Presunzione d’innocenza ed utilizzo in sentenza di un linguaggio che esprima valutazioni di “sostanziale” colpevolezza: la cassazione indica gli strumenti di tutela (Riccardo Radi)

La Cassazione penale sezione 2 con la sentenza numero 18658/2025 ha stabilito che il diritto alla presunzione di innocenza, riconosciuto dalla giurisprudenza costituzionale e da quella convenzionale é da intendersi come diritto dell’assolto e del prosciolto a non essere indicato come colpevole nella decisione di proscioglimento, è tutelabile con gli ordinari mezzi di impugnazione nel caso in cui risulti violato mediante l’uso, nell’indicata pronunzia, di un linguaggio giudiziario che esprima valutazioni di “sostanziale” colpevolezza.

La necessità di tutelare il diritto alla presunzione di innocenza è stata riconosciuta sia dalla giurisprudenza costituzionale che da quella convenzionale.

Decisive sul punto appaiono le affermazioni della Corte costituzionale contenute nella sentenza n. 182 del 2021.

I giudici di Palazzo della Consulta hanno stabilito che il giudice dell’impugnazione penale spogliatosi della cognizione sulla responsabilità in seguito alla declaratoria di estinzione del reato per sopravvenuta prescrizione, deve provvedere – in applicazione dell’art. 578 cod. proc. pen. – “ai soli effetti civili”, confermando, riformando o annullando la condanna sulla base di un accertamento che impinge “unicamente” sugli elementi costitutivi dell’illecito civile, senza poter riconoscere, neppure incidenter tantum, la “responsabilità” dell’imputato per il reato estinto.

Si tratta di una decisione coerente con le indicazioni provenienti dalla Corte di Strasburgo che hanno affermato la necessità di bilanciare il diritto alla presunzione di innocenza con diritto della vittima al risarcimento del danno (sul punto, Corte Edu, terza sezione, 11 febbraio 2023, Ringvold v. Norvegia).

La Convenzione Edu stabilisce espressamente che ogni persona accusata di un reato si presume innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata (art. 6, § 2, CEDU).

Analogo riconoscimento di questa garanzia fondamentale è, peraltro, presente nel nostro ordinamento costituzionale come presunzione di non colpevolezza, che viene meno solo con la condanna definitiva (art. 27, secondo comma, Cost.).

Nell’interpretazione e applicazione datane dalla Corte Edu (ex plurimis, Corte EDU, Grande camera, sentenza 12 luglio 2013, Allen contro Regno Unito), la norma convenzionale assume tuttavia un più ampio rilievo rispetto al parametro nazionale, presentando una portata non strettamente “endoprocessuale”. Corte di Cassazione – copia non ufficiale

E’ stato ribadito, infatti, che la presunzione di innocenza costituisce sicuramente una «garanzia procedurale» destinata ad operare «nel contesto di un processo penale», producendo effetti sul piano dell’«onere della prova», sulla operatività delle «presunzioni legali di fatto e di diritto», sull’applicabilità del «privilegio contro l’autoincriminazione», nonché in ordine «pubblicità preprocessuale» e sulle «espressioni premature», dei giudici e funzionari in ordine alla colpevolezza.

Ma è stato anche affermato – ed è quello che rileva nel caso in esame – che la presunzione di innocenza estende i suoi effetti anche al di fuori del processo penale ed opera nel tempo successivo alla sua conclusione o interruzione, non in funzione di apprestare garanzie procedurali all’imputato, ma allo scopo di «proteggere le persone che sono state assolte da un’accusa penale, o nei confronti delle quali è stato interrotto un procedimento penale, dall’essere trattate dai pubblici ufficiali e dalle autorità come se fossero di fatto colpevoli del reato contestato» (Corte cost. n. 182 del 2021).

