L’avvocato “coadiuva” il cliente nel far ritrattare la parte offesa: la giovane età e l’inesperienza mitigano la sanzione (Redazione)

Segnaliamo l’interessante sentenza numero 438 del 2024 che ha affrontato il tema della violazione del precetto deontologico previsto dall’art. 55 del Codice Deontologico (Rapporti con i testimoni e persone informate).

Il bene tutelato dalla norma, infatti, non è soltanto la corretta amministrazione della giustizia, ma il corretto esercizio del diritto di difesa delle altre parti del processo messo in pericolo o leso da sollecitazioni di qualsiasi tipo atte ad indirizzare il contenuto di testimonianze, dichiarazioni o ritrattazioni rivolte a chi sia privo di adeguata assistenza e difesa tecnica.

L’articolo 55 C.D. al comma 1 vieta all’avvocato di “intrattenersi con testimoni o persone informate sui fatti oggetto della causa o del procedimento con forzature o suggestioni dirette a conseguire deposizioni compiacenti”.

Ciò anche nell’ipotesi in cui l’avvocato ritenesse la deposizione conforme al vero.

Il comma 8 dell’art. 55 CD impone poi che “Per conferire con la persona offesa dal reato, assumere informazioni dalla stessa o richiedere dichiarazioni scritte, il difensore deve procedere con invito scritto, previo avviso all’eventuale difensore della stessa persona 20 offesa, se conosciuto; in ogni caso nell’invito è indicata l’opportunità che la persona provveda a consultare un difensore perché intervenga all’atto”.

Infine la decisione ha ritenuto di mitigare la sanzione da 9 a 3 mesi di sospensione per la giovane età e l’inesperienza del collega (all’epoca dei fatti) sottoposto a procedimento disciplinare.

Incolpazione:

A. Violazione dell’art. 5 Codice Deontologico Previgente (art. 4 Codice Deontologico vigente) per avere l’iscritto, in violazione al dovere di probità, dignità e decoro, contravvenuto alla legge penale con comportamenti non colposi, avendo agevolato con la propria condotta la ritrattazione da parte di [AAA], parte offesa e processualmente parte avversa del proprio assistito [BBB], convincendo la stessa ad affermare falsamente che le dichiarazioni già rese alla P.G. ed al P.M. nell’ambito del procedimento penale n. [OMISSIS]/07 mod. 21 a carico di [BBB], cliente dell’avv. [RICORRENTE] e dal medesimo difeso nel predetto processo pe nale, non corrispondevano al vero accusandosi, conseguentemente, di reati che sapeva di non avere commesso; condotta che, contraria ai doveri di probità, dignità e decoro, ha leso la reputazione professionale della categoria di appartenenza e compromesso l’immagine della classe forense;

B. Violazione dell’art. 6 Codice Deontologico Previgente (art. 9 Codice Deontologico Vi gente) anche in relazione all’art. 52 Codice Deontologico Previgente (art 55 Codice Deonto logico Vigente) per avere l’iscritto, in violazione al dovere di lealtà e correttezza, avuto collo qui personali e telefonici con [AAA] e di averla preparata nei minimi particolari per le di chiarazioni che avrebbe formalizzato davanti all’Autorità di P.G. (come dallo stesso avv. [RICORRENTE] ammesso col telegramma 13.05.2009), al fine ultimo di indurla alla ritrattazio ne facendo leva sullo stato di evidente vulnerabilità della stessa [AAA] priva, nella fase preli minare alla predisposizione dell’atto di ritrattazione, di un proprio difensore, per favorire l’esi 2 to del processo penale pendente in sede di appello nei confronti del proprio assistito [BBB] in considerazione anche del ruolo processuale di testimone di [AAA]; e pronunciava invece il proscioglimento per la seguente incolpazione:

