Avvocato e l’uso di un linguaggio “forte” nei confronti del collega tacciato di “speculare” sul compenso grazie all’ammissione al patrocinio a spese dello Stato (Redazione)

Usare, negli atti difensivi, espressioni espressioni sconvenienti ed offensive nei confronti di un collega non è di per sé deontologicamente rilevante.

Il Consiglio Nazionale Forense con la sentenza numero 465/2024 ha stabilito che il conflitto tra il dovere di difesa, da un lato, e il dovere di non utilizzare espressioni che possano offendere il contraddittore, dall’altro lato, va risolto dando prevalenza al diritto a svolgere la difesa giudiziale nel modo più largo e insindacabile salvo l’ipotesi in cui le espressioni offensive siano gratuite, ossia non abbiano relazione con l’esercizio del diritto di difesa e siano oggettivamente ingiuriose. Conseguentemente, non commette illecito disciplinare l’avvocato che, in un atto del giudizio, usi espressioni forti per effettuare valutazioni generali attinenti alla materia del contendere e a scopo difensivo.

Incolpazione:

Nel caso esaminato, l’avv. [RICORRENTE] è stato sottoposto a procedimento disciplinare per rispondere delle condotte di cui al seguente capo di incolpazione: a) per avere espresso, nella comparsa di risposta d.d. 08.01.2018 redatta quale difensore del sig. [AAA] nel procedimento RG [OMISSIS]/2017 Tribunale di Gorizia, in violazione degli artt. 9, 42.1, 46.1 e 52.1 del CDF, apprezzamenti denigratori sull’attività dell’avv. [BBB] e usato espressioni offensive e sconvenienti nei confronti della collega, più precisamente scri vendo: che aveva introdotto una azione “finalizzata ad ottenere la dichiarazione di nullità dell’accordo dalla stessa concluso” violando norme di legge e deontologiche; “si considerino inoltre i possibili riflessi penali del comportamento in questione: l’avv. [BBB] al fine di con sentire alla propria cliente di continuare nel proprio illecito…ha indotto la controparte a sotto scrivere una transazione con la riserva mentale di impugnarla, così da protrarre per altri mesi ed anni l’illecita occupazione dell’immobile altrui e da procurare a sé e alla sua cliente un ingiusto profitto con altrui danno, essendo ben consapevole dell’insolvenza della sua cliente… mentre lei avrebbe comunque locupletato il compenso per tali ingiuste iniziative in giudizio, avendo chiesto e ottenuto dall’Ordine degli Avvocati di Gorizia l’ammissione al gratuito patrocinio; è assurdo che un legale chieda di essere pagato dallo Stato per compiere il leciti”

Decisione:

Per un verso, sostiene il ricorrente, le espressioni utilizzate sono comunque giustificate dalla necessità di difendere il proprio assistito da un contegno processuale errato da parte della collega di controparte oltreché della di lei assistita. Per un altro verso, le affermazioni ritenute offensive non sarebbero tali in quanto risponde rebbero ai canoni della pertinenza, della verità e della contingenza (che, come noto, sono richiesti dalla giurisprudenza affinché si possa effettivamente parlare di espressioni ingiurio se).

Dalla disamina di tutti gli elementi emergenti dagli atti del procedimento e, in particolare dall’intero contenuto dell’atto difensivo riportante le espressioni ritenute offensive, sotto il primo aspetto si rileva che le espressioni riportate nel capo di incolpazione rispondono alle esigenze difensive che il ricorrente ha dovuto soddisfare nell’interesse del suo assistito, anche in ragione delle difficoltà insite nelle particolari circostanze in cui è stato costretto ad agire.

Il conflitto tra il dovere di difesa, da un lato, e il dovere di non utilizzare espressioni che possano offendere il contraddittore, dall’altro lato, va risolto dando prevalenza al “diritto a svolgere la difesa giudiziale nel modo più largo e insindacabile salvo l’ipotesi in cui le espressioni offensive siano gratuite, ossia non abbiano relazione con l’esercizio del diritto di difesa e siano oggettivamente ingiuriose” ( cfr. Consiglio Nazionale Forense sentenza n. 93 del 3 maggio 2021) e che, “ pertanto non commette illecito disciplinare l’avvocato che, in un atto del giudizio, usi espressioni forti per effettuare valutazioni generali attinenti alla materia del contendere e a scopo difensivo” (cfr. Consiglio Nazionale Forense sentenza n. 86 del 23 settembre 2019).

Nel caso in esame l’incolpato non aveva altra scelta, per tutelare la parte assistita, se non quella di stigmatizzare l’azione posta in essere dalla collega di parte avversa alla stregua delle norme processuali e sostanziali, la cui violazione fosse in grado di determinare l’invalidità degli opposti atti difensivi.

Sotto il secondo aspetto l’intero contesto delle argomentazioni difensive utilizzate dal ricorrente, sebbene involgenti direttamente l’attività professionale posta in essere dalla collega di controparte, possono ritenersi assolvere ai profili della continenza, della pertinenza e della verità, così da non potersi ritenere ricorrenti i profili di responsabilità disciplinare addebitati allo stesso ricorrente.

Nella sua difesa, oggetto di contestazione, il ricorrente si è limitato a riportare gli aspetti rilevanti della vicenda, al fine di far rilevare dal giudice l’inammissibilità, oltreché l’infondatezza, dell’azione proposta ex adverso, sulla base di fatti assolutamente pertinenti rispetto all’oggetto del contendere e della cui verità risultava la prova in atti.

Tra i doveri fondamentali dell’avvocato, che ne determinano la rilevanza costituzionale e sociale, rientra prioritariamente quello di garantire il diritto di difesa dell’assistito, utilizzando tutti gli strumenti predisposti dall’ordinamento, nel rispetto della verità e della legge. In conformità a tale principio l’avvocato non può esimersi dal rilevare in giudizio le violazioni commesse dalla controparte e dal suo difensore, soprattutto se l’illiceità e la contrarietà alla legge delle condotte del collega avversario siano rilevanti ai fini della tutela degli interessi e dei diritti dell’assistito

Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Corona, rel. Stefanì), sentenza n. 465 del 30 dicembre 2024