Mandato di arresto europeo: motivi che legittimano il rifiuto della consegna (Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 6^, sentenza n. 19671/2025, udienza del 21 maggio 2025, deposito del 26 maggio 2025, ha illustrato l’evoluzione normativa sui motivi che legittimano il rifiuto della consegna a seguito dell’emissione di un mandato di arresto europeo.

La legge 22 aprile 2005, n. 69 (Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo (di seguito MAE) e alle procedure di consegna tra Stati membri), nella formulazione originaria, prevedeva, all’art. 18, venti motivi di «rifiuto della consegna», espressamente qualificati come obbligatori. L’art. 18, lett. p), della legge n. 69 del 2005, in particolare, sanciva che «La Corte di appello rifiuta la consegna (…) se il mandato d’arresto europeo riguarda reati che dalla legge italiana sono considerati reati commessi in tutto o in parte nel suo territorio, o in luogo assimilato al suo territorio».

Con questa previsione, il legislatore italiano ha intenso trasporre nella disciplina di recepimento del MAE l’art. 4, n. 7 della decisione quadro 2002/584/GAI, che consente all’autorità giudiziaria dell’esecuzione di rifiutare di eseguire il MAE «Se il mandato d’arresto europeo riguarda reati: a) che dalla legge dello Stato membro di esecuzione sono considerati commessi in tutto o in parte nel suo territorio, o in un luogo assimilato al suo territorio».

Questa disposizione ha introdotto nella disciplina del MAE un limite tradizionale alla cooperazione giudiziaria in materia penale, connesso al principio di sovranità, e ha recepito, in buona parte, il testo dell’art. 7 della Convenzione europea di estradizione del 1957.

La legge 4 ottobre 2019, n. 117 (Delega al Governo per il compiuto adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni della decisione quadro 2002/584/GAI, relativa al MAE e alle procedure di consegna tra Stati membri, e disposizioni in materia di MAE e procedure di consegna tra Stati) ha, tuttavia, modificato il testo della legge n. 69 del 2005, al fine di adeguarla più compiutamente alla decisione quadro.

Diffuse criticità della legge italiana di attuazione sono, infatti, emerse nella Relazione di valutazione del gruppo di esperti del Consiglio dell’Unione europea sul quarto ciclo di valutazioni reciproche concernente «l’applicazione pratica del mandato di arresto europeo e delle corrispondenti procedure di consegna tra Stati membri», pubblicata in data 23 febbraio 2009, nonché nella più recente Relazione della Commissione sull’attuazione della decisione quadro sul MAE, trasmessa in data 2 luglio 2020 al Parlamento europeo e al Consiglio, che si concludeva prospettando l’eventualità di una procedura di infrazione.

Uno dei punti maggiormente critici era, infatti, costituito proprio dall’introduzione da parte del legislatore italiano, di motivi di rifiuto non contemplati dalla decisione quadro o che nella legge di attuazione italiana assumevano una cogenza o un’estensione maggiore di quella delineata dal diritto dell’Unione.

La legge n. 117 del 2019 ha, dunque, introdotto la distinzione tra motivi di rifiuto obbligatori e facoltativi, elencati rispettivamente all’art. 18 ed al nuovo art. 18 bis, e ha conferito una delega al Governo per apportare «le opportune modifiche» a questi articoli, in vista del loro compiuto allineamento alla decisione quadro.

In questo contesto di riforma, il motivo di rifiuto di natura processuale, fondato sul c.d. principio di territorialità, è stato soppresso nella sede originaria dall’art. 6, comma 5, lett. b), della legge 4 ottobre 2019, n. 117, ed è stato riformulato e trasposto all’art. 18-bis, comma 1, lett. a), della legge n. 69 del 2005, n. 69. Questa disposizione sanciva che «La Corte di appello può rifiutare la consegna … se il mandato d’arresto europeo riguarda reati che dalla legge italiana sono considerati reati commessi in tutto o in parte nel suo territorio, o in luogo assimilato al suo territorio».

Il d.lgs. 2 febbraio 2021, n. 10 (Disposizioni per il compiuto adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni della decisione quadro 2002/584/GAI, relativa al MAE e alle procedure di consegna tra stati membri, in attuazione delle delega di cui all’articolo 6 della legge 4 ottobre 2019, n. 117) ha, inoltre, operato una generalizzata soppressione di tutte le disposizioni interne che erano difformi dalla disciplina europea.

Questo testo normativo ha, inoltre, nuovamente modificato la formulazione dell’art. 18-bis, comma 1, lett. a), della legge n. 69 del 2005, n. 69.