C Violazione dell’art. 14 Codice Deontologico Previgente (art. 50 Codice Deontologico Vigente) per avere l’iscritto, in violazione al dovere di verità, introdotto nel giudizio penale davanti alla Corte d’Appello di Bologna (n. [OMISSIS]/2008 R.G. App.) a carico del proprio cliente [BBB], l’atto di ritrattazione di [AAA] (fatto valere all’udienza del 10.07.2009) pur avendo contezza della falsità di tale atto desumibile dall’intera vicenda, dalle carte processuali di cui l’avv. [RICORRENTE] aveva piena conoscenza e dalle pressanti ed esplicite richieste da parte del proprio assistito del, tenore fai sì che [AAA] si prenda la calunnia… sei pur sempre il mio avvocato e non quello di [AAA] (lettera 6.02.2009 di [BBB] all’avv. [RICORRENTE])

Decisione:

Autonoma valutazione che nel caso di specie appare da valorizzare in modo particolare, data la delicatezza della vicenda che attiene alla verifica se l’avvocato abbia oltrepassato quella linea di demarcazione che divide il lecito e doveroso esercizio del diritto di difesa dell’assistito dal divenire correo con lo stesso.

Il tutto nell’ambito di una vicenda che ha visto, a vario titolo, il coinvolgimento di numerosi professionisti nel rapporto con la parte lesa, [AAA], oggettivamente vulnerabile e fragile non solo in ragione della giovane età, ma anche del vissuto violento di cui è stata vittima. Con queste premesse e in questo ambito deve essere qui ripresa l’esatta contestazione del fatto illecito di cui l’avv. [RICORRENTE] è stato chiamato a rispondere avanti il CDD bolognese e ciò in quanto l’esattezza dello stesso, indipendentemente dal richiamo delle norme violate, è il perimetro che circoscrive l’indagine.

È bene quindi ripetere e riscrivere qui la contestazione mossa al ricorrente al capo A) dell’incolpazione: … per avere l’iscritto, …. agevolato con la propria condotta la ritrattazione da parte di [AAA], … convincendo la stessa ad affermare falsamente che le dichiarazioni già rese alla P.G. ed al P.M. nell’ambito del procedimento penale n. [OMISSIS]/07 mod. 21 ………., non corrispondevano al vero accusandosi, conseguentemente, di reati che sapeva di non avere commesso.

Pur nell’incertezza derivante dall’uso del verbo “agevolare”, non par dubbio che la condotta di cui l’avv. [RICORRENTE] è chiamato disciplinarmente a rispondere sia fattivamente quella di aver agito per convincere la teste a ritrattare.

Circostanza quest’ultima che è pacificamente esclusa non solo dalla Procura, che addebita l’induzione di [AAA] alla ritrattazione alla condotta gravemente intimidatoria del [BBB], ma è esclusa dallo stesso GUP laddove della sentenza riconosce “Su un punto si è d’accordo con il difensore dell’imputato ove si deduce che l’avv. [RICORRENTE] non ha ispirato la ritrattazione né l’ha valutata nei motivi ( aggiunti di appello) : l’ispirazione – come già detto – proveniva da [BBB] (…)”.

Depone per tale conclusione l’oggettiva valutazione del materiale probatorio in atti con particolare riguardo alla missiva di data 6 febbraio 2009 con la quale [BBB] comunica all’avv. [RICORRENTE] che “[AAA] mi sembra sia finalmente convinta a fare ciò che andava fatto tempo fa…” e lo esorta a fare la sua parte in quanto “sei pur sempre il mio avvocato e non quello di [AAA]”.

La determinazione di [AAA] a rivedere le proprie dichiarazioni accusatorie nei confronti di [BBB] non è stata quindi assunta a seguito di induzione o condizionamento in tal senso da parte dell’avv. [RICORRENTE]. Del resto, che la parte offesa fosse determinata a “sgonfiare” il contenuto delle proprie denunce nei confronti del [BBB] è circostanza che è, del pari, pacifica in atti non solo per quanto dichiarato dai testi avv. [OMISSIS], avv. [OMISSIS] e avv. [OMISSIS], ma soprattutto è ben rappresentata nella testimonianza del m.llo [OMISSIS] che ne descrive la ferma e risoluta intenzione alla ritrattazione.

Che tuttavia l’avv. [RICORRENTE] non sia stato semplice spettatore di tale accadimento, ma abbia “fatto la propria parte” per indirizzare in senso favorevole al proprio cliente la ritrattazione della [AAA], è parimenti provato in atti.

