La Cassazione penale sezione 6 con la sentenza numero 27444/2025 ha esaminato il mancato rispetto dell’obbligo di procedere ad interrogatorio preventivo e le conseguenze della mancata deduzione della nullità nel corso dell’interrogatorio (postumo) di garanzia, sul punto ricordiamo l’opzione ermeneutica adottata dalla cassazione (Sez. 2, udienza del 12 giugno 2025, relativa ai ricorsi n. 12215/2025, 12223/2025, 12246/2025, 12265/2025) secondo cui l’omissione del previo interrogatorio nei casi in cui esso sia dovuto integra una nullità a regime intermedio, che non può essere rilevata di ufficio dal tribunale del riesame nel caso in cui non sia stata eccepita dall’interessato in sede di interrogatorio postumo di garanzia, nelle more svolto.
La sezione 6 nella sentenza in commento si è discostata da tale opzione così argomentando:
La legge 9 agosto 2024 n. 114, entrata in vigore il successivo 25 agosto, ha modificato l’art. 291 cod. proc. pen., che disciplina il procedimento applicativo delle misure cautelari, introducendo la disposizione di cui all’art. 291, comma 1-quater, secondo la quale «Fermo il disposto dell’articolo 289, comma 2, secondo periodo, prima di disporre la misura, il giudice procede all’interrogatorio della persona sottoposta alle indagini preliminari con le modalità indicate agli articoli 64 e 65, salvo che sussista taluna delle esigenze cautelari di cui all’articolo 274, comma 1, lettere a) e b), oppure l’esigenza cautelare di cui all’articolo 274, comma 1, lettera c), in relazione ad uno dei delitti indicati all’articolo 407, comma 2, lettera a), o all’articolo 362, comma I ter, ovvero a gravi delitti commessi con uso di armi o con altri mezzi di violenza».
L’obiettivo perseguito dall’interpolazione normativa è quello di assicurare un confronto preventivo e di permettere alla difesa di veicolare in modo effettivo al giudice, anteriormente all’applicazione della misura cautelare, argomenti a sostegno dell’innocenza o, comunque, dell’insussistenza dei presupposti per l’adozione della misura, senza doversi affidare all’onere del pubblico ministero (ex artt. 358 e 291 cod. proc. pen.) o all’iniziativa del deposito preventivo contemplato dall’art. 391-octies cod. proc. pen. Inoltre, come sottolineato in dottrina, «non può negarsi che un reale contraddittorio anticipato è una via ragionevole per rafforzare l’imparzialità e la terzietà del giudice per le indagini preliminari» e per «innalzare lo standard di garanzia negli interventi restrittivi cautelari».
L’obbligo di procedere ad interrogatorio preventivo — presidiato dalla previsione di nullità dell’ordinanza cautelare che non sia stata preceduta dal compimento di esso, contenuta nel nuovo art. 292, comma 3-bis, cod. proc. pen. — è circoscritto ai casi in cui non ricorra una esigenza cautelare di carattere ostativo, essendo state considerate tali innanzitutto quelle di cui all’art. 274, comma 1, lett. a) e b) cod. proc. pen.
Pertanto, allorché sussistano il “pericolo di inquinamento della prova” (art. 274, comma 1, lett. a), cod. proc. pen.) oppure il “pericolo di fuga” (art. 274, comma 1, lett. b), cod. proc. pen.), il procedimento applicativo della misura cautelare è quello originariamente previsto, che non ammette alcuna forma di coinvolgimento della persona sottoposta alle indagini, posticipato, invece, alla fase successiva all’esecuzione e attuato mediante l’interrogatorio di garanzia ex art. 294 cod. proc. pen. Inoltre, il legislatore ha attribuito carattere ostativo alla “sussistenza” dell’esigenza cautelare di cui all’art. 274, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., soltanto, però, se essa emerge “in relazione” a uno dei delitti indicati nell’art. 407, comma 2, lett. a) o all’art. 362, comma 1-ter, cod. proc. pen., ovvero a gravi delitti commessi con l’uso di armi o con altri mezzi di violenza personale.
