Misura di prevenzione personale ingiusta e la proposta del diritto a un’equa riparazione (Redazione)

Segnaliamo la proposta di legge numero 2348 (allegata al post) che prevede l’introduzione della sezione II-bis del capo II del titolo I del libro I del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, in materia di riparazione per l’ingiusta applicazione delle misure di prevenzione personali .

I proponenti nella relazione introduttiva scrivono: “La disciplina delle misure di preven zione è stata oggetto di un animato dibat tito in dottrina che, sin dalla sua introduzione, ha espresso seri dubbi sulla sua legittimità costituzionale.

La Corte costituzionale, fin dalle prime pronunce sul tema, ha affermato che le misure di prevenzione personali, per le significative restrizioni della libertà perso nale che possono comportare, radicano la propria base legale nell’alveo dell’articolo 13 della Costituzione che detta princìpi in materia di libertà personale.

In particolare, con la sentenza n. 177 del 22 dicembre 1980 il giudice delle leggi ha ribadito che « la legittimità costituzionale delle misure di prevenzione in quanto limitative, a diversi gradi di intensità, della libertà personale è necessariamente subordinata all’osservanza del principio di lega lità e alla esistenza della garanzia giurisdizionale ».

Dal punto di vista europeo, la Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) ha costantemente riconosciuto la compatibilità delle misure di prevenzione personali con la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamen tali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 e il Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848, distinguendo tra misure privative e misure limitative della libertà personale.

Le prime, connotate da un maggiore grado di afflittività, sono soggette alle rigorose con dizioni di applicabilità previste dall’articolo 5, paragrafo 1, lettere da a) a f), della Convenzione, che indica le ragioni per le quali è consentita la restrizione della li bertà personale di un individuo.

Le misure meramente limitative della libertà vanno ricondotte, invece, all’articolo 2 del Protocollo n. 4 addizionale alla Convenzione, fatto a Strasburgo il 16 settembre 1963, reso esecutivo con decreto del Presidente della Repubblica 14 aprile 1982, n. 217, che tutela la libertà attraverso una « protezione condizionata », consentendo, cioè, alle autorità statali di imporre obblighi che siano stabiliti ex lege, necessari per assicurare la tutela degli interessi collettivi elencati al medesimo articolo 2, paragrafi 3 e 4, e proporzionati rispetto agli obiettivi da conseguire.

L’inquadramento di una misura nell’una o nell’altra categoria va operato caso per caso e non è vincolato dalla qualificazione formale attribuitale dall’ordinamento nazionale.

Più specificamente, per assicurare l’effettiva tutela delle garanzie previste dalla Convenzione ed evitare la cosiddetta « frode delle etichette », la differenza tra « privazione » e semplice « limitazione » della libertà personale, secondo la CEDU, va apprezzata in concreto, considerando le differenze di grado e di intensità della misura.

A tale fine, si deve utilizzare un criterio di tipo essenzialmente quantitativo, valorizzando la durata, gli effetti e le modalità di esecuzione della misura imposta. In que st’ottica, assume carattere privativo della libertà non solo la misura di natura coercitiva o custodiale, come l’arresto o il fermo, ma anche quella che comporti una penetrante compressione della libertà di circolazione, attuata, ad esempio, attraverso la costante e rigorosa sorveglianza delle Forze dell’ordine.

In tale contesto si inserisce la sentenza della CEDU (De Tommaso contro Italia), depositata il 23 febbraio 2017, con la quale è stata dichiarata la violazione della libertà di circolazione (articolo 2 del Protocollo n. 4 addizionale alla Convenzione) da parte dello Stato italiano per avere imposto la misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, in ragione della mancanza di prevedibilità della legge.

Chiamata a pronunciarsi sulle questioni di legittimità costituzionale sollevate dopo la citata sentenza De Tommaso contro Italia la Corte costituzionale, con la sentenza n. 24 del 27 febbraio 2019, nel procedere a una approfondita ricostruzione del sistema delle misure di prevenzione a seguito dei numerosi interventi del legislatore nel corso degli anni, evidenzia, ancora una volta, che le misure di prevenzione personali, pur se prive di natura penale, comportano comunque una restrizione della libertà personale che ne impone la sottoposizione a un insieme di garanzie che la Corte stessa nella sentenza in esame si propone di definire.

Dunque, pare non revocabile in dubbio che le misure di prevenzione personali, sebbene sprovviste di natura sanzionatoria, rechino in sé, comunque, una grave portata afflittiva e purtuttavia l’ordinamento nulla prevede per i casi nei quali le medesime misure siano state applicate o mantenute « ingiustamente », al pari di quanto disposto per l’ingiusta detenzione dagli articoli 314 e 315 del codice di procedura penale”.

Proseguono i firmatari della proposta di legge. “Partendo da tale assunto, ossia dalla considerazione della natura repressiva delle misure di prevenzione e della loro sostanziale assimilabilità alla materia penale, la presente proposta di legge intende colmare il vuoto normativo mediante l’introduzione di una nuova sezione del codice di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, in materia di riparazione per l’ingiusta applicazione di misure di prevenzione personali”.