Per mantenere il rigore valutativo delle prove si prescinde, anche in questo caso, dalle dichiarazioni accusatorie rese in sede penale dalla teste [AAA] e dai di lei genitori per valorizzare quello che, correttamente, il CDD di Bologna ha ritenuto essere un documento di valore confessorio.

Si tratta del telegramma i data 13.5.2009 che l’avv. [RICORRENTE] indirizza al [BBB] solo pochi giorni prima della formale ritrattazione (avvenuta il 28.5.2009).

Tale documento va contestualizzato in quanto inviato dal ricorrente al proprio cliente, recluso nella casa circondariale di Ascoli, allorchè lo stesso ne revocava la nomina fiduciaria.

Revoca che, anche alla luce del contenuto delle numerose missive in atti, è plausibile sia stata provocata dalla percezione da parte del [BBB] che l’avv. [RICORRENTE], se non dissenziente rispetto alla ritrattazione, come dallo stesso dichiarato in sede di interrogatorio, non si attivasse fattivamente come richiesto per portare a compimento la stessa.

In proposito è rilevante annotare anche come in precedenti missive il [BBB] abbia apertamente, forse per lo stesso motivo, minacciato l’avv. [RICORRENTE] (si veda la missiva di data 4.5.2009 “[RICORRENTE] ascolta bene….so cosa tu mangi a pranzo e quante volte vai a pisciare….fai attenzione stai sbagliando con la persona sbagliata”) tanto che la revoca del mandato non poteva ragionevolmente che essere accolta con sollievo dall’avvocato.

Al contrario il ricorrente ne è rammaricato e con il telegramma si premura di precisare al [BBB] che sbaglia nel ritenere che abbia “impedito a [AAA] di fare delle dichiarazioni” in quanto afferma “l’ho preparata nei minimi particolari per le dichiarazioni che comunque lei già voleva fare”.

Sul punto non è credibile l’allegazione difensiva che si sia trattato di una affermazione non corrispondente ai fatti e resasi necessaria a causa delle minacce ripetute ricevute dall’avv. [RICORRENTE] sia di persona, sia al telefono (una pallottola costa 50 centesimi) sia per lettera.

La intervenuta revoca costituiva infatti, in mancanza di volontà delle iniziative richieste e stante la gravità delle minacce subite, l’occasione giusta per il professionista per defilarsi da una situazione difficile senza necessità di giustificazioni, giustificazioni che invece vengono addotte per ottenere il rinnovo del mandato e della cui veridicità vi è traccia anche nella corrispondenza successiva fra il [BBB] e la [AAA] (lettera 16.5.2009).

Nessun dubbio sussiste quindi che il ricorrente, con la propria condotta, abbia materialmente concorso nel reato di autocalunnia commesso da [AAA] e ciò sotto il profilo della realizzazione o agevolazione nella realizzazione dello stesso.

L’inconsapevolezza dell’avv. [RICORRENTE] di concorrere nel reato in quanto soggettivamente persuaso della veridicità della ritrattazione e professionalmente tenuto a credere alla dichiarazione di innocenza del proprio assistito è aspetto che la Corte di Cassazione incidentalmente afferma fossero meritevoli di approfondimento se non assorbite nella declaratoria di prescrizione.

Su tale aspetto le sentenze di merito si dilungano nel descrivere come proprio la conoscenza da parte dell’avv. [RICORRENTE] degli atti del procedimento penale a carico del [BBB] con le acquisizioni probatorie assunte a conferma della denuncia della [AAA] dovessero immediatamente far percepire all’avvocato la mendacia della ritrattazione.

Per quanto rileva al fine del giudizio disciplinare va ricordato che l’art. 55 del CD al comma 1 vieta all’avvocato di “intrattenersi con testimoni o persone informate sui fatti oggetto della causa o del procedimento con forzature o suggestioni dirette a conseguire deposizioni compiacenti”.

Ciò anche nell’ipotesi in cui l’avvocato ritenesse la deposizione conforme al vero.

Il comma 8 dell’art. 55 CD impone poi che “Per conferire con la persona offesa dal reato, assumere informazioni dalla stessa o richiedere dichiarazioni scritte, il difensore deve procedere con invito scritto, previo avviso all’eventuale difensore della stessa persona offesa, se conosciuto; in ogni caso nell’invito è indicata l’opportunità che la persona provveda a consultare un difensore perché intervenga all’atto”.