Si tratta, nel primo caso, di ipotesi alle quali si correla la presunzione di complessità delle indagini preliminari, che implica l’estensione del relativo termine di durata, oltre che, in gran parte dei casi, la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen.; nel secondo caso, di ipotesi di reato la cui prospettazione impone un intervento sollecito a tutela di esigenze ritenute primarie, conformemente all’impostazione complessiva della legge 19 luglio 2019, n. 69 (c.d. “Codice rosso”) e, sulla base delle integrazioni apportate dalla legge 27 luglio 2001, n. 134, un vincolo temporale all’assunzione di sommarie informazioni da persone determinate. L’interrogatorio preventivo presuppone l’adempimento di un dovere informativo che, ai sensi dell’art. 291, comma 1-sexies, cod. proc. pen., viene configurato attraverso la previsione di un obbligo di comunicazione al pubblico ministero e di notificazione all’indagato e al suo difensore di un atto, l’avviso di presentazione per rendere l’interrogatorio.
Alla facoltatività della sottoposizione all’interrogatorio preventivo si contrappone, per l’evenienza in cui esso abbia luogo, l’obbligo di documentazione integrale secondo le modalità previste dall’art. 141-bis cod. proc. pen. per l’ipotesi di interrogatorio della persona in stato di detenzione.
Le dichiarazioni rese in sede di interrogatorio preventivo, il cui compimento fa venire meno l’obbligo di procedere all’interrogatorio di garanzia, costituiscono elementi che devono, a pena di nullità dell’ordinanza cautelare, essere oggetto di specifica valutazione da parte del giudice e la relativa documentazione deve essere, secondo quanto previsto dal nuovo art. 309, comma 5, cod. proc. pen., necessariamente (“in ogni caso”) trasmessa al tribunale del riesame.
Come già detto, ai sensi dell’art. 292, comma 3-bis, cod. proc. pen., «l’ordinanza è nulla se non è preceduta dall’interrogatorio nei casi previsti dall’art. 291, comma 1-quater, nonché quando l’interrogatorio è nullo per violazione delle disposizioni di cui ai commi 1-septies e 1-octies del medesimo articolo».
L’espressa previsione della nullità, come è noto, è una sanzione correlata a un vizio strutturale dell’atto e ben può dirsi dunque che l’omissione dell’interrogatorio dà luogo a un vizio genetico del titolo cautelare.
La norma di nuovo conio, al contrario della disciplina dell’interrogatorio di garanzia posticipato ex art. 294 cod. proc. pen., delinea un’architettura procedimentale che postula come prerequisito per l’emissione della misura personale l’interlocuzione preventiva con il suo destinatario, salve le pur ampie deroghe previste.
Il contatto anticipato tra il giudice e il (potenziale) destinatario del provvedimento restrittivo costituisce un elemento fondante, e non solo cronologicamente antecedente, dell’esercizio del potere cautelare e la sua omissione costituisce un vulnus all’esercizio delle prerogative difensive, poiché priva l’indagato del diritto di esporre quanto ritenuto a sua difesa.
Non viene in rilievo, come nel distinto schema di cui agli artt. 302 e 306 cod. proc. pen., una causa di inefficacia della misura, sopravvenuta rispetto all’emissione e all’applicazione del vincolo cautelare ed operante sul diverso piano della persistenza della misura stessa, ma l’accertata inesistenza originaria di un presupposto fisiologicamente legittimante il titolo cautelare.
Poiché il mancato interrogatorio preventivo rende configurabile un vizio che incide sulla validità dell’ordinanza genetica e sulla legittimità del potere coercitivo del giudice, ne discende che il giudice del riesame non può esercitare il potere integrativo e sanante, pure previsto dall’art. 309, comma 9, cod. proc. pen., che non può essere svolto, invece, quando l’ordinanza emessa sia inficiata da un vizio genetico.
L’omesso interrogatorio compromette le garanzie difensive dell’indagato e, come già affermato dalla Suprema Corte, ammettere, in tale caso, il potere integrativo del Tribunale significherebbe attribuire efficacia sanante della nullità non alla scelta della “parte”, indagato o difensore, cui è rimessa l’eccezione di nullità, ma al giudice (così Sez. 6, n. 17916 del 20/03/2025, Luciano, Rv. 288037 – 01).
