La Cassazione penale sezione 1 con la sentenza numero 26183/2025 ha esaminato la rilevanza della mancata ammissione degli addebiti in sede di concessione dell’affidamento in prova al servizio sociale.
Fatto:
Con il provvedimento impugnato, il Tribunale di sorveglianza di Roma ha rigettato l’istanza di affidamento in prova ex art. 47 legge 26 luglio 1975, n. 354 (ord. pen.) avanzata nell’interesse di A.C., formulando una prognosi negativa per le pendenze giudiziarie relative a reati commessi in epoca recente e per la mancata assunzione di responsabilità di alcuni fatti commessi e per la minimizzazione del proprio ruolo in altri.
Decisione:
La giurisprudenza di legittimità è orientata ad affermare che «ai fini della concessione dell’affidamento in prova al servizio sociale, pur non potendosi prescindere, dalla natura e dalla gravità dei reati per cui è stata irrogata la pena in espiazione, quale punto di partenza dell’analisi della personalità del soggetto, è tuttavia necessaria la valutazione della condotta successivamente serbata dal condannato, essendo indispensabile l’esame anche dei comportamenti attuali del medesimo, attesa l’esigenza di accertare non solo l’assenza di indicazioni negative, ma anche la presenza di elementi positivi che consentano un giudizio prognostico di buon esito della prova e di prevenzione del pericolo di recidiva» (Sez. 1, n. 31420 del 05/05/2015, Incarbone, Rv. 264602).
Del resto, la giurisprudenza di legittimità ha anche precisato che «in tema di affidamento in prova al servizio sociale, ai fini del giudizio prognostico in ordine alla realizzazione delle prospettive cui è finalizzato l’istituto, e, quindi, dell’accoglimento o del rigetto dell’istanza, non possono, di per sé, da soli, assumere decisivo rilievo, in senso negativo, elementi quali la gravità del reato per cui è intervenuta condanna, i precedenti penali o la mancata ammissione di colpevolezza, né può richiedersi, in positivo, la prova che il soggetto abbia compiuto una completa revisione critica del proprio passato, essendo sufficiente che, dai risultati dell’osservazione della personalità, emerga che un siffatto processo critico sia stato almeno avviato» (Sez. 1, n. 773 del 03/12/2013 dep. 2014, Naretto, Rv. 258402), pur essendo necessario ancorare tale prognosi a dati fattuali obiettivi quali, ad esempio, l’avvio del reinserimento sociale, mediante i quali è possibile saggiare l’affidabilità del condannato.
Più dettagliatamente, si è affermato che le fonti di conoscenza che il tribunale di sorveglianza è chiamato a valutare sono sia il reato commesso, i precedenti penali, le pendenze processuali e le informazioni di polizia isia anche la condotta carceraria e i risultati dell’indagine socio-familiare operata dalle strutture di osservazione, onde verificare la sussistenza di elementi positivi che facciano ragionevolmente ritenere la proficuità dell’affidamento, quali l’assenza di nuove denunzie, il ripudio delle condotte devianti passate, l’adesione ai valori socialmente condivisi, l’attaccamento al contesto familiare, la condotta di vita attuale, la congruità della condanna e l’eventuale buona prospettiva risocializzante; si è, quindi, precisato che «In tema di affidamento in prova al servizio sociale, ai fini del giudizio prognostico in ordine alla realizzazione delle prospettive cui è finalizzato l’istituto, e, quindi, dell’accoglimento o del rigetto dell’istanza, non possono, di per sé, da soli, assumere decisivo rilievo, in senso negativo, elementi quali la gravità del reato per cui è intervenuta condanna, i precedenti penali o la mancata ammissione di colpevolezza, né può richiedersi, in positivo, la prova che il soggetto abbia compiuto una completa revisione critica del proprio passato, essendo sufficiente che, dai risultati dell’osservazione della personalità, emerga che un siffatto processo critico sia stato almeno avviato» (Sez. 1, n. 1410 del 0/10/2019 – dep. 2020, M., Rv. 277924— 01; Sez. 1, n. 43863 del 23/10/2024, Scuotto, Rv. 287151 — 01).
Quanto all’ammissione di responsabilità da parte del condannato, la giurisprudenza ha da tempo chiarito che «ai fini dell’affidamento in prova al servizio sociale, non configura una ragione ostativa la mancata ammissione degli addebiti; occorre, invece, valutare se il condannato abbia accettato la sentenza e la sanzione inflittagli, in quanto ciò che assume rilievo è l’evoluzione della personalità successivamente al fatto nella prospettiva di un ottimale reinserimento sociale» (Sez. 1, n. 10586 del 08/02/2019, Catalano, Rv. 274993 — 01; in precedenza Sez. 1, n. 13445 del 05/03/2013, Bonzeri, Rv. 255653 — 01).
Con riguardo alla condotta successiva ai fatti, il Tribunale di sorveglianza non ha adeguatamente valorizzato, nella prospettiva della risocializzazione e del conseguente attenuarsi della pericolosità sociale, gli elementi, che risultano dedotti e riconosciuti dallo stesso Tribunale, concernenti lo stabile inserimento sociale nonché il positivo comportamento tenuto durante il lungo periodo di tempo successivo alla commissione dei fatti per i quali è stato condannato.
Il Tribunale di sorveglianza si è, invece, limitato a valorizzare la non completa ammissione di responsabilità.
Non è stato, di contro, in alcun modo valorizzato il corretto comportamento osservato durante un lunghissimo periodo di tempo in stato di libertà, come pure attestato dall’UEPE, comportamento che, invece, costituisce un indice positivo da tenere in considerazione soprattutto se raffrontato alle antiche condotte illecite e all’assenza di pendenze giudiziarie e di polizia. Infatti, l’affidamento può essere concesso quando contribuisca alla rieducazione del reo e assicuri la prevenzione del pericolo che egli commetta altri reati.
A tale fine è rilevante, a mente dell’art. 47, comma 3-bis, ord. pen., che il condannato abbia serbato, quantomeno nell’anno precedente alla presentazione della richiesta, un comportamento tale da consentire la prognosi positiva della rieducazione e della prevenzione della recidiva.
L’analisi dei comportamenti recenti è stata del tutto sottovalutata, mentre si è data ingiustificata prevalenza, per la prognosi negativa, alla non completa assunzione di responsabilità per i fatti commessi, ciò in contrasto con la richiamata giurisprudenza di legittimità.
L’ordinanza impugnata deve quindi essere annullata perché il Tribunale di sorveglianza, nel rispetto dei principi di diritto richiamati, provveda a rinnovare la valutazione dell’istanza del detenuto.