La disposizione, nella formulazione vigente, sancisce che «Quando il mandato di arresto europeo è stato emesso al fine dell’esercizio di azioni giudiziarie in materia penale, la corte di appello può rifiutare la consegna nei seguenti casi: a) se il mandato di arresto europeo riguarda reati che dalla legge italiana sono considerati reati commessi in tutto o in parte nel suo territorio, o in luogo assimilato al suo territorio, ovvero reati che sono stati commessi al di fuori del territorio dello Stato membro di emissione, se la legge italiana non consente l’azione penale per gli stessi reati commessi al di fuori del suo territorio».

Nella formulazione vigente, dunque, la disposizione prevede un motivo solo facoltativo di rifiuto della consegna, quando i reati indicati nel MAE siano stati commessi al di fuori del territorio dello Stato membro di emissione, al fine di assicurare il divieto del ne bis in idem, riconosciuto dalla Convenzione di Schengen del 19 giugno 1990, e sancito anche dall’art. 50 della Carta di Nizza, quale garanzia e diritto fondamentale da tutelare nello spazio giuridico europeo (Sez. 6, n. 27992 del 3/06/2018, H., Rv. 273544).

Il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, già con riferimento alla formulazione previgente, ha rilevato che, quando la richiesta di consegna riguarda fatti commessi in parte nel territorio dello Stato, il motivo obbligatorio di rifiuto della consegna, previsto dall’art. 18, comma 1, lett. p), I. 22 aprile 2005, n. 69, è ravvisabile solo quando sussiste non un potenziale interesse dell’ordinamento interno ad affermare la giurisdizione, ma una situazione oggettiva, dimostrata dalla presenza di indagini sul fatto oggetto del mandato di arresto, sintomatica dell’effettiva volontà della Stato di affermare la propria giurisdizione (Sez. 6, n. 27992 del 3/06/2018, Rv. 273544; Sez. 6, n. 15866 del 04/04/2018, Rv. 272912 – 01).

Il motivo di rifiuto è, dunque, applicabile solo e in quanto risulti “già pendente” innanzi all’autorità giudiziaria italiana un procedimento penale per il fatto oggetto del MAE. A fronte di tale evenienza procedimentale (Sez. 6, n. 15866 del 04/04/2018, cit.; Sez. 6, n. 5548 del 01/02/2018, cit.; Sez. 6, n. 40831 del 18/09/2018, Rv. 274121), il conflitto di giurisdizione tra i due Stati membri, ove concretamente ravvisabile, deve trovare la propria soluzione secondo le forme e modalità proprie del meccanismo disegnato dalla decisione quadro 2009/948/GAI del 30 novembre 2009 sulla prevenzione e la risoluzione dei conflitti relativi all’esercizio della giurisdizione nei procedimenti penali e dal d.lgs. 15 febbraio 2016, n. 29 (che quello strumento normativo ha recepito nel nostro ordinamento), anche al fine di evitare l’avvio di procedimenti paralleli superflui che potrebbero determinare una violazione del principio del ne bis in idem sancito dall’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, quale garanzia fondamentale direttamente applicabile nello spazio giuridico europeo (Sez. 6, n. 13063 del 27/03/2024, Rv. 286192 – 01, v. anche, in motivazione, Sez. 6, n. 21323 del 22/05/2014, Rv. 259243; Sez. 6, n. 54467 del 15/11/2016, Rv. 268931).

L’eventuale opposizione del rifiuto della consegna, in tal caso, mira a tutelare effettivamente le prerogative dello Stato di esecuzione in funzione della composizione di un conflitto che è già esistente, e non meramente potenziale (Sez. 6, n. 15866 del 04/04/2018, cit.), in quanto disvelato dalla effettiva volontà dello Stato di affermare in concreto – con la presenza di attività d’indagine in corso di svolgimento – la propria giurisdizione sul fatto oggetto del MAE, in tutto o in parte commesso sul suo territorio (Sez. 6, n. 27992 del 13 giugno 2018, non massimata). Questi principi sono stati ribaditi dalla giurisprudenza di legittimità anche sotto il vigore della formulazione attuale del motivo di rifiuto invocato dal ricorrente. La giurisprudenza di legittimità ha, infatti, rilevato che il motivo facoltativo di rifiuto previsto dall’art. 18-bis, comma 1, lett. b), della legge 22 aprile 2005, n. 69, sussiste solo se, al momento della ricezione della richiesta di consegna, risulti l’effettivo e pregresso esercizio della giurisdizione nazionale sul medesimo reato oggetto del mandato (ex plurimis: Sez. 6, n. 20539 del 24/05/2022, Rv. 283600 – 01; Sez. 6, n. 2959 del 22/01/2020, N., Rv. 278197 – 02).