Leggiamo nel Codice annotato della giurisprudenza disciplinare dei magistrati (pag. 109, 117 del file in PDF, consultabile a questo link) la sentenza n. 27418 del 20 settembre 2022 delle Sezioni unite della Suprema Corte dalla quale è stata ricavata la massima che riportiamo qui di seguito letteralmente e integralmente:
“In tema di responsabilità disciplinare dei magistrati, nell’ipotesi di ritardata scarcerazione di indagato sottoposto a custodia cautelare, la necessità di procedere, ai fini dell’applicazione dell’esimente di cui all’art. 3-bis del d.lgs. n. 109 del 2006, ad una valutazione in misura della singola vicenda disciplinare e dei tratti che la contraddistinguono, impedisce di enucleare in astratto ed in via generale soglie minime e massime di durata della privazione della libertà personale che rendano applicabile o non applicabile l’esimente (nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva escluso l’applicabilità dell’esimente, anche in virtù di una comparazione con altri giudizi in cui venivano in rilievo fattispecie analoghe, senza tuttavia valutare una pluralità di elementi quali: la grave negligenza del cancelliere, a sua volta sanzionato disciplinarmente, le dichiarazioni rese dall’imputato in merito agli effetti benefici della permanenza presso la struttura riabilitativa, la professionalità dimostrata dal magistrato nell’esercizio delle funzioni)”.
Il fatto è l’ingiustificatamente tardiva scarcerazione di un indagato sottoposto a custodia cautelare.
L’esito è la liberazione dell’incolpato dall’addebito disciplinare per scarsa rilevanza del fatto.
In mezzo ci sono le giustificazioni: la grave negligenza del cancelliere (lui sì da sanzionare e infatti sanzionato), il beneficio di cui ha goduto l’indagato (il quale -ipotizziamo – non la smette più di ringraziare per il privilegio che ha avuto), la professionalità dimostrata dal magistrato (di cui – immaginiamo – è parte integrante la gestione oculata e lungimirante dei prolungamenti di cui sopra).
L’effetto è la nostra ammirazione per un’improntitudine così sfacciata da sconfinare nel geniale.
