Sottrazione di energia elettrica mediante alterazione del “chip” di misurazione del contatore: frode informatica o furto? (Riccardo Radi)

La Cassazione penale sezione 5 con la sentenza numero 19021/2025 ha esaminato la questione relativa alla configurabilità della frode informatica in caso di sottrazione di energia elettrica mediante alterazione del “chip” di misurazione del contatore.

La Suprema Corte ha stabilito che integra il delitto di furto e non quello di frode informatica, la sottrazione di energia elettrica attuata mediante l’alterazione dei dati contenuti nel “chip” di misurazione del contatore elettronico, posto che tale condotta non è diretta, di per sé, ad alterare lo strumento elettronico, ma all’impossessamento non consentito dell’energia non contabilizzata.

Deve muoversi dalla sentenza delle Sezioni unite Nastasi (n. 10495 del 09/10/1996) che ha fissato il discrimine fra il delitto di furto e quello di truffa proprio in relazione alla sottrazione all’ente erogatore dell’energia elettrica, per verificarne l’attualità anche in relazione alle diverse modalità – meccanica allora, elettronica oggi – di conteggio dei consumi. In tale pronuncia si è affermato che “La sottrazione di energia elettrica attuata mediante la manomissione del contatore che alteri il sistema di misurazione dei consumi integra il reato di furto e non quello di truffa; detta misurazione, infatti, ha la funzione di individuare l’entità dell’energia trasferita all’utente e quindi di specificare il consenso dell’ente erogatore in termini corrispondenti, sicché la condotta dell’agente prescinde dall’induzione in errore del somministrante ed è immediatamente diretta all’impossessamento della cosa per superare la contraria volontà del proprietario”.

Un principio di diritto che certo è stato dettato in relazione all’ipotesi di truffa punita dall’art. 640 cod. pen. ma che appare, con tutta evidenza, applicabile anche al caso della frode informatica.

Innanzitutto, perché le fattispecie astratte contemplate negli artt. 640 e 640 ter differiscono soltanto per alcuni elementi; si è già, infatti, avuto modo di rilevare che il delitto di frode informatica di cui all’art. 640-ter cod. pen. ha la medesima struttura ed i medesimi elementi costitutivi della truffa, dalla quale si differenzia solamente perché l’attività fraudolenta dell’agente investe non la persona, di cui difetta l’induzione in errore, bensì il sistema informatico di pertinenza di quest’ultima attraverso la sua manipolazione (Sez. 2, n. 10354 del 05/02/2020, Gerbino, Rv. 278518 – 01).

In secondo luogo, perché tali elementi di differenziazione non incidono sul giudizio delle Sezioni unite Nastasi dal momento che il punto essenziale di quel ragionamento era stato il seguente: – è la misurazione dei consumi che “ha la funzione di individuare l’entità dell’energia trasferita all’utente e quindi di specificare il consenso dell’ente erogatore in termini corrispondenti”, dovendosi così dedurre che l’utilizzo dell’energia elettrica, comunque ottenuto ma senza che la stessa risulti registrata dal contatore costituisce una “condotta (che) prescinde dall’induzione in errore del somministrante ed è immediatamente diretta all’impossessamento della cosa per superare la contraria volontà del proprietario”.

La sentenza Nastasi aveva poi anche espressamente contrastato il ragionamento secondo il quale l’alterazione della misurazione dei consumi avrebbe, invece, costituito l’artificio che avrebbe consentito, secondo lo schema del reato di truffa, all’utente di lucrare l’ingiusto profitto dell’utilizzo dell’energia non contabilizzata. Le Sezioni unite avevano, infatti, osservato come il contratto intercorrente fra l’ente erogatore e l’utente è un contratto di somministrazione di un bene o di un servizio, così che il primo, fissato un limite di potenza erogabile, poneva a disposizione del secondo la quantità di energia che viene, appunto, contabilizzata dal contatore. Così che tale misurazione non consente soltanto di determinare il corrispettivo dovuto all’ente ma anche la lecita disponibilità in capo all’utente proprio di quella quantità di energia.

Ne discende che l’utente, modificando la misurazione del proprio consumo, non determina un vizio del consenso dell’ente, con il predetto artificio, ma si impossessa illecitamente della energia non contabilizzata, così consumando il delitto di furto e non quello di truffa.

Alla luce di tali precisazioni, tratte dalla sentenza Nastasi (considerando anche la conformità alla stessa della successiva giurisprudenza: Sez. 4, n. 3339 del 22/12/2016, dep. 2017, Rifici, Rv. 269013 – 01; Sez. 2, n. 2349 del 21/12/2004, dep. 2005, Leonardi, Rv. 230696 – 01 quest’ultima in tema di somministrazione di servizio telefonico), deve allora osservarsi come il conteggio del consumo attraverso un contatore elettronico non muta affatto il quadro giuridico descritto posto che, fermo il contratto di somministrazione che lega ancor oggi l’ente erogatore e l’utente, resta che l’energia, comunque non contabilizzata (anche con interventi sul chip successivi all’erogazione ma precedenti la sua misurazione da parte dell’ente), viene sottratta senza il consenso dell’ente (e non per essere il consenso viziato da artifici o raggiri) al quale viene pertanto illecitamente sottratta.

Le censure volte alla diversa qualificazione delle condotte di furto aggravato nel delitto di frode informatica sono pertanto tutte manifestamente infondate.