La Cassazione penale sezione 2 con la sentenza 18578/2025 ha stabilito che è configurabile, in relazione al delitto di estorsione, il tentativo cd. “incompiuto”, che ricorre nel caso in cui il soggetto agente abbia realizzato solo in parte, senza portarla a compimento, l’azione diretta a produrre l’evento.
In applicazione del principio, la Suprema Corte ha affermato che integra il tentativo cd. “incompiuto” di estorsione la condotta dell’indagato consistita in una mera minaccia rivolta alla vittima, cui non era seguita, per il verificarsi di eventi indipendenti dalla sua volontà, la richiesta di denaro confermativa della strumentalità della stessa al compimento forzoso dell’atto dispositivo patrimoniale.
Per quanto concerne il requisito dell’idoneità degli atti, l’opinione maggioritaria della giurisprudenza di legittimità è nel senso che un atto può essere ritenuto idoneo quando, valutato ex ante e in concreto (criterio cosiddetto della prognosi postuma), ossia tenendo conto di tutte le circostanze conosciute e conoscibili e non di quelle oggettivamente presenti e conosciute dopo, il giudice, sulla base della comune esperienza dell’uomo medio, possa ritenere che gli atti – indipendentemente dall’insuccesso determinato da fattori estranei – erano tali da ledere, ove portati a compimento, il bene giuridico tutelato dalla norma violata.
L’idoneità degli atti non va, infatti, valutata con riferimento a un criterio probabilistico di realizzazione dell’intento delittuoso, bensì in relazione alla possibilità che alla condotta consegua lo scopo che l’agente si propone, configurandosi invece un reato impossibile per inidoneità degli atti, ai sensi dell’art. 49 cod. pen., in presenza di un’inefficienza strutturale e strumentale del mezzo usato, che sia assoluta e indipendente da cause estranee ed estrinseche, ove l’azione, valutata ex ante e in relazione alla sua realizzazione secondo quanto originariamente voluto dall’agente, risulti del tutto priva della capacità di attuare il proposito criminoso (Sez. 6, n. 17988 del 06/02/2018, Rv. 272810-01; Sez. 1, n. 36726 del 02/07/2015, Rv. 264567-01).
Per quanto riguarda, invece, la nozione di univocità degli atti, secondo la tesi cosiddetta soggettiva, che è quella prevalente nella giurisprudenza di legittimità, l’atto preparatorio può integrare gli estremi del tentativo punibile quando sia idoneo e diretto in modo non equivoco alla consumazione di un reato, ossia qualora abbia la capacità, sulla base di una valutazione ex ante e in relazione alle circostanze del caso, di raggiungere il risultato prefisso e a tale risultato sia univocamente diretto (Sez. 2, n. 40702 del 30/09/2009, Rv. 245123- 01); la prova del requisito dell’univocità dell’atto (da considerare quale parametro probatorio) può essere raggiunta non solo sulla base dell’atto in sé considerato, ma anche aliunde e, quindi, anche sulla base di semplici atti “preparatori” che rivelino la finalità dell’agente e addirittura l’imminente passaggio alla fase esecutiva del delitto, ma non ne postulino necessariamente l’avvio.
Si deve quindi ritenere che, per la configurabilità del tentativo, rilevino non solo gli atti esecutivi veri e propri, ma anche quegli atti che, pur classificabili come preparatori, facciano fondatamente ritenere che l’agente, avendo definitivamente approntato il piano criminoso in ogni dettaglio, abbia iniziato ad attuarlo, che l’azione abbia la significativa probabilità di conseguire l’obiettivo programmato e che il delitto sarà commesso, salvo il verificarsi di eventi non prevedibili indipendenti dalla volontà del reo (Sez. 2, n. 46776 del 20/11/2012, Rv. 254106-01).
Ciò posto, l’errore che è stato commesso dal Tribunale di Brescia è consistito anche, in particolare, nel ritenere che, ai fini della configurabilità del tentativo di estorsione, fosse necessario «un quid pluris rappresentato da una richiesta di denaro, a sua volta correlata alla, anche implicita – coartazione della volontà della vittima» (pag. 22 dell’ordinanza impugnata).
Col richiedere, ai fini dell’integrazione del tentativo, un tale quid pluris, il Tribunale di Brescia ha infatti di fatto erroneamente presupposto la configurabilità soltanto del tentativo cosiddetto “compiuto”, laddove, per espressa previsione dell’art. 56 cod. pen., il delitto tentato è configurabile non solo se è stata posta in essere l’intera condotta capace di produrre l’evento e, tuttavia, «l’evento non si verifica» (tentativo cosiddetto “compiuto), ma anche nel caso in cui l’agente abbia realizzato solo in parte, ma non portato a termine, l’azione diretta, secondo il suo piano criminoso, a commettere il delitto («se l’azione non si compie»; tentativo cosiddetto “incompiuto”).
Cosa che ben può avvenire, con riguardo all’estorsione, nel caso in cui l’agente, nell’attuare il suo piano estorsivo, abbia realizzato solo l’atto della minaccia, senza avere, per il verificarsi di eventi non dipendenti dalla sua volontà, portato a termine l’azione avanzando la richiesta di denaro nei confronti della vittima, confermativa della strumentalità della stessa minaccia rispetto alla costrizione a compiere l’atto di disposizione patrimoniale.
