Nell’autunno del 2023, ad un anno dall’insediamento del Governo Meloni, il Ministero della Giustizia promuoveva, di concerto con il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL), il progetto “Recidiva Zero”, un’iniziativa avviata con l’obiettivo di ridurre il tasso di recidiva tra le persone detenute tramite percorsi strutturati di studio, formazione e lavoro all’interno e all’esterno degli istituti penitenziari.
L’ambizioso progetto punta all’ampliamento delle opportunità di lavoro per i detenuti nelle carceri italiane in ossequio all’articolo 27 della Costituzione, nella parte in cui attribuisce alla pena una tensione funzionale alla rieducazione del reo.
I soggetti coinvolti, oltre al CNEL ed il Ministero della Giustizia, sono il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP), 16 organizzazioni rappresentanti di categorie produttive con le quali è stato siglato un protocollo d’intesa per rendere strutturali le iniziative di reinserimento a fronte di misure di incentivazione per l’assunzione di detenuti e per attività produttive in carcere, numerose cooperative sociali, imprese e associazioni che partecipano ai percorsi di inserimento lavorativo, le Regioni ed il mondo accademico, per migliorare le condizioni utili a favorire l’istruzione universitaria in carcere.
L’iniziativa, che ha ottenuto anche il sostegno del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, include formazione scolastica, professionale, lavoro retribuito, con una particolare attenzione alla continuità e alla qualità dei percorsi.
La seconda giornata di studio, svoltasi a Roma il 17 giugno di quest’anno, ha registrato la presenza, tra gli altri, del Ministro Carlo Nordio e del Sottosegretario alla Giustizia, Andrea Ostellari, promotore del progetto iniziale; mentre la prima edizione (aprile 2024) ha rappresentato il momento iniziale di discussione e presentazione del progetto, avviato ufficialmente con l’accordo del 13 giugno 2023, in seno al quale sono state poste le basi per i programmi di studio, formazione e lavoro in carcere e fuori dal carcere, a margine dell’incontro di quest’anno è stato siglato un protocollo d’intesa tra il CNEL e 16 organizzazioni rappresentanti le categorie produttive per l’adesione al Segretariato permanente per l’inclusione economica, sociale e lavorativa delle persone private della libertà personale. Questo ulteriore passaggio dovrebbe segnare una nuova alleanza strutturale e rafforzare partnership utili a stabilizzare e ampliare concretamente le azioni di formazione e lavoro per la riduzione della recidiva.
I principali dati oggettivi ricavabili dal progetto riferiscono che la popolazione detenuta coinvolta in attività lavorative è circa il 34,3% (21.235 detenuti su circa 61.861 al 31 dicembre 2024)[1]. Di questi, l’85% lavora alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria prevalendo lavori interni al carcere, mentre solo poco più di mille casi riguardano attività extramurarie; il tasso di recidiva per i detenuti che partecipano a percorsi di lavoro e formazione è molto basso, attorno al 2%, a fronte di un tasso di recidiva generale del 68-70%.
Il Ministro Nordio ha espresso il proprio convinto sostegno alla iniziativa affermando che, al concetto di rieducazione, il progetto coniuga quello di utilità: per il condannato, che in tal modo potrà acquisire abilità professionali da mettere a frutto una volta espiata la pena, per le aziende, che faticano a trovare maestranze in settori imprenditoriali nei quali “gli italiani non vogliono più prestarsi”, per la collettività, che potrà avvantaggiarsi del reinserimento di soggetti che abbandoneranno uno stile di vita basato su attività illecite, guadagnandone tutti in termini di maggior sicurezza.
In particolare, riferisce il Ministro, “Le statistiche indicano che una buona percentuale di suicidi, che sono un po’ il flagello della carcerazione – non solo di quella italiana ma di tutto il mondo – avvienetra detenuti che non sono appena entrati in carcere (e sarebbe più comprensibile il contrario: perché a inizio pena, quando ti ammanettano e ti sbattono in una cella, ti cade il mondo addosso e probabilmente la tentazione di togliersi la vita è forte)”.
Eppure, contrariamente a quanto affermato, secondo l’ultimo dato del Consiglio d’Europa, nel 2022 il tasso di suicidi nelle carceri italiane è più del doppio della media europea: 15 casi ogni 10.000 persone detenute, a fronte di una media di 7,2 ed, inoltre, i casi di suicidi tra le persone da poco entrate in carcere non sono affatto pochi, infatti, circa la metà è avvenuta nei primi sei mesi di detenzione.