Secondo la Corte EDU, terza sezione, sentenza 20 ottobre 2020, Pasquini contro Repubblica di San Marino, «senza una tutela che garantisca il rispetto dell’assoluzione o della decisione di interruzione in qualsiasi altro procedimento, le garanzie del processo equo di cui all’art. 6 [paragrafo] 2, rischiano di diventare teoriche o illusorie», sicché, in seguito ad un procedimento penale conclusosi con un’assoluzione o con un proscioglimento, la persona che ne è stata oggetto è innocente agli occhi della legge e deve essere trattata in modo coerente con tale innocenza in tutti i successivi procedimenti che la riguardano, a meno che si tratti di procedimenti giudiziari che diano luogo ad una nuova imputazione penale, ai sensi della Convenzione.

La Corte di Strasburgo ha anche precisato che l’art. 6, paragrafo 2, CEDU, nella sua portata ultraprocessuale, tutela la reputazione della persona, sovrapponendosi, per questo profilo, alla protezione offerta dall’art. 8 (Corte EDU, sentenza Pasquini contro Repubblica di San Marino).

Tale tutela ultraprocessuale è stata estesa dalla Corte europea dei diritti umani anche agli accertamenti relativi alla confisca che siano effettuati dopo l’estinzione del reato per prescrizione ai sensi dell’art. 578-bis cod. proc. pen.

Infatti, nella pronuncia Episcopo e Bassani v. Italia (I sezione, 19 dicembre 2024) la Corte Edu ha affermato che la tutela prevista dall’art. 6, § 2, non deve essere interpretata in modo da impedire all’autorità giudiziaria di esaminare gli “stessi fatti” per i quali l’imputato è stato prosciolto al diverso fine di disporre la confisca (che, si ribadisce, non è una sanzione, ma una misura ripristinatoria): l’importante è che la confisca non sia correlata ad un cripto-accertamento di responsabilità penale, ma solo alla dimostrazione della “provenienza illecita” dei beni.

Sicché, per rispettare le garanzie convenzionali, la decisione inerente alla confisca non deve risolversi in una sostanziale affermazione di responsabilità penale successiva al proscioglimento, dato che un tale epilogo sarebbe in contrasto con il diritto alla presunzione di innocenza.

Il diritto alla presunzione di innocenza trova tutela anche nell’ordinamento dell’Unione europea.

Lo stesso è protetto, infatti, dall’art. 48, comma 1, CDFUE, che, con norma corrispondente all’art. 6, § 2, CEDU, stabilisce che ogni imputato «è considerato innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente provata».

Tale tutela è riconosciuta specificamente dalla direttiva 2016/343/UE il cui art. 3 prevede che gli Stati membri assicurino «che agli indagati e imputati sia riconosciuta la presunzione di innocenza fino a quando non ne sia stata legalmente provata la colpevolezza».

Il successivo art. 4, paragrafo 1, primo periodo, stabilisce che gli Stati membri «adottano le misure necessarie per garantire che, fino a quando la colpevolezza di un indagato o imputato non sia stata legalmente provata, le dichiarazioni pubbliche rilasciate da autorità pubbliche e le decisioni giudiziarie diverse da quelle sulla colpevolezza non presentino la persona come colpevole».

Quanto al significato e alla portata che ha il principio in esame nell’ordinamento europeo, va detto come gli stessi siano sostanzialmente sovrapponibili a quelli che il medesimo principio assume nell’ordinamento convenzionale, non potendo l’ordinamento dell’Unione riconoscere una protezione che sia meno estesa (art. 52, comma 3, CDFUE).

Tale direttiva è stata attuata nel nostro ordinamento nazionale dal d.lgs. n. 188 del 2021 che all’art. 2 ha stabilito il “divieto alle autorità pubbliche di indicare pubblicamente come colpevole la persona sottoposta a indagini o l’imputato fino a quando la colpevolezza non è stata accertata con sentenza o decreto penale di condanna irrevocabili”.

In caso di violazione di tale divieto, la norma prevede il diritto di rettifica in capo all’interessato, ferme restando le eventuali sanzioni penali e disciplinari e il risarcimento del danno.