Comma che è rafforzativo quindi del divieto di cui al comma 1 imponendo sempre particolari modalità di cautela nel conferire con la parte offesa dal reato pur se il contatto sia semplicemente funzionale alla richiesta di informazioni.

Non sussiste dubbio alcuno che l’avv. [RICORRENTE], con la propria condotta, abbia violato i precetti sopra riportati dell’art. 55 del CD incautamente prestandosi (a differenza del più avveduto ed esperto codifensore) a svolgere un ruolo attivo nella “preparazione nei minimi particolari” della dichiarazione ritrattatoria delle accuse mosse al proprio cliente fattivamente intrattenendosi in più occasioni con la parte lesa e teste [AAA] in assenza del difensore della medesima.

Le considerazioni e le motivazioni sul punto svolte dal CDD meritano qui e sul punto piena condivisione con l’ulteriore annotazione che nel caso la condotta appare particolarmente grave essendo chiaramente percepibile la condizione di vulnerabilità della parte offesa per la tipologia di reati dalla stessa denunciati e per l’oggettiva personalità violenta dell’imputato [BBB] manifestatasi anche nel rapporto con i difensori. A

margine l’annotazione, che è dato di esperienza per coloro che si occupano di reati maturati nell’ambito di relazioni sentimentali, come frequentemente riappacificazioni con ridimensionamenti, ritrattazioni o remissioni di querela della parte offesa anziché escludere gli illeciti, sono sintomi dell’aggravamento della situazione maltrattante della vittima fatta oggetto di pressioni, minacce o intimidazioni che, lo si ripete, nel caso di specie erano particolarmente prevedibili e, in ogni caso, non escludibili.

L’art. 55 CD inserito nel titolo dei doveri dell’avvocato nel processo attiene a quella lealtà processuale a cui l’avvocato è sempre tenuto per il ruolo svolto nella giurisdizione ed ha un perimetro deontologico più ampio rispetto alla descrizione di condotte che integrano, come nel caso, reato.

Il bene tutelato dalla norma, infatti, non è soltanto la corretta amministrazione della giustizia, ma il corretto esercizio del diritto di difesa delle altre parti del processo messo in pericolo o leso da sollecitazioni di qualsiasi tipo atte ad indirizzare il contenuto di testimonianze, dichiarazioni o ritrattazioni rivolte a chi sia privo di adeguata assistenza e difesa tecnica.

Oltre al valore probatorio del telegramma di data 13.5.2009 vi è in atti copiosa documentazione epistolare e le stesse dichiarazioni rese dall’avv. [RICORRENTE] che provano come vi siano stati fra il professionista e la parte lesa [AAA] plurimi incontri aventi come oggetto sia le modalità del ritiro delle querele sia il contenuto della ritrattazione rispetto alla quale è stata suggerita alla parte la motivazione e ne è stata sollecitata la dichiarazione in prossimità dell’udienza. 21 Di tali evenienze il CDD dà conto nell’ambito della decisione con valutazione che appare immune da vizi e integralmente condivisibile.

La difesa del ricorrente nell’invocare un proscioglimento per il capo B) fa leva sull’asserita possibilità dell’avvocato di avere contatti con i testimoni quale comportamento non vietato qualora non diretto a sollecitarne dichiarazioni compiacenti e nuovamente afferma l’insussistenza di ogni agire dell’avv. [RICORRENTE] al fine di indurre [AAA] alla ritrattazione.

L’argomentazione non appare pertinente non solo perché [AAA] non era semplice testimone, ma parte offesa la cui ritrattazione avrebbe potuto spiegare effetti nel giudizio di appello nei confronti del [BBB], ma soprattutto in relazione alla violazione del canone 1 dell’art. 55 CD. Il capo B) dell’incolpazione descrive in modo preciso la condotta ascritta: aver “…..avuto colloqui personali e telefonici con [AAA] e di averla preparata nei minimi particolari per le dichiarazioni che avrebbe formalizzato davanti all’Autorità di P.G. (come dallo stesso avv. [RICORRENTE] ammesso col telegramma 13.05.2009)…”.

