La Cassazione penale sezione 1 con la sentenza numero 21558/2025 si pronuncia sul diritto del detenuto sottoposto al regime di cui all’art. 41 bis legge 26 luglio 1975, n. 354 di coltivare l’affettività familiare con persona soggetta al medesimo regime speciale.
La Suprema Corte ha stabilito che in tema di regime penitenziario differenziato di cui all’art. 41-bis legge 26 luglio 1975, n. 354, il diritto del detenuto di coltivare l’affettività familiare mediante colloqui visivi può essere riconosciuto anche quando il familiare che si vuole incontrare è sottoposto al medesimo regime speciale, dovendosi tuttavia operare un giudizio di bilanciamento tra le esigenze di affettività del soggetto ristretto e quelle di sicurezza pubblica. Laddove le esigenze di sicurezza siano ritenute prevalenti, non è possibile soddisfare tale diritto nemmeno con l’impiego di strumenti audiovisivi.
La cassazione ha recentemente affermato che “In tema di regime penitenziario differenziato di cui all’art. 41-bis legge 26 luglio 1975, n. 354, il diritto di coltivare, mediante colloqui visivi, l’affettività familiare inerisce al nucleo essenziale dei diritti del detenuto, sicché può essere riconosciuto pur quando il familiare che si vuole incontrare è, anch’egli, sottoposto al regime speciale, dovendosi tuttavia operare un giudizio di bilanciamento, in concreto, tra le esigenze di affettività del soggetto ristretto e quelle di sicurezza pubblica, le quali, laddove ritenute prevalenti, non consentono di soddisfare tale diritto, nemmeno con l’impiego di strumenti audiovisivi” (Sez. 1, n. 46809 del 21/11/2024, Rv. 287288).
La caratura criminale del detenuto sottoposto al regime penitenziario differenziato impone, infatti, una particolare attenzione alle esigenze di sicurezza, che sono ancora più elevate quando il colloquio debba svolgersi con un familiare sottoposto anch’esso al regime penitenziario differenziato, essendo notoria la capacità di tali soggetti di scambiare messaggi in forme criptiche, forme che risultano particolarmente facili in un colloquio visivo, in cui anche la mera espressione del volto, o un qualunque gesto, possono avere un significato sottinteso e veicolare un messaggio pericoloso, che non può peraltro più essere eliminato, una volta inviato.
Nella sentenza, sopra citata, così come nelle sentenze, aventi analogo oggetto, recanti il n. 31634/2022 e il n. 49279/2023, la richiesta autorizzazione al colloquio è stata rigettata, o è stato accolto il reclamo del DAP avverso la sua autorizzazione, ritenendo necessaria una più approfondita valutazione delle esigenze di sicurezza.
Anche l’ordinanza qui impugnata non risulta avere effettuato né una corretta valutazione delle esigenze di sicurezza che, secondo l’amministrazione penitenziaria, impongono di negare il colloquio richiesto, né un corretto bilanciamento di queste con il diritto del detenuto all’affettività e al mantenimento dei rapporti familiari.
Essa, in primo luogo, ha svalutato le esigenze di sicurezza indicate dalla DDA, consistenti nelle recenti operazioni di polizia a carico di membri apicali della cosca a cui entrambi i detenuti appartengono, e nei procedimenti appena iniziati.
È notorio che simili operazioni, disarticolando i vertici dell’associazione, creano la necessità di una sua ricostituzione, della individuazione di nuovi rappresentanti, e dell’adozione delle strategie necessarie per mantenere o ripristinare il controllo sul territorio.
La possibilità di colloqui tra i membri apicali detenuti, quali sono i fratelli A.A. e B.B., rende elevato il pericolo che costoro si scambino messaggi e informazioni dirette proprio ad organizzare la ricostituzione della cosca o dei suoi vertici.
L’ordinanza non ha colto tale situazione di pericolo, resa attuale dalle vicende esterne della cosca, che fa apparire particolarmente elevata, in questo momento, l’esigenza di sicurezza, e non l’ha di fatto valutata, neppure per affermarne l’insussistenza o l’irrilevanza.
