Invasione di immobile configurabile in caso di “subentro autorizzato” dal legittimo detentore (Riccardo Radi)

La Cassazione penale sezione 2 con la sentenza numero 20675/2025 ha stabilito che integra il reato di cui all’art. 633 cod. pen. la condotta di chi, ospitato in un immobile di edilizia residenziale pubblica in virtù del rapporto di parentela o di mera ospitalità con il legittimo assegnatario, vi permanga anche dopo il decesso di quest’ultimo, comportandosi come “dominus” o possessore.

La suprema Corte ha richiamato il precedente della medesima sezione numero 27041/2023 Buccino che in motivazione, ha precisato che l’invasione’ va intesa nel senso di introduzione arbitraria non momentanea nell’edificio altrui allo scopo di occuparlo o, comunque, di trarne profitto, restando indifferenti i mezzi ed i modi con i quali essa avviene, non essendo necessaria la ricorrenza del requisito della clandestinità e risultando irrilevante che gli imputati avessero corrisposto i canoni di locazione all’Istituto proprietario dell’immobile.

Detta pronunzia ha ricostruito la giurisprudenza in tema di occupazione abusiva di immobili osservando che la giurisprudenza di legittimità ha nel recente passato espresso due orientamenti contrastanti, qualora il soggetto subentri nell’immobile di proprietà di un ente pubblico, previa autorizzazione del legittimo detentore.

Un primo indirizzo ermeneutico parte dalla considerazione per cui nel reato di invasione di terreni o edifici la nozione di “invasione” non si riferisce all’aspetto violento della condotta, che può anche mancare, ma al comportamento di colui che si introduce “arbitrariamente”, ossia “contra ius” in quanto privo del diritto d’accesso, per cui la conseguente “occupazione” costituisce l’estrinsecazione materiale della condotta vietata e la finalità per la quale viene posta in essere l’abusiva invasione (Sez. 2, n. 26957 del 27/3/2019, Cerullo, Rv. 277019 – 01).

Nella scia di tale impostazione è stato, altresì, sostenuto che integra il reato di cui all’art. 633 cod. pen. la condotta di chi, inizialmente ospitato a titolo di cortesia dall’assegnatario di un immobile di edilizia residenziale pubblica, vi permanga anche dopo l’allontanamento dell’avente diritto, comportandosi come “dominus” o possessore, atteso che la “mera ospitalità” non costituisce un legittimo titolo per l’occupazione dell’immobile (Sez. 2, n. 49527 del 8/10/2019, Bevilacqua, Rv. 278828 – 01) e che il versamento all’ente pubblico proprietario dell’immobile dell’indennità di occupazione ovvero il rilascio all’imputato di un certificato di residenza indicante quale luogo d’abitazione l’immobile occupato e l’allaccio delle utenze domestiche non escludono la sussistenza del reato, già perfezionato con l’abusiva introduzione nell’immobile e la destinazione dello stesso a propria stabile dimora (Sez. 2, n. 3436 del 27/11/2019, Mancini, Rv. 277820 – 01).

Secondo l’orientamento contrario, non integra il reato di invasione di terreni o edifici la condotta del soggetto che subentra nell’appartamento di proprietà di un ente pubblico, previa autorizzazione del precedente legittimo detentore, atteso che la condotta tipica del reato di cui all’art. 633 cod.pen. consiste nell’introduzione dall’esterno in un fondo o in un immobile altrui di cui non si abbia il possesso o la detenzione, sicchè tutte le volte in cui il soggetto sia entrato legittimamente in possesso del bene deve escludersi la sussistenza del reato (Sez. 2, n. 15874 del 30/1/2019, Sannais, Rv. 276416 – 01).

Di conseguenza, non è configurabile il reato di cui all’art. 633 cod. pen. laddove il ricorrente subentri nell’appartamento di proprietà di un ente pubblico, previa autorizzazione del precedente legittimo detentore, legato a lui da vincoli di affinità: in tal caso deve escludersi la rilevanza del possesso o meno delle condizioni richieste per l’assegnazione, posto che detta circostanza può valere a fini amministrativi o civilistici, mentre non rileva sotto il profilo penalistico (Sez. 2, n. 48050 del 26/9/2018, Acquaro, Rv. 233140 e Sez. 2, n. 23756 del 4/6/2009, Rollin, Rv. 244667). Nello stesso senso è stato ritenuto che non integri il reato di invasione arbitraria di edifici il persistere nell’occupazione di un alloggio IACP, continuando a versare il canone locativo, da parte di soggetto legato da pregresso rapporto di convivenza con l’assegnatario, che abbia ivi la propria residenza, da intendersi quale luogo di volontaria e persistente dimora del soggetto, a prescindere da una corrispondenza di tale situazione di fatto con le relative annotazioni sui registri anagrafici (Sez. 2, n. 49101 del 4/12/2015, Maniglia, Rv. 265514 – 01).

