Con la sentenza n. 109/2025 (presidente Amoroso, redattore Patroni Griffi), udienza e decisione del 20 maggio 2025, deposito del 17 luglio 2025 (allegata alla fine del post) la Corte costituzionale, ha definito il giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 34-bis, comma 7, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136).
Il giudizio è stato promosso dal Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, nel procedimento vertente tra C. P. srl e ANAS spa, con ordinanza del 28 ottobre 2024, iscritta al n. 235 del registro ordinanze 2024 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 1, prima serie speciale, dell’anno 2025 (a questo link per un nostro approfondimento sull’ordinanza di rimessione).
La Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 34-bis, comma 7, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136), nella parte in cui non prevede che la sospensione degli effetti dell’informazione interdittiva derivante dall’ammissione al controllo giudiziario si protrae, nel caso di sua conclusione con esito positivo, sino alla definizione del procedimento di aggiornamento del provvedimento interdittivo di cui all’art. 91, comma 5, cod. antimafia.
Si riporta adesso qui di seguito il contenuto integrale e letterale del comunicato (anch’esso allegato alla fine del post) emesso dall’ufficio stampa della Corte.
CONTROLLO GIUDIZIARIO DELL’IMPRESA DESTINATARIA DI INFORMAZIONE INTERDITTIVA ANTIMAFIA: SE L’IMPRESA CONCLUDE IL PERCORSO CONTROLLATO CON ESITO POSITIVO, IL “BENEFICIO” DELLA SOSPENSIONE DEGLI EFFETTI INTERDITTIVI SI PROTRAE SINO ALLA DECISIONE DEL PREFETTO SUL RIESAME DELL’INFORMAZIONE
È costituzionalmente illegittimo l’articolo 34-bis, comma 7, del codice antimafia nella parte in cui – disponendo la sospensione degli effetti dell’informazione interdittiva antimafia in conseguenza dell’ammissione alla misura di prevenzione del controllo giudiziario – non prevede che tale sospensione si protragga, nel caso di sua conclusione con esito positivo, sino alla definizione del procedimento di aggiornamento del provvedimento interdittivo da parte del prefetto (art. 91, comma 5, cod. antimafia).
È quanto ha deciso la Corte costituzionale con la sentenza numero 109 depositata oggi, ritenendo che l’attuale disciplina – univocamente interpretata dalla giurisprudenza amministrativa nel senso che, al momento della chiusura del controllo giudiziario (a prescindere dal suo esito), cessa la sospensione degli effetti inabilitanti dell’informazione antimafia – sia irragionevole e determini un incongruo sacrificio della libertà di impresa.
La sentenza giunge a tale conclusione sulla base di due considerazioni sulla disciplina vigente.
In primo luogo, la sospensione è prevista dal legislatore come strumento essenziale per lo scopo che il controllo giudiziario persegue: tramite il “congelamento” dell’interdizione si consente in concreto all’imprenditore − interessato da fenomeni di agevolazione solo occasionale della criminalità organizzata − di svolgere a pieno l’attività aziendale, sotto le prescrizioni e la vigilanza del Tribunale della prevenzione e del controllore da questo nominato, con l’obiettivo di reinserirlo nell’economia legale.
In secondo luogo, le conseguenze negative del rioperare dell’interdittiva al termine del controllo non sono eliminabili retroattivamente, neppure nell’ipotesi in cui il prefetto, nel procedimento di riesame, emetta una informazione liberatoria, ritenendo l’impresa “bonificata” in ragione dei risultati del periodo vigilato.
Alla luce di tali rilievi, la Consulta ha giudicato irragionevole e contraddittorio il sistema, il quale: 1) istituisce una misura innovativa e in essa investe con l’obiettivo di recupero delle imprese alla legalità tramite la prosecuzione dell’attività aziendale; 2) consente di ammettere l’imprenditore, in esito al riconoscimento di specifiche potenzialità, a un apposito percorso di risanamento di durata compresa tra uno e tre anni, che ha un costo non solo per il privato, ma anche per l’amministrazione della giustizia; 3) di contro, pur nell’ipotesi di chiusura positiva della misura, non impedisce l’immediato rioperare degli effetti interdittivi, nelle more della doverosa rivalutazione prefettizia sulla persistenza o sul superamento del condizionamento mafioso. Tanto rischia di vanificare i risultati conseguiti con l’attività monitorata, perché può comportare sia una crisi economica irreversibile dell’operatore economico, sia il suo riavvicinamento alla criminalità.
La Corte ha, dunque, posto rimedio alla riscontrata illegittimità costituzionale dell’articolo 34-bis, comma 7, del codice antimafia aggiungendo alla già prevista sospensione degli effetti sospensivi dell’interdittiva per tutta la durata del controllo, la sua protrazione – in caso di controllo concluso positivamente – sino alla rivalutazione prefettizia della situazione infiltrativa dell’impresa.
