La Cassazione penale sezione 1 con la sentenza numero 25393/2025 ha ricordato che la riqualificazione dei fatti direttamente in sentenza, senza preventiva interlocuzione sul punto con la difesa, non lede il principio del contraddittorio, così come interpretato dalla Corte di Giustizia nella sentenza 9 novembre 2023, C-175/22, B.K., purché sia assicurata comunque all’imputato la possibilità di impugnare la decisione.
Fatto
Con sentenza in data 10/01/2025, la Corte di appello di Bari ha riformato la sentenza del Tribunale di Trani in composizione monocratica in data 20/05/2024, appellata da V.Q., dichiarandone la nullità e disponendo la trasmissione degli atti al giudice di primo grado.
La sentenza appellata aveva condannato l’imputato, previa riqualificazione del fatto contestato quale contravvenzione ex art. 75, comma 1, d.lgs. n. 159/2011 nel più grave delitto previsto dal comma 2 dello stesso articolo.
Ove il giudice di primo grado avesse ritenuto erronea la qualificazione giuridica della condotta, avrebbe dovuto sollecitare il contraddittorio sul punto; non avendovi proceduto, aveva pregiudicato irrimediabilmente il diritto di difesa.
Il Procuratore Generale presso la Corte di appello di Bari ha proposto ricorso avverso tale sentenza, lamentando l’inosservanza della legge ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. per la violazione degli artt. 521, comma 1, e 522 cod. proc. pen.
Rileva che la contestazione conteneva tutti gli elementi di fatto descrittivi della violazione e del provvedimento applicativo della misura di prevenzione (decreto di aggravamento della sorveglianza speciale messo in esecuzione il 15/11/2013); sicché la sola mancata menzione del comma 2 dell’art. 75 d.lgs. n. 159/2011, a fronte della piena conoscenza di ogni altro elemento necessario ad articolare una difesa, non poteva considerarsi ostativa alla riqualificazione per ragioni inerenti la tutela dei diritti dell’imputato.
Inoltre, l’art. 521 cod. proc. pen. consente al giudice di dare al fatto, se correttamente descritto, una definizione giuridica diversa da quella enunciata nell’imputazione, purché il reato non ecceda la sua competenza.
Decisione
La sentenza impugnata ha disatteso il pacifico orientamento dei giudici di legittimità, secondo il quale «l’osservanza del diritto al contraddittorio in ordine alla natura e alla qualificazione giuridica dei fatti di cui l’imputato è chiamato a rispondere, sancito dall’art. 111, comma terzo, Cost. e dall’art. 6 CEDU, comma primo e terzo, lett. a) e b), così come interpretato nella sentenza della Corte EDU nel proc. Drassich c. Italia, è assicurata anche quando il giudice di primo grado provveda alla riqualificazione dei fatti direttamente in sentenza, senza preventiva interlocuzione sul punto, in quanto l’imputato può comunque pienamente esercitare il diritto di difesa proponendo impugnazione» (Sez. 4, n. 49175 del 13/11/2019, Rv. 277948 – 01).
Ancor più chiaramente, su ipotesi del tutto sovrapponibile a quella oggetto di questo giudizio, si è affermato che «In tema di correlazione tra accusa e sentenza, il rispetto della regola del contraddittorio – che deve essere assicurato all’imputato, anche in ordine alla diversa definizione giuridica del fatto, conformemente all’art. 111, comma secondo, Cost., integrato dall’art. 6 Convenzione europea, come interpretato dalla Corte EDU – impone esclusivamente che detta diversa qualificazione giuridica non avvenga ‘a sorpresa’ e cioè nei confronti dell’imputato che, per la prima volta e, quindi, senza mai avere la possibilità di interloquire sul punto, si trovi di fronte ad un fatto storico radicalmente trasformato in sentenza nei suoi elementi essenziali rispetto all’originaria imputazione, di cui rappresenti uno sviluppo inaspettato.
Ne consegue che non sussiste la violazione dell’art. 521 cod. proc. pen. qualora la diversa qualificazione giuridica del fatto appaia come uno dei possibili epiloghi decisori del giudizio, secondo uno sviluppo interpretativo assolutamente prevedibile e l’imputato ed il suo difensore abbiano avuto nella fase di merito la possibilità di interloquire in ordine al contenuto dell’imputazione, anche attraverso l’ordinario rimedio dell’impugnazione (nella specie proposta avverso la sentenza di primo grado contenente la diversa qualificazione giuridica del fatto)» (Sez. 5, n. 7984 del 24/09/2012, dep. 2013, Rv. 254649 – 01; analogamente, e sottolineando comunque le garanzie assicurate dalla facoltà di impugnazione con un secondo grado di merito, Sez. 3, n. 2341 del 07/11/2012, dep. 2013, Rv. 254135). Sez. 2, n. 46786 del 24/10/2014, Rv. 261052 – 01 sottolinea come la rilevanza della diversa qualificazione giuridica del fatto appaia, conformemente all’art. 111 cost. e all’art. 6 CEDU, come uno dei possibili epiloghi decisori del giudizio, secondo uno sviluppo interpretativo assolutamente prevedibile, in relazione al quale l’imputato ed il suo difensore abbiano avuto nella fase di merito la possibilità di interloquire in ordine al contenuto dell’imputazione, anche attraverso l’ordinario rimedio dell’impugnazione.
E tale criterio di verifica dell’insussistenza di un difetto di correlazione tra imputazione e fatto ritenuto in sentenza è stato successivamente confermato da Sez. 3, n. 18146 del 10/03/2021, Rv. 281608 – 01.
In modo ancora più netto, la giurisprudenza più recente ha affermato che «nella sentenza può qualificare il fatto diversamente dall’imputazione anche se l’imputato non abbia preventivamente avuto modo di interloquire sul punto, senza per questo violare il contraddittorio, così come interpretato dalla Corte di Giustizia nella sentenza 9 novembre 2023, C-175/22, B.K., purché sia assicurata comunque all’imputato la possibilità di contestare la diversa qualificazione mediante il ricorso dinanzi alla Corte di cassazione la quale, ove ritenga che la nuova qualificazione dell’addebito abbia inciso sulle strategie difensive, dovrà restituire l’imputato nella facoltà di esercitare pienamente il diritto di difesa, anche attraverso la proposizione di richieste di prova rilevanti in relazione al diverso contenuto dell’accusa» (Sez. 5, n. 42635 del 10/09/2024, Clementi, Rv. 287235 – 01).
Sicché, nel caso di specie, il giudice di primo grado, dinanzi ad una riqualificazione di un medesimo fatto compiutamente descritto, ha sì operato una riqualificazione della condotta in una fattispecie più grave, ma senza tuttavia alterare alcuno degli elementi contestati emettendo una pronuncia che rientrava tra quelle prevedibili come sviluppo interpretativo della vicenda.
E pertanto la Corte di appello avrebbe dovuto consentire all’imputato con l’impugnazione di contestare la diversa qualificazione e di articolare le proprie difese dinanzi ad essa, mentre ha erroneamente ravvisato un insussistente vizio di nullità nella sentenza di primo grado.
La sentenza impugnata deve essere pertanto annullata con rinvio perché si proceda a nuovo giudizio che prenda in esame l’appello dell’imputato.
