mandato utilizzando una procura rilasciatagli parecchio tempo prima dal cliente, senza previamente informare quest’ultimo (art. 27 cdf) anche al fine di accertare il persistente interesse al giudizio.

Nel caso di specie, l’avvocato aveva instaurato due giudizi per conto di altrettanti clienti, peraltro nel frattempo deceduti.

Fatto:

Il procedimento disciplinare traeva origine dalla trasmissione, da parte del Direttore Regio 2 nale per la Campania di Agenzia Entrate Riscossione, di una segnalazione in cui si espo neva che l’incolpato in data 19\3\18 aveva notificato, nell’interesse del proprio assistito [AAA], un atto di citazione avente ad oggetto impugnativa di estratti di ruolo avvalendosi di una procura rilasciata il 12.03.2018, nonostante il [AAA] fosse deceduto data 22.01.2017.

Si esponeva, altresì, che egli aveva notificato altri due atti di citazione aventi ad oggetto sempre impugnativa avverso estratti di ruolo, in data 19.09.2018 e 24.09.2018, nell’inte resse del sig. [BBB] il quale gli avrebbe rilasciato ambedue i mandati in data 19.09.2018 quando invece era già deceduto il 02.06.2017

Decisione:

In punto di affermazione di responsabilità, vanno innanzitutto richiamate e condivise le argomentazioni, senz’altro esaurienti, offerte dalla decisione impugnata.

In aggiunta, quanto alla contestazione di cui al capo “1” si rileva che la proposizione di un’azione giudiziaria -che, peraltro, per sua natura avrebbe dovuto essere tempestiva- a così lungo tempo dalla formalizzazione del mandato da parte del cliente incide anche sugli oneri informativi di cui all’art. 27 CdF perché l’avvocato deve, proprio alla luce del così lun go tempo trascorso, almeno verificare se il cliente abbia ancora interesse all’azione, se sia intervenuta una qualche condizione che suggerisca la richiesta di una qualche domanda accessoria, come una inibitoria o altro di simile.

Trattavasi nel caso di impugnare le risultanze di estratti del ruolo esattoriale e, dopo così lungo tempo, era ben possibile che i clienti avessero pagato ovvero che il credito erariale fosse rimasto soddisfatto in via coattiva.

Anche il fatto che si trattava di clienti ultrasettantenni aveva rilievo sugli oneri informativi perché, ad esempio, era possibile che nelle more fossero venuti a mancare (come in effetti è avvenuto) e che gli eredi non avessero interes se a coltivare quei contenziosi.

Tutte queste circostanze rendevano nel caso particolarmente pregnante la buona regola, che dovrebbe essere di comune osservanza, di mettere a parte i clienti, con ragionevole tempestività, degli atti introduttivi dei giudizi per loro conto promossi ovvero di quelli con cui ci si costituisce in un giudizio o si promuove un’impugnazione. Il cliente deve avere contezza dei contenuti di tali atti e l’onere informativo non può consi derarsi limitato a rendere edotto il cliente delle date delle udienze ovvero a rispondere alle richieste di notizie, ma deve necessariamente comprendere la comunicazione dei tratti essenziali della difesa, anche con la consegna di una copia dell’atto che ne rappresenta la prima e principale espressione: infatti il cliente potrebbe chiedere una delucidazione ovvero una rettifica o una integrazione della linea difensiva, ovviamente in punto di fatto.

E’ chiaro che se l’incolpato avesse posto in essere questo minimo onere informativo, avrebbe saputo del decesso dei clienti ed avrebbe quindi valutato con i loro eredi il da farsi e comunque evitato di introdurre un giudizio inutile.

Deve quindi ritenersi integrata la violazione della regola deontologica dell’art. 27 CdF e la condotta va considerata senz’altro volontaria -e sul punto vanno pure disattesi i rilievi del ricorrente- perché è riferibile alla sfera psicologica e di controllo dell’agente: l’elemento soggettivo dell’illecito deontologico, infatti, non è solamente quello del dolo e, quindi, della rappresentazione che la propria condotta è -o potrebbe essere- causa dell’evento e della volontà di porla egualmente in essere, ma anche quello della colpa da intendersi nel senso più lato della negligenza che può considerarsi esclusa solo nell’ipotesi in cui l’incolpato versi nell’impossibilità di conoscere le circostanze da cui discende l’obbligo di una sua cer ta condotta doverosa ovvero nell’impossibilità (oggettiva) di adottare la condotta dovuta.

Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Napoli, rel. Gagliano), sentenza n. 35 del 22 febbraio 2025

Nota:
In senso conforme, sull’utilizzo di una procura alle liti rilasciata da un cliente nelle more deceduto, CNF n. 370/2024, CNF n. 245/2020 e CNF n. 152/2017.