Il mero possesso di beni dalle caratteristiche comuni, dei quali l’imputato non offra convincenti giustificazioni sulla provenienza, non è sufficiente a provare la ricettazione (Nicola Serraglio)

Cassazione penale, Sez. 2^, sentenza n. 22835/2025, udienza del 4 giugno 2025, deposito del 17 giugno 2025, ha affermato che il mero possesso di beni dalle caratteristiche comuni, privi di apprezzabile valore commerciale, non riconosciuti come provento di reato e in relazioni ai quali l’imputato non offra giustificazioni sulla provenienza, non è sufficiente a provare la ricettazione in assenza di elementi fattuali o logici che ne comprovino la provenienza illecita.

Il caso

Il caso sottoposto alla Suprema Corte origina dal ricorso presentato dall’imputato contro la sentenza della Corte d’appello di Palermo, di parziale riforma della sentenza del Tribunale di Palermo, con cui veniva affermata la responsabilità del ricorrente per concorso nel reato di ricettazione di sei biciclette, di cui due oggetto di furto ai danni del querelante.

Il giudice del gravame, parzialmente riformando la sentenza del Tribunale, aveva confermato la responsabilità dell’imputato per il delitto di ricettazione limitatamente a cinque veicoli, non riconosciuti come propri dalla persona offesa, disponendo altresì la trasmissione degli atti al Pubblico Ministero relativamente al reato di furto in abitazione di una bicicletta, commesso in danno della predetta persona offesa, essendo il fatto diverso da come contestato dall’accusa.

La questione

Il delitto di ricettazione, previsto all’art. 648 c.p., punisce colui che, al di fuori del concorso nel reato presupposto, acquista, riceve, occulta ovvero si intromette nel far acquistare, ricevere od occultare, denaro o altre cose provenienti da reato, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto.

Com’è noto, il reato in parola presuppone la previa commissione di un altro reato c.d. presupposto, rappresentato da un delitto doloso o colposo ovvero da una contravvenzione punita con l’arresto superiore nel massimo a un anno o nel minimo a sei mesi.

Non si richiede che la fattispecie base sia accertata giudizialmente con sentenza passata in giudicato, né che ne siano individuati gli autori, non rilevando neppure la imputabilità o la punibilità del relativo autore ovvero la stessa procedibilità: è sufficiente che il giudice a quo ne abbia incidentalmente ritenuto la sussistenza quantomeno piano materiale.

Secondo la giurisprudenza, inoltre, il reato presupposto della ricettazione non deve essere necessariamente accertato in ogni suo aspetto materiale, potendo la provenienza illecita del bene posseduto desumersi sul piano indiziario anche sulla base di una prova logica nonché dalla natura e dalle caratteristiche del bene stesso (Cass. Pen., Sez. I, Sent., 14/11/2019, n. 46419, con riferimento ad armi e munizioni da guerra in dotazione esclusiva alle forze armate, di cui è vietato il libero commercio ai privati).

Peraltro, ai fini della prova della provenienza illecita del bene, nonché della sussistenza del dolo in capo all’imputato, si riconosce valore indiziante alla mancata od inverosimile giustificazione del possesso del bene da parte del medesimo (Cass. Pen., Sez. II, 02/11/2022, n. 41289; Cass. Sez. II, 30/07/2021, n. 30026).

Quanto al rapporto tra la fattispecie base e il reato di ricettazione, in forza della clausola di riserva di cui al primo comma, non risponde del delitto di cui all’art. 648 c.p. colui che abbia concorso nel reato presupposto, rispetto al quale l’eventuale successiva condotta di ricettazione rappresenta un postfatto non punibile.

A tal fine, secondo la giurisprudenza, non occorre la prova positiva che l’agente non sia stato concorrente nel reato presupposto, essendo sufficiente che non emerga la prova della sua partecipazione ad esso (Cass. Pen., Sez. II, Sent. 08/02/2022, n. 4434).

La soluzione giuridica

Nell’esaminare il ricorso proposto, la Corte di cassazione, in continuità con gli indirizzi giurisprudenziali summenzionati, evidenzia innanzitutto come il delitto di ricettazione sia diretto a punire colui che viene trovato nella disponibilità di beni che, in forza di elementi, anche di ordine logico, compresa la natura e le caratteristiche del bene stesso, siano ritenuti di provenienza illecita, e in ordine ai quali non si è in grado di fornire idonea ed attendibile giustificazione.

