Medico ospedaliero che opera in regime intramurario: commette peculato non se viola l’esclusività a favore del pubblico ma se non versa all’azienda la parte di onorari che le spetta (Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 6^, sentenza n. 18240/2025, udienza del 3 dicembre 2024, deposito del 14 maggio 2025, ha affermato che integra il delitto di peculato la condotta del medico dipendente di un ospedale pubblico il quale, svolgendo in regime di convenzione attività intramuraria, dopo aver riscosso l’onorario dovuto per le prestazioni, omette poi di versare all’azienda sanitaria quanto di spettanza della medesima, in tal modo appropriandosene, a condizione che la disponibilità del denaro sia legata all’esercizio dei poteri e dei doveri funzionali del medesimo, e non derivi da un affidamento devoluto solo “intuitu personae” ovvero da una condotta “contra legem” (in termini, Sez. 6, n. 24717 del 24/04/2024, Rv. 286666 in cui, in applicazione del principio, la Corte ha annullato con rinvio la sentenza impugnata per non aver chiarito se l’imputata, svolgendo le prestazioni sanitarie presso il proprio studio professionale, avesse previamente attivato la procedura di “intra moenia” allargata, cui era autorizzata, trattenendo quanto aveva riscosso in ragione del proprio ufficio, ovvero avesse operato al di fuori del rapporto con l’amministrazione, in violazione delle norme contrattuali e disciplinari ad esso inerenti).

In tal senso anche Sez. 6, n. 35988 del 21/05/2015, Rv. 264578 con cui si è affermato che «nello schema normativo della fattispecie di peculato la locuzione “ragione del suo ufficio o servizio” esprime una caratterizzazione giuridica del potere che deve sussistere in capo al soggetto attivo: per commettere il delitto di peculato, dunque, il pubblico ufficiale, ovvero l’incaricato di pubblico servizio, deve appropriarsi del denaro o della cosa mobile di cui dispone per una ragione legata all’esercizio di poteri o doveri funzionali, in un contesto che consenta al soggetto di tenere nei confronti della cosa quei comportamenti uti dominus in cui consiste l’appropriazione, dovendosi ritenere incompatibile con la presenza della ragione funzionale un possesso proveniente da un affidamento devoluto solo intuitu personae (Sez. 6, n. 34884 del 07/03/2007, Rv. 237693), ovvero scaturito da una situazione contra legem o evidentemente abusiva, senza alcuna relazione legittima con l’oggetto materiale della condotta»

In tal senso anche, Sez. 6, n. 23792 del 10/03/2024, in motivazione.

Ciò che deve dunque essere accertato, ai fini dell’affermazione della responsabilità, è che il medico autorizzato a svolgere attività intramoenia con un rapporto di esclusività con l’Azienda non si sia limitato a violare solo l’esclusività esercitando un’attività non consentita, ma si sia invece appropriato delle somme che, in ragione della riferibilità della sua attività all’ente, avrebbe dovuto versare a questo.

È possibile che il medico violi il rapporto di esclusività, e, ad esempio, visiti privatamente senza “passare” dalla Azienda, cioè in ragione di un rapporto personale con il paziente che, dunque, a lui si rivolge non tramite l’Azienda; in tali casi il medico viola la convenzione con l’ente di riferimento, ma non si appropria delle somme che il paziente eventualmente corrisponde e che il pubblico ufficiale detiene non “in ragione” del suo ufficio”.