Anche l’intervento del sottosegretario al ministero della Giustizia, Andrea Ostellari, ha fatto registrare un passaggio sul delicato tema dei suicidi in carcere, individuando proprio i progetti sul tavolo dei lavori quali strumenti idonei a ridare speranza e fiducia ai detenuti in prospettiva di un più facile e rapido reinserimento nella società civile, attraverso il rafforzamento degli incentivi per le imprese che assumono detenuti o ex detenuti già previsti dalla legge n. 193/2000, c.d. Legge Smuraglia[2], oltre alla “creazione dell’Elenco Nazionale Unico delle Strutture Esterne, che permetteranno ai soggetti privi di domicilio di poter entrare in un nuovo circuito per partecipare a programmi di formazione e lavoro …. Contando sul fatto che gran parte del lavoro dovrà essere fatto dal Commissario Straordinario per l’Edilizia Carceraria”.
Proprio in ordine al piano edilizio di recente portato in Consiglio dei Ministri dal Guardasigilli per risolvere il problema del sovraffollamento, il Commissario Straordinario, Marco Doglio, ha stimato 9.696 nuovi posti nei prossimi tre anni, realizzati in 6o interventi edilizi, per un costo stimato di 758 milioni, in larga parte già coperto. A questi si aggiungono ulteriori 5.000 posti previsti con operazioni di valorizzazione e trasformazione degli istituti non più funzionali, con l’obiettivo di creare nuovi posti tramite la costruzione di nuove carceri o l’ampliamento di quelli attuali, comportando la risposta un complessivo soddisfacimento del fabbisogno di circa 15.000 posti.
In base al progetto, entro il 2027 verranno realizzati i primi 1.500 container, 400 dei quali da installare subito in via sperimentale. L’obiettivo finale sarebbe quello di ricavare, in tal modo, buona parte dei circa 10 mila posti letto in più al costo di € 83.000 ciascuno.
Da più parti, tuttavia, è stato eccepito che i tempi necessari all’intervento non garantiscono tempestiva soluzione al sovraffollamento, oltre al fatto che i moduli in progettazione andrebbero ad occupare spazi oggi destinati alla socialità che, in tal modo, subirebbe una ulteriore compressione.
Accanto agli interventi strutturali, il Governo intende, poi, favorire la possibilità, per chi ha problemi di tossicodipendenza o alcolismo (la popolazione carceraria affetta da tali problematiche si aggira intono al 30%) un accesso rapido alla detenzione domiciliare nelle comunità di recupero che saranno inserite in un Albo che avrà il compito di conservare l’elenco di quelle ritenute idonee. La Relazione tecnica del Ddl stima che la possibilità di accesso per il primo anno si attesterà sul migliaio di persone.
«La novità – ha affermato l’altro Sottosegretario alla Giustizia, Alfredo Mantovano – sta nel fatto che il nuovo istituto amplia il tetto di pena fino a otto anni, prevede come alternativa al carcere soltanto la detenzione domiciliare in una comunità di recupero e stabilisce che se ne può fruire soltanto una volta».
Eppure, il Presidente della Federazione Italiana delle Comunità terapeutiche, Luciano Squillaci, evidenzia che l’adesione volontaria dei detenuti ai percorsi di recupero presuppone che i richiedenti vogliano percorrere quella strada nella consapevolezza di quello che comporta, non potendo contare su presidi fisici o umani che impongano il trattamento terapeutico e, tantomeno, il mantenimento della restrizione in struttura, senza contare il rischio, paventato da più operatori nel settore, di una “privatizzazione della pena”.
Ad un anno di distanza dalla emanazione del decreto c.d. “carcere sicuro” (decreto-legge n. 92 del 4 luglio 2024, convertito nella legge n. 112/2024), il Governo torna sul tema del sovraffollamento attraverso la valorizzazione dell’istituto della liberazione anticipata; quella annunciata da Carlo Nordio non è certamente “lineare e incondizionata” (suonerebbe come una resa dello Stato), ma si risolve nella sola introduzione di una procedura più rapida per la concessione del beneficio della liberazione anticipata, già previsto dall’ordinamento penitenziario, anche attraverso la creazione di una cartella personalizzata digitale dove andranno inseriti tutti i dati del carcerato, dal «fine pena» ai passaggi trattamentali che possono consentire la sua liberazione. In sostanza non cambia nulla rispetto alla disciplina previgente, l’emanando provvedimento rappresenta l’attuazione dell’art. 5 del decreto n. 92/2024, convertito nella legge n. 112/2024) che non innovava sul sistema esistente ma si limitava a chiarire il calcolo della pena e rivedeva le procedure amministrative per la richiesta di accesso che già, all’epoca, aveva reso chiaro il concetto che nulla sarebbe cambiato in termini deflattivi per la popolazione carceraria.