Si è anche affermato che «il pericolo di fuga ovvero il pericolo di inquinamento di prove, che consentono al giudice di disporre la misura cautelare senza procedere all’interrogatorio preventivo previsto dall’art. 291, comma 1- quater, cod. proc. pen., devono sussistere oggettivamente, così che la sua mancanza, rilevata o ritenuta dal giudice dell’impugnazione, provoca l’annullamento dell’ordinanza dispositiva emessa sulla base di tali esigenze cautelari erroneamente ritenute dal giudice del provvedimento genetico» (Sez. 2, n. 9113 del 9/01/2025, Pizzolante, non mass.; Sez. 6, n. 17916/2025 cit.).
L’interrogatorio preventivo, infatti, costituisce presupposto oggettivo per l’emissione della misura, derogabile solo in presenza della “sussistenza” — e, quindi, della realtà oggettiva — dei casi che limitano la natura generale della disposizione che lo ha introdotto.
La sussunzione dell’interrogatorio preventivo nel procedimento di applicazione dell’ordinanza, quale parte integrante dell’esercizio del potere dispositivo del giudice, rende configurabile, nel caso in cui sia stato omesso, la violazione delle prescrizioni di cui all’art. 291, comma 1-quater, cit. e, incidendo sulla sfera di operatività dell’art. 178, lett. c), cod. proc. pen., che riguarda l’intervento dell’indagato, concretizza una nullità che deve essere qualificata come a regime intermedio e fatta valere con la richiesta di riesame (v. Sez. 6, n. 17916/2025 cit.).
L’omissione dell’interrogatorio preventivo dà luogo a una nullità diversa da quella dell’omesso interrogatorio di garanzia, la cui omissione inficia l’efficacia dell’ordinanza e che, secondo la giurisprudenza, non può neppure essere dedotta in sede di riesame (ex multis, Sez. 6, n. 11735 del 25/01/2024, Tavella, Rv. 286202 – 01), nonché dai casi in cui, per violazione dei termini dell’invito a presentarsi o delle modalità dell’interrogatorio, si sia in presenza della violazione delle disposizioni recate dai commi 1-septies e 1-octies del medesimo articolo.
Già con riferimento all’interrogatorio dell’indagato previsto dall’art. 289 cod. proc. pen. la cassazione aveva inquadrato il mancato espletamento dell’interrogatorio in un caso di nullità di ordine generale a regime c.d. intermedio, riconducibile all’art. 178, lett. c), cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 46218 del 6/11/2009, Pisino, Rv. 245539 – 01).
Tale nullità è soggetta, quale nullità generale, ai termini di rilevabilità di cui all’art. 180 cod. proc. pen.
Quanto alle regole di deducibilità e di preclusione di cui all’art. 182 cod. proc. pen., le stesse devono essere valutate alla luce della peculiarità dello schema procedimentale: il secondo comma presuppone, infatti, che all’atto assista la parte, ciò che non è ravvisabile con riguardo all’adozione di un atto a sorpresa, quale l’ordinanza applicativa di misura cautelare non preceduta da interrogatorio.
Per giunta, l’assistenza della parte va correlata alla possibilità di immediato esercizio delle facoltà difensive e, dunque, all’effettiva presenza della parte tecnicamente assistita da un difensore (sul punto Sez. U, n. 5396 del 29/01/2015, Bianchi, Rv. 263024 -01, che ha precisato, inoltre, che «nel caso in cui la nullità dell’atto derivi da un mancato avviso di una garanzia difensiva, alla cui conoscenza l’avviso stesso è preordinato, la sua deducibilità, da parte dell’indagato o dell’imputato che vi abbia assistito, non è soggetta ai limiti previsti dall’art. 182, comma 2, cod. proc. pen.»: Rv. 263026 – 01).
Non diverse indicazioni si traggono dalle pronunce aventi ad oggetto peculiari ipotesi di nullità a regime intermedio, correlate alla mancata notifica dell’avviso di udienza al secondo difensore o a vizi della notifica (Sez. U, n. 39060 del 16/07/2009, Aprea, Rv. 244188 – 01; Sez. U, n. 119 del 27/10/2004, Palumbo, Rv. 229504 – 01): in tali casi, infatti, si presuppone comunque che il vizio si consolidi alla presenza di una parte assistita, al momento della verifica della sua regolare costituzione; situazione non riproducibile nel caso dell’ordinanza applicativa di misura cautelare e della sua esecuzione.
