Cassazione penale, Sez. 4^, sentenza n. 19859/2025, udienza del 15 maggio 2025, depositata il 28 maggio 2025, si è pronunciata sui metodi di determinazione della quota sequestrabile nei confronti del singolo concorrente in vista della futura confisca del suo profitto illecito.
Provvedimento impugnato
Il TDR ha rigettato l’istanza di riesame proposta da SD avverso il decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP del Tribunale finalizzato alla confisca diretta, per equivalente o per sproporzione per l’importo di 59 milioni di euro, quale profitto dei delitti di narcotraffico oggetto di contestazione.
Ricorso per cassazione
Avverso tale ordinanza il difensore dell’indagato ha proposto ricorso per cassazione, lamentando violazione di legge e vizio di motivazione per mancata determinazione del valore del prezzo o del profitto del reato da ripartire ad ogni singolo concorrente e senza indicazione dell’accrescimento patrimoniale dell’imputato per effetto della commissione dei reati contestati.
Decisione della Suprema Corte
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, in quanto generico e in fatto laddove assume che non vi sia prova che il patrimonio dell’imputato si sia accresciuto del profitto derivante da reato.
Va premesso che, come noto, il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo“, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e, quindi, inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (tra le tante, Sez. 2, n. 49739 del 10/10/2023, Rv. 285608 – 01).
Nel caso in esame, il ricorso è generico, laddove assume che non vi è prova dell’illecito arricchimento del ricorrente, senza addurre alcunché a supporto di tale affermazione e senza considerare che il fumus commissi delicti è stato legittimamente desunto dalla piattaforma indiziaria posta a fondamento della misura cautelare personale a carico del prevenuto, in relazione a plurimi delitti in materia di traffico di sostanze stupefacenti, e con particolare riferimento al reato con cui si contesta al ricorrente di essere partecipe di un sodalizio criminale dedito al narcotraffico che, dall’anno 2020 ad oggi, ha conseguito un profitto illecito pari a 59 milioni di euro.
Ne discende che, sebbene sia fondato il rilievo con cui si eccepisce che il provvedimento impugnato ha errato in punto di determinazione del quantum sequestrabile, non avendo tenuto conto del principio di diritto recentemente affermato dalle Sezioni unite Massini [“In caso di concorso di persone nel reato, esclusa ogni forma di solidarietà passiva, la confisca deve essere disposta nei confronti di ciascun concorrente limitatamente a quanto dal medesimo conseguito, il cui accertamento costituisce oggetto di prova nel contraddittorio fra le parti e, solo in caso di mancata individuazione della quota di arricchimento del singolo concorrente, è legittima la ripartizione in parti uguali” (Sez. U, n. 13783 del 26/09/2024, dep. 2025, Massini, Rv. 287756 – 01)], si deve per contro rilevare come, sul punto dedotto, l’applicazione del medesimo principio non riverberi alcun concreto effetto in favore di SD.
Infatti, pur non potendosi applicare il principio solidaristico, resta il fatto che nei confronti del medesimo sarebbe quantomeno applicabile il residuo principio di ripartizione in parti uguali del profitto illecito, con la conseguenza che la quota parte a lui imputabile (59 milioni suddivisa per gli undici partecipi del sodalizio criminoso oggetto di contestazione), sarebbe comunque di gran lunga superiore ai beni sottoposti a sequestro (allo stato, per quanto consta dal provvedimento impugnato, la somma di euro 2.707,75 rinvenuta sul conto corrente bancario).
In definitiva, il ricorrente si è limitato ad invocare un errore di diritto effettivamente presente nelle argomentazioni offerte dal TDR, senza, tuttavia, specificare il concreto e attuale interesse derivante dalla invocata correzione del percorso logico-giuridico dell’ordinanza impugnata. Una simile correzione, infatti, pur disposta nella presente sede, non appare idonea a condurre alla revoca del sequestro, né tantomeno alla riduzione del quantum dei beni del ricorrente sottoponibili alla misura cautelare reale in disamina, visto che il valore di quelli già sequestrati è assolutamente esiguo rispetto a quanto potrebbe essere ulteriormente sequestrato al prevenuto (per un importo totale di oltre cinque milioni di euro).
