La Cassazione penale sezione 1 con la sentenza numero 13795/2025 ha stabilito, in tema di impugnazioni, che è inappellabile la sentenza di condanna con la quale è inflitta la pena dell’ammenda, anche se in sostituzione in tutto o in parte di quella dell’arresto, per effetto del disposto dell’art. 593, comma 3, cod. proc. pen., come novellato dall’art. 34, comma 1, lett. a), d.lgs. 22 ottobre 2022, n. 150, e della contestuale introduzione delle pene sostitutive delle pene detentive brevi di cui agli artt. 20-bis cod. pen. e 53 e ss. legge 24 novembre 1981, n. 689.
Va premesso, al riguardo, che l’art. 593 cod. proc. pen., nel disciplinare i casi di appello, al comma 3 statuisce, per quanto qui rileva, che «sono in ogni caso inappellabili le sentenze di condanna per le quali è stata applicata la sola pena dell’ammenda o la pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità».
L’attuale formulazione della norma è stata introdotta dall’art. 34 d.lgs. 20 ottobre 2022 n. 150 (c.d. Riforma Cartabia) che, al testo precedente, dopo le parole «pena pecuniaria» ha aggiunto l’inciso «o la pena sostituiva del lavoro di pubblica utilità».
Il testo previgente era stato, a sua volta, interpolato dall’art 2, comma 1, lett. a), d.lgs. 6 febbraio 2018, n. 11, il quale aveva inserito fra le parole «sono inappellabili» l’espressione «in ogni caso», ad esprimere in termini di assolutezza e tassatività l’inappellabilità delle sentenze di condanna alla sola pena della ammenda (Sez. 3, n. 47031 del 14/09/2022, Sobrio, Rv. 283825 – 01, in motivazione).
Va, peraltro, osservato che, anche prima dell’entrata in vigore della c.d. Riforma Cartabia, l’interpretazione dell’art. 593, comma 3, cod. proc. pen., nella parte in cui indica come inappellabili le sentenze di condanna «per le quali è stata applicata la sola pena dell’ammenda», non è stata sempre univoca, essendosi posto l’interrogativo se essa riguardasse le condanne per reati che prevedono la sola pena dell’ammenda quale sanzione edittale o anche le condanne nelle quali l’ammenda risulta applicata a seguito di fatti contingenti, come, ad esempio, la concessione di attenuanti ad effetto speciale ovvero la sostituzione della pena detentiva ovvero, ancora, un mero errore del giudicante.
Parte della giurisprudenza di legittimità ha chiarito che l’art. 593, comma 3, cod. proc. pen., nel prevedere l’inappellabilità delle sentenze di condanna relative a contravvenzioni per le quali è stata applicata la sola ammenda, ha inteso riferirsi alle contravvenzioni astrattamente punibili con la sola pena pecuniaria o con pena alternativa e non anche alle contravvenzioni astrattamente punibili con pena congiunta; e ciò anche se sia stata in concreto irrogata la sola pena dell’ammenda per applicazione della pena pecuniaria in sostituzione di quella detentiva (tra le altre, Sez. 1, n. 44602 del 15/07/2022, Rv. 283746, in motivazione).
È, stato, dunque, ritenuto ammissibile l’appello avverso la sentenza di condanna per contravvenzione, ove sia stata applicata, ex art. 53 legge 24 novembre 1981, n. 689, la sola pena dell’ammenda come sanzione sostitutiva dell’arresto; ciò in ragione della revocabilità della sostituzione ex artt. 72 e 59 della citata legge n. 689 del 1981 (nel testo vigente prima della entrata in vigore della cd. Riforma Cartabia), rispetto alla quale il sacrificio del secondo grado nel merito non è stato ritenuto costituzionalmente ammissibile (Sez. 3, n. 14738 del 11/02/2016, Rv. 266833 – 01; Sez. 1, n. 10735 del 05/03/2009, Rv. 242879; Sez. 1, n. 6885 del 05/05/1995, Rv. 201720; Sez. 3, n. 1855 del 30/09/1993, dep. 1994, Rv. 197552 – 01).
Tale orientamento è stato ribadito (Sez. 4, ord. n. 11375 del 30/01/2024, Rv. 286018 – 01) anche dopo l’entrata in vigore della cd. Riforma Cartabia, atteso che il testo dell’art. 593, comma 3, cod. proc. pen. attualmente vigente, è stato modificato solo per la previsione dell’inappellabilità delle sentenze di condanna per le quali è stata applicata, oltre che la sola pena dell’ammenda, anche la pena sostituiva del lavoro di pubblica utilità, introdotta dall’art. 1 lett. a), d.lgs. n. 150 del 2022, attraverso l’inserimento nel codice penale dell’art. 20-bis.