Come accertato tale condotta ha trovato piena prova così come l’ulteriore elemento fattuale che [AAA] fosse “…priva, nella fase preliminare alla predisposizione dell’atto di ritrattazione, di un proprio difensore” essendo l’avv. [DDD] intervenuto solo nella fase finale mentre gli altri professionisti interpellati dalla [AAA] non hanno mai assunto la sua difesa o il mandato di assisterla (non l’avv. [OMISSIS] incaricato di difendere il [BBB] e non l’avv. [OMISSIS] come da dichiarazione dalla stessa resa).

Né è rilevante la circostanza addotta dal ricorrente di non aver mai ricercato la parte lesa, ma di essere sempre stato direttamente contattato dalla stessa.

In tale evenienza il difensore non può infatti certamente intrattenersi con la parte e, qualora interessato ad assumerne informazioni, deve formalizzare la relativa richiesta con atto scritto alla stessa e al suo difensore se nominato e qualora non nominato l’atto deve contenerne l’espresso invito alla nomina.

Nessuna di tali modalità previste dal canone 8 dell’art. 55 CD è stata adottata ed anzi l’avv. [RICORRENTE] è stato di ausilio nella preparazione del contenuto della ritrattazione all’indubbio scopo di “..favorire l’esito del processo penale pendente in sede di appello nei confronti del proprio assistito [BBB]”.

E che ciò sia avvenuto con forzature o suggestioni è dal pari dato incontrovertibile per quanto ben argomentato nella decisione impugnata ed evidenziato nelle sentenze penali di merito.

In particolare, il termine “suggestioni” va interpretato nel senso da ricomprendere ogni atteggiamento che possa influenzare la volontà del testimone inducendolo a rendere dichiarazioni compiacenti.

In sede penale il giudice ha valorizzato le dichiarazioni testimoniali rese dal padre di [AAA] il quale ha accreditato l’avv. [RICORRENTE] quale garante presso la figlia dell’impegno del [BBB] ad allontanarsi abbandonato ogni atteggiamento minaccioso e violento qualora lei avesse ritrattato le accuse.

Ma del pari suggestiva è la prospettazione della utilità della ritrattazione per l’ottenimento della libertà del [BBB] diretta alla [AAA] nuovamente riappacificata con il compagno e l’indicazione dei fatti e delle circostanze da “ridimensionare” per ottenere l’assoluzione nel giudizio di appello. L’avvocato non può mai condizionare la testimonianza.

Integra quindi violazione del precetto deontologico qualsiasi agire che possa in qualunque modo interferire, alterandola, sulla spontanea e libera rappresentazione della realtà del testimone.

In ciò rientra ogni prospettazione idonea ad intimorire il teste o qualsiasi suggestione o pressione che prefiguri vantaggi quali conseguenza delle dichiarazioni rese o da rendere.

In tal senso è stata sanzionata ad esempio la condotta dell’avvocato che semplicemente comunichi al teste l’avvenuto deposito di denuncia per falsa testimonianza o che anticipi allo stesso azioni risarcitorie causandone timore in quanto tale funzionale ad una ritrattazione (Consiglio Nazionale Forense, sentenza del 28 dicembre 2012, n. 200; Consiglio Nazionale Forense , sentenza del 17 settembre 2012, n. 112, Consiglio Nazionale Forense, sentenza del 29 aprile 2003, n. 76).

Nel caso di specie siamo ben oltre. L’avv. [RICORRENTE] assecondando il proprio assistito ha preparato “nei minimi particolari” [AAA], giovane vittima di un compagno violento e quindi in “stato di evidente vulnerabilità”, a rendere una dichiarazione che, se veritiera, la esponeva a giudizio penale per aver commesso il reato di calunnia e, se inveritiera, a commettere il reato di autocalunnia di cui l’avvocato stesso si rendeva correo avendone con la propria condotta agevolato la realizzazione.

Tutti gli elementi materiali integranti la violazione dell’art. 55 CD sono quindi sussistenti a nulla rilevando l’asserita mancata induzione della teste alla ritrattazione quale volontà autonoma (o meglio già maturata) della stessa.

