Il concorso esterno e la fibrillazione del sodalizio mafioso: a volte ritornano (Vincenzo Giglio)

Si legge in Cassazione penale, Sez. 5^, sentenza n. 25557/2025, udienza dell’11 giugno 2025, deposito del 10 luglio 2025, che “La giurisprudenza di questa Corte, nel delineare la figura del concorrente esterno ha chiarito che risponde di concorso esterno nel delitto associativo colui che, non inserito organicamente nel sodalizio, agisca con la finalità di apportare un contributo significativo e determinante per la vita e la sopravvivenza dello stesso, supportandone l’azione nei momenti di particolare difficoltà (ex multis Sez. 5, n. 33874 del 05/07/2021, Rv. 281770)”.

Il collegio della quinta sezione penale sembra dunque far propria la tesi del necessario collegamento del concorso esterno alle fasi di fibrillazione del sodalizio mafioso alla cui vita e sopravvivenza coopera il soggetto agente.

L’estensore non ha ritenuto di spendere ulteriori parole al riguardo, mostrando così di ritenere così scontato l’orientamento citato da poterlo richiamare lapidariamente.

Ma mostra così, allo stesso modo, di disconoscere che proprio in punto di fibrillazione vi è stato un lungo dibattito in senso alla Suprema Corte, alimentato da plurime decisioni delle Sezioni unite penali, per la cui riassunzione si fa ricorso ad una recente decisione emessa da un collegio di un’altra sezione della stessa S.C., precisamente Cassazione penale, Sez. 6^, sentenza n. 11491/2025, udienza del 30 gennaio 2025, deposito del 21 marzo 2025, in cui si legge che “con riferimento al tema della cd. fibrillazione dell’associazione, nel senso, cioè, che l’area di definizione del concorso esterno sarebbe consustanziale ai periodi di fibrillazione del sodalizio, è indiscutibile che il principio enfatizzato con la decisione delle Sez. U, n. 16 del 05/10/1994, Demitry, Rv. 199386 è stato successivamente abbandonato dalle ulteriori pronunce (Sez. U, n. 22327 del 30/10/2002, dep. 2003, Carnevale, Rv. 224181; Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231671), tant’è che attualmente ciò che rileva è l’individuazione da parte dell’agente di un contributo concreto, specifico, consapevole e volontario, a carattere indifferentemente occasionale o continuativo al sodalizio, purché il contributo stesso abbia avuto un’effettiva rilevanza causale ai fini della conservazione o del rafforzamento dell’associazione”.

La stessa visione, ancora più di recente, è stata espressa da un collegio della quinta sezione penale. Il riferimento è inteso a Cassazione penale, Sez. 5^, sentenza n. 18768/2025, udienza del 15 gennaio 2025, deposito del 19 maggio 2025, in cui si legge che “Ai fini della configurabilità del concorso esterno in associazione di tipo mafioso, la verifica “ex post” del contributo causale, riconducibile alla condotta atipica del concorrente esterno, deve essere apprezzata in relazione alle finalità tipiche dell’associazione, prescindendo dalle condizioni di eventuale “fibrillazione” o crisi strutturale che rendono ineludibile l’intervento esterno per la prosecuzione dell’attività. Come condivisibilmente ritenuto da questa Corte, se, dunque, l’evento del reato di associazione mafiosa è identificabile nella conservazione o nel rafforzamento dell’organismo criminoso e se l’adesione al modello causalmente orientato impone di individuare, nei casi in rilievo, un effettivo ‘raggiungimento dello scopo’ è evidente che la percezione processuale dell’evento deve da un lato identificare il concreto ‘contributo causale’ e dall’altro porsi in stretta correlazione con il perseguimento delle finalità tipiche del reato associativo di cui si discute e, pertanto, con il catalogo offerto dal comma 3 dell’art. 416 bis cod. pen., (commettere delitti che siano espressivi del metodo mafioso, acquisire la gestione o il controllo di attività economiche, concessioni, appalti o servizi pubblici, realizzazione di profitti o vantaggi ingiusti per sé od altri etc..) . Con ciò si vuole evidenziare che la condotta del concorrente esterno – per essere punibile – non deve tendere ad un incremento della semplice potenzialità operativa dell’organismo criminoso (altrimenti si rientra nel paradigma di punibilità del mero accordo, con ricadute percepibili solo in ambito psicologico, non sufficiente a realizzare l’evento descritto nella decisione da ultimo citata) ma deve porsi come ‘frammento’ (la realizzazione dello scopo è necessariamente parziale e frammentaria) di una concreta utilità per la realizzazione di una delle molteplici attività espressive del programma criminoso, sì da realizzare una contribuzione «percepibile» al mantenimento in vita dell’organismo criminale. Vi sono, infatti, compiti che – per le loro caratteristiche – richiedono, in realtà, il loro affidamento (anche continuativo) proprio a soggetti ‘non associati’ (nella specie la messa a disposizione di locali per le riunioni degli affiliati), posto che per il raggiungimento degli scopi tipici del sodalizio mafioso – così come per garantirne la stessa esistenza – è necessaria una costante «interazione» tra il gruppo criminoso e persone disposte a realizzare – per finalità personali concorrenti – attività strumentali quali, nella specie, l’approvvigionamento, costante, attivo, di ingenti forniture di stupefacenti, in ciò accedendo alla realizzazione dell’offesa al bene giuridico protetto. La verifica della effettiva efficacia causale della condotta con giudizio ex post, una volta esclusa una impostazione di tipo meramente soggettivistico, richiede, pertanto, l’esame e la ricostruzione- in sede di merito – delle ricadute fattuali della condotta, oggetto di analisi, sì da poter affermare che la condivisione, da parte del concorrente, delle finalità perseguite dal gruppo abbia comportato un concreto ausilio, in una o più vicende specifiche, e sì da poter affermare – con il dovuto grado di certezza – che ‘quella’ condotta sia stata un ingrediente effettivo per la realizzazione di uno degli scopi tipici e, dunque, per il permanere dell’offesa (Sez. 1, sentenza n. 49744 del 07/12/2022, Rv. 283840 – 01)”.