Risulta singolare che, per ottenerla, sia il detenuto a doversi attivare facendone richiesta, sempre a patto che non si sia già visto respingere una precedente domanda, e il provvedimento deve essere adottato dai magistrati di sorveglianza nonostante il Ministro abbia istituito una task force per coordinare le operazioni che devono svolgersi in contatto diretto con i direttori degli istituti che avranno l’onere di informare il magistrato di sorveglianza.
Ebbene, non si può certo disconoscere che dal suo insediamento l’attuale Governo, in tema di esecuzione penale, si sia dovuto confrontare con una situazione già complessivamente deteriorata e gravemente compromessa ma quello che appare ormai intollerabile è la frattura che corre tra gli annunci che hanno caratterizzato l’azione politica da tre anni a questa parte e le inumane e non più tollerabili condizioni nelle quali vivono i soggetti privati della libertà personale.
Senza entrare nel merito di ogni novità o progetto legislativo (non fatichiamo a riconoscere che alcuni rappresentano sulla carta soluzioni ragionevoli ed auspicabili), notiamo che, di fronte ai numeri del sovraffollamento e dei sucidi in carcere, la politica si dimostra profondamente insensibile.
Il carcere, lo sappiamo bene, non è argomento spendibile per larghissima parte della politica di ogni colore, lo testimoniano, da decenni, le infime condizioni strutturali dei nostri istituti di pena ed anche la carenza di organico che affligge tanto il personale interno (assistenti sociali, psicologi, medici, operatori di polizia, personale amministrativo), quanto quello degli uffici della magistratura di sorveglianza (basti pensare che il CSM, nel pubblicare i posti vacanti dei giudicanti del primo grado, il 16 luglio ha deliberato l’assegnazione di 35 magistrati nel Distretto di Roma, uno solo dei quali all’Ufficio di sorveglianza, nonostante la grave ed, ormai, endemica scopertura) ma, a questo punto, procrastinare interventi radicali che incidano immediatamente sulla sicurezza dei detenuti – ma anche dei detenenti – significa legittimare quei trattamenti disumani vietati dall’art. 3 della CEDU e dall’art. 27 della Costituzione italiana.
Ai proclami non seguono mai azioni concrete oggettivamente riscontrabili e sostenute da investimenti economici e, del resto, numeri impietosi ci raccontano una storia diversa da quella narrata, fatta di una sofferenza diversa ed ulteriore rispetto a quella legittimamente distribuita dal sistema ordinamentale.
Numeri che dicono che in questi mille giorni di Governo Meloni i detenuti sono passati ad essere da 56.225 (31 ottobre 2022) a 62.728 (30 giugno 2025) quindi 6503 persone in più nelle carceri a fronte di soli 126 posti in più creati dalle politiche governative condite di vuoti ed ipocriti proclami (caserme trasformate e nuove carceri da costruire), il tutto con il sostanziale avallo di chi dovrebbe istituzionalmente vigilare per individuare criticità e trovare soluzioni per risolverle
Amnistia e indulto per risolvere qui e ora (citazione di Francesco Petrelli, presidente UCPI, convegno cpr) e non domani forse, perché ora la gente muore non fra un anno… e qualcuno avverta il Garante Nazionale.
[1] La popolazione detenuta attualmente in Italia è di circa 62.476 persone distribuite in 189 istituti.
[2] Gli interventi innovativi si prefiggono lo scopo di superare alcune criticità, tra le quali, la scarsa continuità delle attività lavorative e un alto tasso di abbandono delle agevolazioni fiscali da parte delle imprese tra il 2024 e il 2025. In particolare, meno del 25% degli enti che hanno beneficiato degli sgravi fiscali li ha ricevuti in modo continuativo negli ultimi tre anni, segnalando precarietà e incertezza nei percorsi di inclusione lavorativa.
