Detenzione domiciliare: illogico negarla perché l’abitazione in cui dovrebbe essere eseguita è la stessa in cui il detenuto è stato arrestato anni prima (Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 1^, sentenza n. 27417/2025, udienza dell’11 luglio 2025, deposito del 25 luglio 2025, ha ricordato che l’ammissione alla detenzione domiciliare postula che sia accertata la concreta attitudine dell’istituto a contribuire da un canto, anche attraverso l’adozione di opportune prescrizioni, alla risocializzazione del condannato ed a prevenire, dall’altro, il pericolo di nuove manifestazioni criminali (Sez. 1, n. 14962 del 17/03/2009, Rv. 243745).

Il fine rieducativo si attua, dunque, mediante una misura dal carattere marcatamente contenitivo, che si salda alla tendenziale sfiducia ordinamentale sull’efficacia del trattamento penitenziario instaurato rispetto a pene di contenuta durata.

Rientra, quindi, nella discrezionalità del giudice di merito l’apprezzamento in ordine all’idoneità o meno, ai fini della risocializzazione e della prevenzione della recidiva, delle misure alternative — alla cui base vi è la comune necessità di una prognosi positiva, frutto di un unitario accertamento (Sez. 1, n. 16442 del 10/02/2010, Rv. 247235) — e l’eventuale scelta di quella ritenuta maggiormente congrua nel caso concreto. Le relative valutazioni non sono censurabili in sede di legittimità, se sorrette da motivazione adeguata e rispondente a canoni logici (Sez. 1, n. 652 del 10/02/1992, Rv. 189375), basata su esaustiva, ancorché se del caso sintetica, ricognizione degli incidenti elementi di giudizio.

Orbene, nel caso di specie, il Tribunale di sorveglianza — pur al cospetto di una pena detentiva la cui modesta entità residua avrebbe consigliato, in linea di principio, di evitare l’esecuzione in forma inframuraria — ha escluso la concedibilità della detenzione domiciliare sul solo rilievo che l’abitazione, dove l’odierno ricorrente aveva chiesto di eseguire detta misura alternativa, era la medesima nella quale era stato tratto in arresto alcuni anni fa.

Il ragionamento sotteso alla decisione appare non convincente e frutto di una illogica sopravvalutazione di un dato (quello connesso, appunto, alla precedente commissione del reato nella stessa abitazione) senza, invece, considerare altri elementi quali la entità della pena residua, la reale pericolosità sociale del detenuto ed il suo comportamento inframurario al fine di esprimere un compiuto giudizio sulla sussistenza e la pregnanza del rischio di recidiva, in ipotesi di concessione della più contenitiva misura prevista dall’art. 47-ter Ord. pen.

Le considerazioni che precedono impongono, pertanto, l’annullamento dell’ordinanza impugnata, limitatamente alla domanda di detenzione domiciliare, con rinvio al Tribunale di sorveglianza per un nuovo giudizio affinché – in piena autonomia decisionale – colmi le lacune motivazionali sopra indicate.