Se quindi alla scelta del CDD di descrivere il fatto addebitato all’avv. [RICORRENTE] al capo A) difformemente da quanto imputato consegue il proscioglimento dello stesso, ne va invece affermata la piena responsabilità per il capo B) quale condotta violativa della norma 23 deontologica di cui all’art. 55 e condotta che ha materialmente concorso alla realizzazione e commissione del reato di autocalunnia.

Va quindi esaminato l’ultimo motivo di ricorso con il quale il ricorrente si duole della laconicità con cui il CDD ha motivato la scelta di infliggere la sanzione della sospensione per 9 mesi nonché, più in generale, dell’eccessività di tale sanzione.

Nell’esaminare tale doglianza va premesso che trattandosi di condotte antecedenti l’entrata in vigore del nuovo Codice Deontologico il regime sanzionatorio, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale e secondo il canone penalistico del favor rei, dovrà essere quello ritenuto in concreto più favorevole comparando le due discipline (Corte di Cassazione, SS.UU., sentenza 4 luglio 2018 n. 17534 , Consiglio Nazionale Forense, sentenza 23 dicembre 2017 n. 232, Consiglio Nazionale Forense, sentenza 12 aprile 2018, n. 22).

A fronte dell’assenza di tipizzazione della sanzione per la violazione del previgente art. 52 Codice Deontologico con conseguente irrogabilità in astratto anche della sanzione espulsiva della radiazione, oggi la violazione dell’art. 55 CDF è sanzionata con la pena edittale della sospensione da 2 a 6 mesi, aggravata fino a 3 anni e attenuata fino alla censura per l’ipotesi di cui al comma 1 e con la censura, aggravata fino alla sospensione non superiore ad 1 anno e attenuata all’avvertimento per l’ipotesi di cui al comma 8.

La nuova normativa è quindi, in quanto di maggior favore, quella che dovrà essere considerata nel caso di specie nella graduazione della sanzione con motivazione che integra, in virtù delle facoltà concesse al Consiglio Nazionale quale giudice d’appello, quella resa dal CDD bolognese la cui carenza motivazionale non costituisce motivo di nullità come invocato dalla difesa del ricorrente (Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 133 del 5 luglio 2023: “ La mancata indicazione, da parte dell’organo di disciplina, dei criteri per la scelta e la quantificazione durata della sospensione (anche cautelare) ovvero della sanzione irrogata, non integra alcuna nullità della decisione, non sussistendo uno specifico obbligo motivazionale, ma esclusivamente un criterio di adeguatezza, in relazione all’offesa alla dignità e al decoro della classe professionale che dal comportamento riconosciuto possano derivare. In ogni caso, anche laddove fosse previsto sul punto un obbligo motivazionale, la sua mancanza non provocherebbe la nullità, ovvero l’annullabilità, della decisione impugnata, in quanto all’eventuale carenza motivazionale il CNF quale giudice d’appello potrebbe, con i poteri conferitigli dalle norme, supplire, apportando tutte le integrazioni che ritenga necessarie.

In senso conforme, solo tra le più recenti, Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 25 del 7 marzo 2023.)

Appare al Consiglio che debba nel caso essere considerato, oltre all’assenza di precedenti quale unico elemento valorizzato dal CDD, che i fatti di cui al procedimento risalgono a 15 24 25 anni fa (2009) allorchè l’Avv. [RICORRENTE] era un giovanissimo avvocato (abilitato nel 2007) privo all’evidenza dell’esperienza necessaria per sapersi destreggiare in una difesa difficile e saper valutare la complessa situazione personale delle parti e probabilmente anche sviato dalla condotta tenuta dal più anziano collega di difesa, il quale per primo prese contatti con la [AAA], per primo la ricevette in studio, chiese per lei i colloqui in carcere con il [BBB], chiese ed utilizzò la ritrattazione alla cui predisposizione seppe però tenersi estraneo.

In ragione di ciò e con valutazione complessiva che tiene conto anche della indubbia particolare gravità del fatto, il collegio stima adeguata la sanzione della sospensione dall’attività professionale per la durata di mesi tre, graduata nell’ambito di quella prevista in via edittale nei commi 1 e 8 dell’art. 55 del vigente CDF.