Altro indirizzo interpretativo, invece (Sez. 1, n. 26308 del 23/03/2023, non mass.; Sez. 3, n. 47031 del 14/09/2022, Rv. 283825 – 01; Sez. 1, n. 31878 del 03/12/2021, dep. 2022, Rv. 283391 – 01; Sez. 1, n. 13403 del 30/04/2020, non mass.; Sez. 4, n. 15041 del 07/03/2014, Rv. 261564) ha affermato il principio dell’inappellabilità di una condanna per contravvenzione quando sia stata applicata, in concreto, la sola pena dell’ammenda, proprio perché ritenuta interpretazione maggiormente aderente alla lettera dell’art. 593, comma 3, cod. proc. pen.
Tale norma, secondo detto indirizzo, laddove stabilisce, nella seconda parte del comma 3, l’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento «relative a reati puniti con la sola pena pecuniaria o con pena alternativa» (a seguito della riforma introdotta dal d.lgs. n. 150 del 10/10/2022; il testo precedente, in vigore dal 6 marzo 2018 al 29 dicembre 2022, in quanto modificato dal d.lgs. n. 11 del 6 febbraio 2018, stabiliva l’inappellabilità di quelle «relative a contravvenzioni punite con la sola pena dell’ammenda o con pena alternativa»), rende palese la precisa volontà del legislatore di rendere inappellabili, nel caso delle sentenze di proscioglimento, solo quelle relative a reati individuati in base alla loro pena edittale; si sostiene, di conseguenza, che se il legislatore avesse voluto stabilire un’analoga limitazione per le sentenze di condanna, avrebbe potuto usare la medesima dizione.
Al contrario, la modifica apportata dal d.lgs. n. 11 del 6 febbraio 2018, introducendo l’inciso «in ogni caso», avrebbe reso ancora più chiara la voluntas legis nel senso di stabilire l’inappellabilità delle sentenze di condanna per le quali è stata applicata, in concreto, la sola pena dell’ammenda, in quanto tale regime viene affermato come operante qualunque sia il motivo dell’applicazione di tale sanzione.
Quest’ultimo orientamento, è stato di recente affermato da Sez. 3, n. 20573 del 13/03/2024, Rv. 286360 – 01 e da Sez. 1, n. 33605 del 09/05/2024, non mass. (contra, z. 5 4, ord. n. 11375 del 30/01/2024, Rv. 286018), alle cui persuasive argomentazioni, in parte già sintetizzate, si intende fare riferimento.
Va ribadito in questa sede che, con la modifica dell’art. 593, comma 3, cod. proc. pen. ad opera dell’art. 2 comma 1, lett. a), d. lgs. n. 11 del 2018, che ha inserito fra le parole «sono inappellabili» l’espressione, dal tenore letterale insuperabile, «in ogni caso» – tema non adeguatamente approfondito dalla richiamata decisione, di segno contrario, della Sezione quarta n. 11375 del 2024 – il legislatore ha inteso evidentemente soddisfare proprio le esigenze deflattive dell’impugnazione in appello, tale essendo la chiara ratio legis.
Nell’estendere, con la riformulazione dell’art. 593, comma 3, cod. proc. pen., il regime di inappellabilità alle sentenze di condanna per le quali è stata applicata la pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, il d.lgs. n. 150 del 2022 è necessariamente partito dal presupposto (implicito) che fossero già inappellabili le sentenze di condanna all’arresto sostituito con l’ammenda.
Ed invero, sarebbe tacciabile di irrazionalità la novella, se intesa nel senso di prevedere, rispetto alle contravvenzioni, la sola impugnazione con ricorso per cassazione a fronte di condanna al lavoro di pubblica utilità (che è pena limitativa della libertà personale, convertibile, se trasgredita, in pena detentiva), lasciando il doppio grado di merito quando è inflitta la pena pecuniaria sostitutiva (che non limita la libertà personale e che, anche se inadempiuta, non si converte mai in detentiva), tenuto conto, fra l’altro, che con la disposizione da ultimo introdotta il giudice viene sollecitato a scegliere, quando è possibile, la sanzione meno afflittiva con un beneficio per l’imputato che ha già come contropartita la preclusione di un grado di impugnazione.
Nel caso di specie, tutti gli imputati sono stati condannati alla pena pecuniaria dell’ammenda, essendo convertita la componente di pena detentiva ai sensi degli artt. 53 e ss. I. 24 novembre 1981, n. 169: la sentenza, quindi, alla luce delle esposte considerazioni sulla interpretazione dell’art. 593, comma 3, cod. proc. pen., non poteva essere appellabile, ma solo ricorribile per cassazione