Dal quadro come sinteticamente riscostruito, emerge una univoca tensione delle Carte che tutelano i diritti fondamentali verso la difesa del diritto alla presunzione di innocenza.

Tale diritto risulta declinato come diritto dell’assolto e del prosciolto a non essere indicato come colpevole nelle decisioni delle autorità giudiziarie successive al proscioglimento.

Segnatamente, la violazione del diritto alla presunzione di innocenza può essere integrata anche dall’utilizzo di un linguaggio giudiziario che esprima valutazioni di “sostanziale” colpevolezza, nonostante il “formale” proscioglimento.

Con specifico riguardo alla identificazione degli strumenti di salvaguardia di tale diritto, la cassazione ritiene che la sua tutela – concreta ed effettiva – possa essere garantita anche dall’esercizio degli ordinari poteri di impugnazione che consentano, ove ne ricorrano gli estremi, una sostanziale rettifica della motivazione lesiva.

Ebbene: nel caso in esame, il reato descritto al capo d), è stato dichiarato estinto per decorso del termine massimo di prescrizione dalla Corte di cassazione che ha rimesso gli atti al giudice civile per la valutazione sia dell’an che del quantum della responsabilità derivante dalla condotta contestata.

Ciononostante, la Corte di appello, nella motivazione della sentenza impugnata, ha affermato, proprio con riguardo al reato dichiarato estinto, per il quale la C. era stata prosciolta che l’insufficienza probatoria riguardasse solo la posizione di O. e doveva intendersi circoscritta all’effettività del turbamento della gara quale evento naturalistico del reato di cui all’art. 353 cod. pen., ma non alle condotte perturbatrici poste in essere dal L. e dal S., il che ostava alla pronuncia di una formula liberatoria in relazione a tale capo (pag. 34 della sentenza impugnata).

Tale passo della motivazione descrive la responsabilità della ricorrente per la condotta contestata al capo d), nonostante tale reato fosse stato dichiarato estinto per prescrizione.

Tale anomalia motivazionale è stata segnalata dalla difesa della ricorrente che ha dedotto sia la violazione dell’art. 627 cod. proc. pen. nella misura in cui la motivazione travalicherebbe il mandato rescindente, sia la violazione del diritto costituzionale al rispetto della presunzione di innocenza.

La Suprema Corte ritiene che, contrariamente a quanto dedotto, tale passaggio motivazionale non integra una violazione dell’art. 627 cod. proc. pen.

Invero, la digressione sulla responsabilità penale in relazione alla condotta descritta al capo d), non trova un correlato nell’epilogo decisorio, cristallizzato nel dispositivo che non conferma, neanche nell’an la sussistenza della responsabilità civile, dato che ribadisce che la valutazione della responsabilità civile correlata alla condotta descritta al capo d) è stata integralmente devoluta dalla Corte di cassazione alla Corte di appello civile competente per valore.

Si ritiene, pertanto, che la violazione del mandato rescindente non sussista in quanto il passaggio anomalo della motivazione, resti superato ed assorbito dal chiaro epilogo decisorio, cristallizzato nel dispositivo, che risulta del tutto coerente con la sentenza rescindente.

Il passaggio motivazionale censurato non viola neanche il diritto alla presunzione di innocenza in quanto la ricorrente ha avuto la concreta ed effettiva possibilità di tutelare il suo diritto attraverso il ricorso per cassazione, rappresentando che il suo proscioglimento per prescrizione era incompatibile con la parte della motivazione, non confermata dal dispositivo che affermava la sussistenza della responsabilità per la condotta dichiarata prescritta.

La Corte di cassazione, riconoscendo la contraddittorietà della parte della motivazione censurata con l’epilogo decisorio, ha escluso che sulla condotta descritta al capo d) fosse accertata la responsabilità della ricorrente, in tal modo tutelando in concreto il suo diritto alla presunzione di innocenza.