La Cassazione penale sezione 1 con la sentenza 25132/2025 si è soffermata sul procedimento di revisione e sui criteri da seguire nella delibazione della fase rescindente che qualitativamente è diversa da quella, ben più completa, che si effettua, in applicazione dell’art. 637 cod. proc. pen., all’esito della fase rescissoria.
Il sistema delineato del legislatore in tema di revisione prevede una netta distinzione logico-funzionale tra la fase rescindente, che ha ad oggetto la preliminare delibazione sulla non manifesta infondatezza della richiesta, con riferimento alla astratta capacità demolitoria del giudicato, rilevabile ictu oculi, da parte del novum dedotto, e la successiva fase rescissoria, che si instaura mediante la citazione del condannato, nella quale il giudice assume la nuova prova nel contraddittorio, in attuazione dei principi costituzionali del giusto processo.
La richiesta di revisione impone allora, nella fase rescindente, una delibazione necessariamente sommaria dei nuovi elementi addotti, allo scopo di stabilire se essi siano in astratto idonei a condurre il ragionamento probatorio verso un approdo diverso e favorevole al condannato, con il conseguimento del suo proscioglimento, previo superamento della valutazione delle prove a suo tempo raccolte nel giudizio di cognizione.
Si tratta di una delibazione qualitativamente diversa da quella, ben più completa, che si effettua, in applicazione dell’art. 637 cod. proc. pen., all’esito della fase rescissoria, poiché nella fase preliminare le considerazioni su affidabilità, persuasività e congruenza della fonte di prova e della sua efficacia dimostrativa devono emergere come immediate e dirette, non potendo essere frutto di un complesso e articolato procedimento valutativo che finisca per anticipare in modo incongruo il giudizio di merito.
Si è, in proposito, statuito che «In tema di revisione, anche nella fase rescindente è richiesta una delibazione non superficiale, sia pure sommaria, degli elementi addotti per capovolgere la precedente statuizione di colpevolezza e tale sindacato ricomprende necessariamente il controllo preliminare sulla presenza di eventuali profili di non persuasività e di incongruenza, rilevabili in astratto, oltre che di non decisività delle allegazioni poste a fondamento dell’impugnazione straordinaria» (Sez. 5, n. 1969 del 20/11/2020, dep. 2021, Rv. 280405 – 01).
Le valutazioni in ordine alla idoneità delle nuove prove a determinare, o concorrere a determinare, il proscioglimento del condannato, per quanto debbano essere «non superficiali», non possono sostanziarsi in un vero e proprio giudizio di merito: ai fini dello scrutinio di ammissibilità occorre apprezzare l’idoneità della nuova prova al raggiungimento di un risultato assolutorio che, in questa fase, non deve essere pronosticato in termini di certezza; non è dubbio che si debba controllare la «presenza di eventuali profili di non persuasività e di incongruenza», ma si deve trattare di difetti «rilevabili in astratto».
Il principio che governa in questa fase l’esercizio dei poteri di valutazione delle nuove prove prevede, dunque, che il giudice vagli l’idoneità dei nuovi elementi dedotti a dimostrare- ove eventualmente accertati nella fase rescissoria – che il condannato deve essere prosciolto: questa valutazione opera sul piano astratto, e riguarda la capacità delle prove nuove – tenuto conto di quelle già acquisite nel corso del processo – di incidere in maniera significativa sul giudizio di colpevolezza espresso nei confronti del condannato, «dovendosi ritenere preclusa, in limine, una penetrante anticipazione dell’apprezzamento di merito, riservato, invece, al vero e proprio giudizio di revisione, da svolgersi nel contraddittorio delle parti» (Sez. 5, n. 15403 del 07/03/2014, Rv. 260563 – 01), «non potendo tale controllo estendersi alla “tenuta” della sentenza oggetto della domanda di revisione rispetto ai contenuti della ulteriore pronuncia, che va obbligatoriamente realizzato in contraddittorio» (Sez. 1, n. 50460 del 25/05/2017, Rv. 271821 – 01); da tanto consegue che l’inammissibilità della richiesta di revisione per manifesta infondatezza può essere dichiarata, ai sensi dell’art. 634 cod. proc. pen., solo quando le ragioni poste a suo fondamento risultano ictu oculi inidonee, per intrinseci limiti emergenti dalla stessa domanda, a incidere sull’esito del giudizio già esaurito, dovendo devolversi alla fase rescissoria la concreta valutazione dell’effettiva idoneità delle allegazioni difensive a dimostrare l’errore contenuto nel giudicato, determinandone il superamento.
Riguardate alla luce di questi condivisibili principi, le motivazioni che sorreggono l’ordinanza impugnata non resistono alle censure del ricorrente: la Corte genovese ha obliterato la testimonianza di un soggetto che si assume avere avuto la diretta percezione dell’evento omicidiario oggetto del giudizio, con una declaratoria di manifesta infondatezza che poggia su argomentazioni – l’inverosimiglianza del silenzio serbato dal K. per 30 anni, la mancanza di certezze circa la sua effettiva presenza sul luogo del delitto, la radicale incompatibilità tra le versioni dei fatti della D. e dell’O. e quella resa al difensore dal K. – che esorbitano il limite strutturale del giudizio di ammissibilità; la valutazione condotta dalla Corte di appello di Genova anticipa impropriamente la concreta verifica dell’incidenza di una prova (che lo stesso provvedimento impugnato riconosce essere nuova) astrattamente idonea a ricostruire la dinamica del delitto in maniera – non radicalmente incompatibile, ma – parzialmente diversa rispetto a quella che le sentenze di merito hanno fatto propria sulla base del complessivo quadro probatorio acquisito nel corso del dibattimento.
Le motivazioni del provvedimento impugnato anticipano impropriamente il giudizio di merito: non si limitano al preliminare controllo sulla presenza di eventuali profili di non persuasività e di incongruenza, alla valutazione della astratta idoneità della nuova prova a condurre ad un risultato assolutorio, ma debordano procedendo alla verifica della sua potenziale verosimiglianza ed attendibilità, contravvenendo al principio secondo il quale «l’inammissibilità della richiesta di revisione per manifesta infondatezza ai sensi dell’art. 634 cod. proc. pen. sussiste quando le ragioni poste a suo fondamento risultano, all’evidenza, inidonee a consentire una verifica circa l’esito del giudizio, talché rimane del tutto estranea a tale preliminare apprezzamento, perché riservata alla fase del merito, la valutazione concernente l’effettiva capacità delle allegazioni difensive di travolgere il giudicato, anche nella prospettiva del ragionevole dubbio» (Sez. 2, n. 19648 del 03/02/2021, Rv. 281422 – 01).
L’ordinanza impugnata va pertanto annullata, con rinvio per la celebrazione del giudizio di revisione alla Corte di appello di Torino, individuata ai sensi dell’art. 11 cod. proc. pen., secondo il disposto dell’art. 634 cod. proc. pen.