La sentenza n. 25557/2025 che costituisce l’oggetto principale di questo post esprime efficacemente alcuni dei deficit che affliggono la produzione giurisprudenziale di legittimità e ne diminuiscono la qualità e la credibilità: il ricorso meccanico e quindi non meditato a precedenti scelti in mezzo agli altri solo perché, verosimilmente, più conformi alla tesi che si vuole sostenere, l’inadeguata attenzione al dibattito giurisprudenziale ed ai suoi punti fermi, l’indifferenza, se non addirittura l’inconsapevolezza, del danno che un simile modo di procedere è in grado di causare alla stabilità ed alla prevedibilità del diritto vivente.

Sfortunatamente, a questi deficit non sono estranee le stesse Sezioni unite penali.

Ci si riferisce a Sezioni unite penali, sentenza n. 8545/2020, udienza del 19 dicembre 2019, deposito del 3 marzo 2020, Chioccini.

Nell’occasione l’organo nomofilattico era stato chiamato a chiarire se l’aggravante dell’associazione mafiosa inserita nell’art. 416-bis.1 c.p. avesse natura soggettiva o oggettiva.

Il collegio optò per la prima soluzione, inquadrando l’aggravante tra quelle inerenti ai motivi a delinquere.

Il passaggio di interesse in questa sede fu quello, definito “delicato” dall’estensore, riservato alla “ricostruzione dello spazio di autonomia tra la fattispecie aggravata dalla finalità agevolatrice ed il concorso esterno in associazione mafiosa”.

Fu così argomentato: “quel che caratterizza il concorrente esterno rispetto all’autore dell’illecito aggravato è che solo il primo ha un rapporto effettivo e strutturale con il gruppo, della cui natura e funzione ha una conoscenza complessiva, che gli consente di cogliere l’assoluta funzionalità del proprio intervento, ancorché unico, alla sopravvivenza o vitalità del gruppo. Inoltre, perché possa dirsi realizzata la fattispecie delittuosa si richiede che si verifichi il risultato positivo per l’organizzazione illecita, conseguente a tale intervento esterno, che si caratterizza per la sua infungibilità. Non a caso elemento differenziale della condotta è l’intervento non tipico dell’attività associativa, ma maturato in condizioni particolari (la cd. fibrillazione o altrimenti definita situazione di potenziale capacità di crisi della struttura), che rendono ineludibile un intervento esterno, per la prosecuzione dell’attività. Rispetto allo sviluppo dello scopo sociale l’azione del concorrente esterno si contraddistingue da elementi di atipicità ed al contempo di necessarietà in quel particolare ambito temporale. Gli elementi costitutivi appena richiamati sono estranei alla figura aggravata, con cui condivide solo la necessità dell’esistenza dell’associazione mafiosa, mentre nella forma circostanziale l’utilità dell’intervento può essere anche valutata astrattamente solo da uno degli agenti, senza estensione ai componenti del gruppo, e del tutto estemporanea e fungibile rispetto all’attività delinquenziale programmata e, soprattutto, non necessariamente produttiva di effetti di concreta agevolazione”.

Si badi bene: queste considerazioni non furono incluse nel punto di diritto strettamente inteso ma certo non se ne può sottovalutare l’importanza, non foss’altro che per la funzione dell’organo da cui provengono.

E così, con un mero obiter dictum, le Sezioni unite diedero per scontato un requisito che esse stesse, avevano sconfessato da anni in via diretta e principale.

Se questo è l’atteggiamento della “cattedra nomofilattica”, come ci si può stupire che i discepoli commettano lo stesso errore?