Cassazione penale, Sez. 3^, sentenza n. 15799/2025, udienza del 17 febbraio 2025, deposito del 23 aprile 2025, ha ricordato che, in tema di reati tributari, l’integrazione di una fattispecie penale incriminatrice rende il fatto (di reato) punibile indipendentemente dagli effetti che la violazione di un una norma extrapenale tributaria può produrre.
Al contribuente è fatto divieto di violare le norme tributarie e, a maggior ragione, le norme penali tributarie che puniscono fatti di evasione – ossia i comportamenti maggiormente lesivi delle ragioni erariali e del bene giuridico protetto dalle incriminazioni – cosicché esse, anche quando richiamano elementi normativi propri del diritto tributario, sono autonome e autosufficienti rispetto agli effetti previsti da una norma tributaria extrapenale.
Infatti, l’elemento normativo della fattispecie svolge, nell’ambito della struttura del fatto tipico, esclusivamente la funzione di assicurare la puntuale descrizione del precetto penale, così da rispettare il principio di tassatività.
In buona sostanza, il legislatore, nel descrivere con precisione il fatto tipico in maniera che il comportamento attivo od omissivo penalmente rilevante sia estremamente chiaro per i destinatari della norma penale, ricorre all’uso di termini giuridici allo stesso modo in cui, in altre situazioni, fa uso di termini naturalistici.
In questi casi, per stabilire se sia o meno integrata una fattispecie penale incriminatrice, è allora necessario avere riguardo ai contenuti precettivi della norma penale di riferimento e, quindi, degli elementi (normativi e/o naturalistici) che la compongono.
Per quanto qui interessa, l’art. 3 d.lgs. n. 74 del 2000 punisce chi, mediante artifici idonei ad ingannare l’amministrazione finanziaria, indica nelle dichiarazioni dei redditi “elementi attivi o passivi” che concorrono, in senso positivo o negativo, alla determinazione del reddito o delle basi imponibili rilevanti ai fini dell’applicazione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, allorquando siano raggiunte le soglie di punibilità previste dalla fattispecie incriminatrice in relazione alla dichiarazione reddituale presentata per un determinato anno di imposta. Quindi, gli elementi costitutivi del fatto tipico prescindono, nel caso in esame, dagli effetti che normativa tributaria delinea nel quarto comma dell’art. 86 TUIR, tant’è che il momento consumativo del reato corrisponde, secondo la tipizzazione del fatto punibile, alla presentazione della dichiarazione mendace, quale conseguenza della condotta artificiosa, cosicché l’aver indicato, in singole dichiarazioni annuali dei redditi, quote consistenti di plusvalenze patrimoniali inferiori rispetto a quelle effettivamente conseguite, integra, in presenza del raggiungimento delle soglie di punibilità e degli altri elementi che costituiscono il reato, le rispettive fattispecie incriminatrici consumate alla data di presentazione delle relative dichiarazioni dei redditi.
Diversamente argomentando, le mendaci (ingannatrici) condotte dichiarative si risolverebbero, senza alcuna base giuridica rilevante per il diritto penale, alla stregua di post factum non punibili, pur integrando, ognuna di esse e in concorso con gli altri elementi costitutivi, pienamente il fatto di reato ex art. 3 d.lgs. n. 74 del 2000.