Essa, inoltre, è errata laddove afferma insussistenti le esigenze di sicurezza perché, nei colloqui già eseguiti, non sono emerse criticità, intese come scambio di segnali potenzialmente criptici: le esigenze di sicurezza non derivano soltanto dal comportamento apparentemente corretto o meno del detenuto durante il colloquio, ma dalla pericolosità sua e dell’altro detenuto, e dalla situazione esterna della cosca che, come in questo caso, può rendere necessario impedire con maggiore attenzione ogni possibilità di contatto con l’esterno.
La Suprema Corte ha affermato che “In tema di regime penitenziario differenziato speciale di cui all’art. 41-bis ord. pen., ai fini dell’ammissione del detenuto ai colloqui telefonici sostitutivi con altri familiari, anch’essi ristretti, deve tenersi conto, in applicazione delle disposizioni di cui alla Circolare DAP del 2 ottobre 2017, degli elementi ostativi emergenti dal parere non vincolante della Direzione distrettuale antimafia” (Sez. 1, n. 31634 del 24/06/2022, Rv. 283496; Sez. 1, n. 49279 del 11/10/2023, Rv. 285574).
L’ordinanza non si è conformata a tale principio, dal momento che ha del tutto trascurato di valutare autonomamente il contenuto del parere della DDA, ed ha motivato l’insussistenza delle esigenze di sicurezza richiamando la valutazione espressa dal magistrato di sorveglianza.
Quest’ultima, però, risulta illogica e contraddittoria, avendo il giudice ritenuto che non siano stati indicati “elementi attuali e concreti idonei a ritenere sconsigliabile l’esecuzione della videochiamata”, mentre l’ordinanza stessa riporta che la DDA ha individuato le esigenze di sicurezza in operazioni di polizia condotte sino al novembre 2023, e in processi appena iniziati a carico di numerosi membri della cosca in questione, indicando, quindi, situazioni di pericolosità attuali e concrete.
L’ordinanza impugnata non ha effettuato, poi, un effettivo bilanciamento tra le esigenze di sicurezza e il diritto del detenuto all’affettività e al mantenimento dei rapporti familiari.
Essa stessa afferma che il detenuto ha effettuato ben quindici colloqui e che uno di essi, proprio con il fratello sottoposto al regime penitenziario differenziato, è stato autorizzato nel mese di aprile, solo due mesi prima dell’adozione del provvedimento autorizzativo dell’ulteriore colloquio richiesto, e cinque mesi prima della emissione dell’ordinanza qui impugnata, ma non ha indicato i motivi che giustificherebbero una tale intensità e frequenza dei colloqui stessi.
La necessità di effettuare un bilanciamento tra il diritto all’affettività e le esigenze di sicurezza richiede un’attenta valutazione anche del primo elemento, e delle modalità con cui il suo rispetto sia stato già assicurato mediante precedenti colloqui, essendo tale bilanciamento sicuramente fondato anche sulle limitazioni già applicate, o meno, al suo godimento, ovvero sull’esistenza di ragioni specifiche, che rendano particolarmente elevata l’esigenza di coltivare il rapporto affettivo, in particolare con un familiare anch’egli sottoposto al regime di cui all’art. 41-bis Ord. pen.
Sotto questo profilo l’ordinanza impugnata appare carente, avendo omesso di effettuare tale bilanciamento con riferimento al contenuto del provvedimento emesso dal magistrato di sorveglianza, che, secondo quanto riportato nel ricorso, ha disposto l’effettuazione nei mesi estivi di due colloqui visivi del richiedente con il fratello detenuto sopra indicato, senza che siano state indicate le ragioni della necessità di colloqui così ravvicinati, ovvero della loro specifica collocazione temporale, ed escludendo, di fatto, la possibilità di valutare l’eventuale sopravvenienza di nuove esigenze sicurezza tra tali colloqui.
Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere, pertanto, accolto, e l’ordinanza impugnata deve essere annullata, con rinvio al Tribunale di sorveglianza di L’Aquila, per un nuovo giudizio, da svolgersi con piena libertà valutativa, ma nel rispetto dei principi sopra puntualizzati.