In tale prospettiva non è necessario individuare uno specifico atto, cui correlare un effetto preclusivo, ma è sufficiente aver riguardo alle fasi procedimentali volte alla verifica della legittimità del titolo genetico, superate le quali la questione della nullità dovrebbe ritenersi preclusa, con definitivo consolidamento della validità di quel titolo.
La Suprema Corte (Sez. 6, n. 17916/2025 cit.) ha già affermato che, non vertendosi, invero, in materia di inefficacia della misura, ma di invalidità del provvedimento cautelare, non sono applicabili le disposizioni di cui agli artt. 306 e 310 cod. proc. pen. e il mezzo tipico di deduzione della nullità è rappresentato dalla richiesta di riesame, che costituisce il rimedio preordinato alla verifica dei presupposti legittimanti l’adozione del provvedimento cautelare, consentendo all’indagato di ottenere un pieno controllo giurisdizionale sulla legittimità del provvedimento e, quindi, la verifica ex post della sussistenza di tutti i presupposti richiesti dalla legge per l’applicazione della misura, costituiti non solo dai gravi indizi e dalle esigenze cautelari ma anche dalla necessità (o meno) dell’interrogatorio preventivo.
Non rileva a pena di decadenza, trattandosi di vizio genetico del titolo, la mancata deduzione della nullità nel corso dell’interrogatorio di garanzia, a prescindere dalle sue modalità e, cioè, sia nel caso in cui l’indagato abbia accettato il contraddittorio, rispondendo alle domande ed esponendo quanto ritenuto utile alla sua difesa, sia nel caso in cui si sia avvalso del diritto al silenzio.
L’interrogatorio preventivo non è, infatti, surrogabile e l’indagato ha interesse, a prescindere dal concreto iter processuale, all’osservanza della disposizione che è parte integrante del potere coercitivo del giudice.
Tutto ciò significa non che la questione non possa essere fin da quel momento dedotta, ma solo che la mancata formulazione di un’eccezione di nullità in quella sede non possa assumere rilievo preclusivo.
Siffatta opzione ermeneutica va preferita all’altra adottata dalla cassazione (v. notizia di decisione della Sez. 2, udienza del 12 giugno 2025, relativa ai ricorsi n. 12215/2025, 12223/2025, 12246/2025, 12265/2025) secondo cui l’omissione del previo interrogatorio nei casi in cui esso sia dovuto integra una nullità a regime intermedio, che non può essere rilevata di ufficio dal tribunale del riesame nel caso in cui non sia stata eccepita dall’interessato in sede di interrogatorio postumo di garanzia, nelle more svolto.
Non pare superfluo ricordare, al riguardo, che l’intervento normativo del 2024 ha lasciato integro (tra gli altri, e per quel che nella specie più direttamente interessa), in tema di riesame delle ordinanze che dispongono una misura coercitiva, l’assetto normativo delineato dall’art. 309 cod. proc. pen., che, come noto, al comma 9 dispone che il tribunale, se non deve dichiarare l’inammissibilità della richiesta, annulla, riforma e conferma l’ordinanza oggetto del riesame, decidendo anche sulla base degli elementi addotti dalle parti nel corso dell’udienza.
Il tribunale può sia annullare il provvedimento impugnato, sia riformarlo in senso favorevole all’imputato, anche per motivi diversi da quelli enunciati, ovvero può confermarlo per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione del provvedimento stesso.
Inoltre, il Tribunale del riesame ha il potere/dovere di integrazione delle insufficienze motivazionali del provvedimento impugnato, salvo il caso di ordinanza che si sia limitata ad una sterile rassegna delle fonti di prova a carico dell’indagato e che manchi totalmente di qualsiasi riferimento contenutistico e di enucleazione degli specifici elementi reputati indizianti (Sez. 3, n. 3038 del 14/11/2023, dep. 2024, Emme Ci Tex s.r.I., Rv. 285747 – 01; Sez. 6, n. 10590 del 13/12/2017, dep. 2018, Liccardo, Rv. 272596 – 01; Sez. 6, n. 25631 del 24/05/2012, Piscopo, Rv. 254161 – 01).