Con riferimento alla natura e alle caratteristiche del bene nel caso di specie tuttavia la Corte rileva come, trattandosi di comuni biciclette, queste siano di per sé prive di caratteristiche obiettive da cui sia possibile desumerne ipso facto l’illecita circolazione, alla stregua di telefoni cellulari dotati di codice IMEI, armi, assegni, assegni, documenti d’identità, ovvero i beni recanti marchi o segni sottoposti a tutela che vengono venduti tramite fatture e in circuiti commerciali autorizzati.

Si tratta inoltre, osserva la Corte, di beni che non presentano un elevato valore intrinseco che possa indurre a ritenere sospetta la loro circolazione.

Né sarebbero univocamente sintomatiche della loro provenienza furtiva le circostanze obiettive di luogo in cui sono state rinvenute le biciclette, presso una bancarella di un mercato rionale in pieno giorno, in quanto, in ipotesi, avrebbero potuto anche essere oggetti di seconda mano, lecitamente detenuti dall’imputato, in assenza di documentazione comprovante l’acquisto.

Relativamente agli altri elementi di ordine logico, da cui i giudici di merito avevano desunto la provenienza illecita di tutte le biciclette in possesso dell’imputato e del correo non ricorrente, venivano valorizzati, da una parte, l’assenza di giustificazioni in ordine al possesso dei beni da parte dell’imputato; dall’altra, la sicura provenienza delittuosa di una delle biciclette rinvenute, riconosciuta dal compagno della legittima proprietaria e a lui restituita, e rispetto alla quale veniva disposta la restituzione  degli atti al pubblico ministero per modificare l’imputazione a carico del ricorrente in furto in abitazione.

Il giudice del merito a tal proposito afferma che “le circostanze spazio temporale di rinvenimento dei beni, in un mercato abusivo di Palermo, risultano su un piano logico indicative di una provenienza furtiva dei beni, anche perché accomunate dall’esposizione per la vendita di una bicicletta che risulta essere stata rubata agli stessi imputati” in danno della querelante.

Nel censurare le sopracitate argomentazioni della corte territoriale, la Corte di cassazione osserva come la sentenza impugnata, pur riconoscendo la mancata presentazione della denuncia di furto delle altre biciclette detenute dall’imputato, essa pretenda erroneamente di desumere dal furto di uno dei veicoli da parte del ricorrente un fatto incerto e, a ben vedere, in contraddizione col primo: cioè che le altri biciclette in suo possesso non siano state rubate da lui, ma da parte di altri e da lui ricevute.

Nel sottolineare l’incoerenza di una tale inferenza, il giudice di legittimità ricorda che, ove il ricorrente fosse l’autore del reato presupposto, esso non potrebbe nemmeno rispondere di ricettazione, in forza della clausola di riserva di cui al primo comma dell’art. 648 c.p.

In conclusione, la Corte di cassazione annulla la sentenza impugnata rilevando la mancanza di prova certa della provenienza delittuosa delle biciclette in possesso dell’imputato, nonché del mancato concorso dello stesso nel reato presupposto.

Note di commento

Con la decisione annotata la Suprema Corte ha fatto corretta applicazione dei principi dettati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di ricettazione, precisandone la portata nel caso di beni comuni, ovvero privi di apprezzabile valore commerciale e di cui non sia certa la provenienza illecita.

Rifuggendo dalla tentazione di un’applicazione sommaria e poco meditata dei criteri di valutazione della prova indiziaria, viene ribadita la centralità della dimostrazione della certa provenienza illecita dei beni oggetto di ricettazione, nonché la rilevanza del mancato concorso dell’imputato nello stesso reato presupposto.

Conclusivamente, la mancanza di prova in ordine alla sicura provenienza delittuosa dei beni oggetto di ricettazione non può essere colmata dal mero possesso di essi da parte dell’imputato e da mere congetture circa la loro derivazione illecita, a maggior ragione allorquando si tratti di beni dalle caratteristiche comuni, privi di apprezzabile valore commerciale, non riconosciuti da nessuno come provento di reato, quantunque l’imputato non offra giustificazioni sulla provenienza.