A fronte dei due indirizzi sopra sintetizzati, la cassazione ha ritenuto di dover preferire il primo orientamento sia perché oggetto specifico della tutela penale è l’interesse pubblico alla inviolabilità del patrimonio immobiliare, in relazione alla protezione del diritto – spettante ai privati, allo Stato o ad altri enti pubblici – di conservare i terreni o edifici legittimamente posseduti liberi da invasioni di persone non autorizzate; il termine «invasione» non è assunto nel significato comune di questa parola, che richiama una azione irruenta e impetuosa, ma in quello di introduzione arbitraria non momentanea nel terreno o nell’edificio altrui allo scopo di occuparlo o comunque di trarne profitto. Di conseguenza, i mezzi e il modo con cui avviene l’invasione sono indifferenti, né è necessario che ricorra il requisito della clandestinità, che costituisce uno degli elementi dello spoglio civile (art. 1168 cod. civ.), di talché l’invasione può commettersi anche palesemente e senza violenza neppure sulle cose o senza inganno.

Unico requisito dell’occupazione è l’arbitrarietà, vale a dire che essa avvenga contra ius: agisce «arbitrariamente» chi non ha il diritto o altra legittima facoltà di entrare nell’altrui terreno o edificio allo scopo di occuparlo o di trarne altrimenti profitto.

Non può essere condivisa l’ulteriore affermazione costantemente riconducibile al secondo orientamento secondo cui sarebbe irrilevante il possesso o meno delle condizioni richieste per l’assegnazione, in quanto tale circostanza potrebbe valere solo a fini amministrativi o civilistici, mentre non rileverebbe sotto il profilo penalistico.

Sul punto, giova evidenziare che, poiché l’art. 633 cod. pen. tutela la destinazione pubblicistica del bene, ciò che rileva è il mancato rispetto delle regole nell’individuazione del soggetto assegnatario che deve avvenire secondo forme, non arbitrarie e soggettive, ma pubbliche e regolate, tanto che nemmeno l’acquiescenza dell’ente proprietario elide la situazione di arbitrarietà, non potendo gli organi dell’ente sottrarsi al dovere di assegnazione sulla base dei criteri legali (Sez. 2, n. 53005 del 11/11/2016, Crocilla, Rv. AcP 268711 – 01; Sez. 5, n. 482 del 12/6/2014, Cristallo, Rv. 262204 – 01).

Il reato di invasione deve, dunque, ritenersi configurabile ogniqualvolta si occupa un immobile sine titulo e tale deve considerarsi la condotta di chi subentra nell’appartamento di proprietà di un ente pubblico, previa autorizzazione del precedente legittimo detentore, ovvero di chi occupa l’immobile a titolo di mera cortesia o in virtù di un rapporto di parentela con l’originario e legittimo assegnatario.

La conseguente “occupazione” deve ritenersi, pertanto, l’estrinsecazione materiale della condotta vietata e la finalità per la quale viene posta in essere l’abusiva invasione.

Ed in effetti, l’autorizzazione del precedente legittimo detentore o la mera ospitalità ovvero il rapporto di parentela con il legittimo assegnatario non determina l’instaurazione di una relazione giuridica di detenzione qualificata ovvero di possesso con l’immobile e, pertanto, la permanenza dell’ospite o del congiunto, nonostante l’allontanamento o, come nel caso di specie, il decesso dell’occupante legittimo, non può saldarsi con la precedente relazione dell’avente diritto.

Contrariamente argomentando, anche il rapporto di amicizia potrebbe legittimare il passaggio della detenzione dell’immobile dal legittimo assegnatario a chi invece non ha i requisiti per l’assegnazione dell’alloggio.

In conclusione, la cassazione ha ritenuto che in tutti questi casi si sia in presenza di una occupazione dell’immobile senza un titolo legittimo: l’assegnatario – si ribadisce – non è legittimato a trasferire la detenzione od il possesso dell’immobile, in quanto, come si è evidenziato, l’assegnazione avviene secondo procedure ed in presenza dei presupposti soggettivi stabiliti dalla legge, ragion per cui chi subentra con l’autorizzazione dell’originario assegnatario deve essere considerato occupante arbitrario dell’immobile, perché lo occupa contra ius.