Con l’unico limite del divieto di reformatio in peius, il tribunale, in sede di riesame, ha, quindi, la stessa cognizione piena del giudice che ha emesso la misura restrittiva.
Tale assetto è stato costantemente e uniformemente interpretato dalla giurisprudenza nel senso del controllo demandato al giudice del riesame sulla sussistenza degli elementi giustificativi della misura cautelare imposta. Il riesame è diretto al controllo dei presupposti formali e sostanziali della misura cautelare e con esso, quindi, sono deducibili e rilevabili d’ufficio i vizi genetici del provvedimento coercitivo (così, tra le altre, Sez. 3, n. 37608 del 9/6/2021, Costagliola, Rv. 282023 – 01).
Deve, infatti, ricordarsi che le Sezioni Unite hanno già avuto modo di rilevare che, a seguito delle novelle normative intervenute sull’originario quadro disegnato dal codice di rito, «il riesame ha assunto la funzione di strumento di controllo a garanzia della libertà personale nella dialettica tra le parti, attraverso un’effettiva e tempestiva verifica giudiziale, con l’attuata discovery degli elementi a sostegno della richiesta cautelare.
Da mezzo di difesa per costringere il P.M. a scoprire la sua strategia accusatoria, il riesame si è connotato, secondo l’evoluzione giurisprudenziale, di una logica di tipo sostanziale che consentisse la polarizzazione del controllo del tribunale sulla valutazione degli indizi, operata dal giudice cautelare, attraverso la trasmissione dei dati dai quali potessero desumersi gli elementi di colpevolezza, le esigenze cautelari e l’adeguatezza della misura prescelta» (Sez. U, n. 19853 del 27/03/2002, P.M. in proc. Mohanned Ashraf, Rv. 221393 – 01).
Alla luce di quanto precede, spettando al tribunale il controllo sui vizi genetici del titolo cautelare, deve ritenersi che a tale organo vada rimessa la verifica sulla sussistenza di un elemento costitutivo dell’ordinanza impositiva della misura cautelare, qual è, sulla base delle ragioni innanzi esposte, la presenza dell’interrogatorio o di una causa che ne consente la mancata effettuazione.
Tale verifica, come si è rilevato, non può essere preclusa dalla mancata proposizione dell’eccezione di nullità dinanzi al giudice dell’interrogatorio di garanzia.
Manca una espressa previsione in questo senso e, del resto, tale giudice, come disposto dall’art. 294 cod. proc. pen., accerta la permanenza delle condizioni legittimanti l’applicabilità della misura e le esigenze cautelari previste dagli artt. 273, 274 e 275 cit., così che il suo sindacato non necessariamente investe i vizi genetici del titolo cautelare, ma si focalizza sulla persistenza dell’efficacia del titolo cautelare alla luce delle dichiarazioni rese dall’interrogato.
Può aggiungersi che, soprattutto in casi peculiari, pur considerando che all’interrogatorio di garanzia partecipa il difensore dell’indagato o dell’imputato, i tempi di svolgimento dello stesso, rispetto all’adozione della misura cautelare, sono ristrettissimi, così che, onerando la difesa della proposizione in quella sede dell’eccezione di nullità per la mancata effettuazione dell’interrogatorio preventivo — che può implicare l’esame puntuale del tema della sussistenza o meno delle condizioni che rendono obbligatorio tale incombente e l’indicazione di elementi utili a conforto della propria prospettazione — potrebbero sorgere dubbi sull’effettiva possibilità per l’indagato di svolgere appieno la sua difesa, salvo che non si debba optare per una eccezione sollevata al solo fine di non vedersi precludere la riproposizione dinanzi al Tribunale del riesame.
Circostanza, questa, che stride con il diritto a esercitare in modo consapevole ed effettivo la propria difesa.
