Avvocato e utilizzo di prove false nelle trattative stragiudiziali (Redazione)

Il Consiglio Nazionale Forense con la sentenza numero 445/2024 (allegata al post) ha sottolineato che costituisce (anche) grave illecito disciplinare il comportamento dell’avvocato che, in violazione dell’art. 50 cdf, utilizzi -fuori o dentro il processo- un documento che sappia essere falso, in violazione dei principi di dignità e decoro propri della classe forense e conseguente lesione della immagine della avvocatura quale inevitabile ricaduta del comportamento stesso.

Nel caso di specie, trattavasi di documento consegnato dal Cliente all’Avvocato e da questo fatto valere nelle trattative stragiudiziali con l’assicurazione al fine di ottenere il risarcimento del danno ancorché conscio che non riguardasse il sinistro.

Nella parte motiva della sentenza numero 445/2024 si legge: “Laddove l’avvocato si trovi nella condizione di non poter seguire allo stesso tempo verità e mandato, la sua scelta deve privilegiare il più alto e pregnante dovere radicato sulla dignità professionale, ossia l’ossequio alla verità ed alle leggi spinto fino all’epilogo della rinunzia al mandato in virtù di un tale giusto motivo, astenendosi dal porre in essere attività che siano in contrasto con il prevalente dovere di rispetto della legge e della verità ex art. 50 cdf (già art. 14 codice previgente), che ispira la funzione difensiva in coerenza con il dovere di lealtà espressamente previsto dall’art. 3 L. n. 247/2012 con riferimento alla professione forense in generale, nonché dall’art. 88 cpc con specifico riguardo al processo (in tal senso, Corte di Cassazione, SS.UU, sentenza n. 41990 del 30 dicembre 2021)

Del resto la giurisprudenza di questo Consiglio ritiene che il divieto di introdurre o utilizzare prove false (art. 50 cdf) non è strettamente limitato al “processo”, trovando infatti applicazione in ogni “procedimento” quindi anche al di fuori dello stretto ambito processuale, ferma restando in ogni caso la potenziale rilevanza deontologica di condotte che, pur non riguardando strictu sensu l’esercizio della professione, ledano comunque gli elementari doveri di probità, dignità e decoro e, riflettendosi negativamente sull’attività professionale, compromettono l’immagine dell’avvocatura quale entità astratta con contestuale perdita di credibilità della categoria, a prescindere dalla notorietà delle condotte stesse (Consiglio Nazionale Forense., sentenza n. 9 del 15 aprile 2019).

La condotta dell’Avv. [RICORRENTE] risulta, quindi, disciplinarmente rilevante proprio in forza del consapevole impiego di un documento che non rispondeva a verità, anche se non è stato autore materiale del falso stesso; peraltro, è comportamento deontologicamente rilevante, perché lesivo della dignità e decoro propri della classe forense, anche la partecipazione al sodalizio criminoso, l’aver prestato l’attività professionale e l’asservimento dello studio nel tentativo di perpetrare una truffa ai danni della assicurazione, chiedendo il risarcimento di un danno (ricostruzione estetica del dente), che l’Avv. [RICORRENTE] era conscio non essere connesso al sinistro”.

Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Napoli, rel. Secchi Tarugi), sentenza n. 445 del 2 dicembre 2024