In definitiva, non possono trarsi elementi significativi dalla causa di preclusione prevista dall’art. 182 cod. proc. pen., venendo in rilievo, invece, il diverso tema del consolidamento della misura, a fronte di vizi genetici, che può discendere solo dal passaggio procedimentale deputato a quella verifica, costituito dal giudizio di riesame.
La reiezione definitiva dell’eccezione o la mancata proposizione della relativa istanza valgono a rendere non più deducibile il vizio in esame, non diversamente da quanto affermato con riguardo alla nullità discendente dalla mancanza di autonoma valutazione (Sez. 3, n. 41786 del 26/10/2021, Gabbianelli, Rv. 282460 – 01).
A conforto di tale epilogo, ossia della possibilità (e dell’onere) di sollevare direttamente l’eccezione di nullità dinanzi al tribunale del riesame, è utile ricordare, ad es., che l’art. 309 cod. proc. pen. dispone che «il tribunale annulla il provvedimento impugnato se la motivazione manca o non contiene l’autonoma valutazione, a norma dell’articolo 292, delle esigenze cautelari, degli indizi e degli elementi forniti dalla difesa».
In tale ipotesi, connotata dalla sussistenza di un vizio genetico del titolo cautelare, non si è prospettata la necessità di investire della questione il giudice che svolge l’interrogatorio di garanzia prima di adire il tribunale.
A riscontro di siffatta analisi può invocarsi quanto rilevato dalle Sezioni Unite con riguardo al vizio rappresentato dalla mancata traduzione del titolo cautelare in lingua conosciuta dall’indagato.
Nel condividere l’orientamento giurisprudenziale secondo cui le ipotesi di mancata o tardiva traduzione dei provvedimenti che dispongono una misura cautelare personale nei confronti di un cittadino straniero, che non conosce la lingua italiana, concretizzano un vizio dell’atto (Sez. U, n. 15069 del 26/10/2023, dep. 2024, Niecko, Rv. 286356 – 01), le Sezioni Unite hanno, in particolare, affermato che, nel caso in cui la mancata conoscenza della lingua italiana da parte del cittadino straniero emerga già prima dell’emissione del provvedimento che disponga una misura cautelare personale, quest’ultima deve ritenersi adottata, ove la traduzione non sia eseguita in termini congrui, così come previsto dall’art. 143, comma 2, cod. proc. pen., in assenza di uno dei suoi elementi costitutivi, rappresentato dalla comprensione da parte del cittadino straniero delle ragioni che giustificano la privazione della sua libertà.
Da questo inquadramento si è tratta la conclusione che il vizio derivante dalla mancata traduzione dell’ordinanza cautelare, laddove la circostanza che l’arrestato non conosce la lingua italiana emerga prima dell’adozione del provvedimento, non può essere dedotto per la prima volta in sede di legittimità, riguardando un’ipotesi di nullità che, in quanto, appunto, generale a regime intermedio, deve «essere eccepita con l’impugnazione dell’ordinanza applicativa dinanzi al tribunale del riesame, restando altrimenti preclusa la sua deducibilità e la sua rilevabilità».
Va aggiunto che l’opzione ermeneutica prescelta consente di tenere conto che l’incidenza diretta delle misure cautelari sulla libertà personale, da cui traggono origine le garanzie previste dell’art. 24, secondo comma, Cost., e 6, par. 3, lett. a), CEDU, impone di riconoscere la massima forza espansiva al diritto di difesa dell’indagato, assicurandogli di potere far valere il vizio dinanzi al Tribunale senza il rischio di incorrere in preclusioni processuali.
Applicando tali coordinate ermeneutiche al caso in esame, va innanzitutto rilevato che è errata l’affermazione del Tribunale relativa alla tardività dell’eccezione di nullità per la mancata effettuazione dell’interrogatorio preventivo.
Secondo il Tribunale, in applicazione dell’art. 182, comma 2, cod. proc. pen., la difesa avrebbe dovuto eccepire la nullità immediatamente dopo il suo compimento e cioè in sede di interrogatorio di garanzia, sostenuto dopo l’esecuzione della misura cautelare.
Non avendolo fatto, l’indicata nullità, pur se ritenuta astrattamente esistente, deve ritenersi sanata dalla mancata tempestiva eccezione.
