Manipolazione del mercato e la condotta apparentemente più indeterminata tra quelle previste dall’art. 185 T.U.F., ossia quella di manipolazione mediante “altri artifizi” (Riccardo Radi)

La Cassazione penale sezione 5 con la sentenza numero 19699/2025 ricorda che il delitto di manipolazione del mercato previsto dall’art. 185 d.lgs. n. 58 del 1998 (d’ora in poi T.U.F.) è reato di pericolo concreto e di mera condotta, per la cui integrazione è sufficiente che siano posti in essere comportamenti diretti a cagionare una sensibile alterazione del prezzo degli strumenti finanziari, senza che sia necessario il verificarsi di tale evento (ex multis Sez. 5, n. 28932 del 04/05/2011, Tanzi, Rv. 253754).

La natura di pericolo concreto del reato esige, dunque, ai fini del suo perfezionamento, la manifestazione fenomenica dell’idoneità dell’azione a mettere in pericolo l’interesse protetto dalla norma, costituito dal corretto ed efficiente andamento del mercato al fine di garantire che il prezzo del titolo nelle relative transazioni rifletta il suo valore reale e non venga influenzato da atti o fatti artificiosi o fraudolenti (Sez. 1, n. 45347 del 06/05/2015, Bonsignore, Rv. 265397)

L’accertamento del reato in questione deve conseguentemente essere condotto secondo il criterio della prognosi postuma, ossia ricorrendo ad un giudizio in concreto e a base totale ed ex ante che valorizzi tutti i dati fattuali esistenti al momento della condotta in funzione della verifica della connotazione decettiva del fatto comunicativo e della sua idoneità a produrre effetti distorsivi sul patrimonio conoscitivo dell’investitore (ex multis Sez. 5, n. 3555 del 07/09/2021, dep. 2022, Coen, Rv. 282981).

Ciò in quanto è necessario verificare se gli effetti decettivi dei fatti comunicativi o strictu sensu manipolativi, prevedibili in concreto ed ex ante quali conseguenze della condotta dell’agente, siano stati potenzialmente idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo di mercato del titolo rispetto a quello determinato in un corretto processo di formazione dello stesso (Sez. 5, n. 53437 del 19/10/2018, Baldassarre, Rv. 275134).

L’abuso del mercato assume dunque i connotati di tipicità ex art. 185 T.U.F. quando può concretamente influire sulla formazione della volontà negoziale dell’investitore e meglio persuaderlo alla convenienza nell’impiego del denaro con l’investimento nel titolo ovvero ad indurlo alla dismissione di quell’investimento (Sez. 5, n. 28932 del 04/05/2011, cit.).

Il reato è integrato, dunque, anche senza che la variazione del prezzo del titolo si sia concretamente realizzata, in quanto la norma penale tutela anticipatamente l’interesse dell’ordinamento alla corretta formazione del prezzo dello strumento finanziario (Sez. 5, n. 45829 del 16/07/2018, Franconi, Rv. 274179; Sez. 5, n. 4619 del 27/09/2013, dep. 2014, Compton, Rv. 258078), fermo restando che l’accertamento a posteriori dell’alterazione del prezzo dei titoli scambiati costituisce elemento fortemente sintomatico della effettiva idoneità della condotta incriminata a produrre l’alterazione sensibile del loro prezzo (Sez. 5, n. 54300 del 14/09/2017, Banchero, Rv. 272083).

Ne consegue che il reato si consuma nel momento stesso in cui la notizia, foriera di scompenso valutativo del titolo, viene comunicata o diffusa ovvero in quello in cui vengono realizzate le altre condotte manipolative del mercato descritte dalla norma incriminatrice (Sez. 5, n. 40393 del 20/06/2012, Gabetti, Rv. 253361; Sez. 5, n. 25450 del 03/04/2014, Ligresti, Rv. 260751).

Il dolo del reato è quello generico e consiste nella mera coscienza e volontà di diffondere notizie false o di realizzare le altre condotte manipolative tipizzate, nella consapevolezza della loro idoneità ad incidere in maniera sensibile sulla formazione del prezzo di uno strumento finanziario (Sez. 5, n. 28932 del 04/05/2011, Tanzi, Rv. 253757).

L’elemento soggettivo può dunque atteggiarsi anche nella forma del dolo eventuale, in particolare nel caso dell’aggiotaggio informativo, risultando invero meno agevole – ancorché teoricamente non impossibile – conciliare tale forma con l’ipotesi dell’aggiotaggio manipolativo caratterizzata da condotte artificiose, le quali, nonostante la mancata previsione di un criterio di selezione in grado di colorare il dolo come specifico, risultano inevitabilmente connotate da una impronta finalistica che evidenzia la necessità che la componente volitiva assuma una particolare intensità.

Come accennato il bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice di cui si tratta è l’integrità dei mercati regolamentati, che, come ricordato anche nel secondo “considerando” del Regolamento UE n. 596/2014, è lesa dall’abuso degli stessi con l’effetto di compromettere «la fiducia del pubblico nei valori mobiliari e negli strumenti derivati».

Il mercato è efficiente, infatti, quando il prezzo degli strumenti finanziari negoziati riflette correttamente tutte le informazioni disponibili.

Attraverso la manipolazione il prezzo verso il quale viene indirizzato il mercato è un prezzo non corrispondente al reale valore, con la conseguenza che, qualora il mercato seguisse il “suggerimento” del manipolatore, il prezzo tende a riposizionarsi a un livello che non riflette la reale corretta valutazione del titolo.

La manipolazione determina, dunque ed in definitiva, un’inefficienza allocativa.

La ratio dell’incriminazione va dunque ravvisata nella prevenzione degli effetti distorsivi che tale pratica può avere sui mercati finanziari, con l’ulteriore effetto secondario di minare la fiducia degli investitori.

Ad essere protetto è il mercato come bene pubblico di interesse collettivo, rimanendo sullo sfondo la tutela degli interessi patrimoniali dei singoli investitori eventualmente lesi dalla consumazione del reato (Sez. 5, n. 28932 del 04/05/2011, Tanzi, cit.).

È dunque alla luce di tale ratio che può essere ricostruita la tipicità della condotta apparentemente più indeterminata tra quelle previste dall’art. 185 T.U.F., ossia quella di manipolazione mediante “altri artifizi“.

L’artificio è definito come qualsiasi operazione in cui l’agente ricorre all’impiego di mezzi illeciti, intesi sia come mezzi che siano in sé fraudolenti, sia come mezzi in sé leciti, ma impiegati con modalità oggettivamente artificiose nel caso concreto.

In altri termini va ribadito che è lecito condurre i propri affari (purché con mezzi intrinsecamente leciti) anche se il mercato ne resta turbato, ma non è consentito perseguire o comunque provocare il turbamento del mercato quale strumento per realizzare i propri scopi, anche qualora i mezzi impiegati siano di per sé stessi leciti, risultando però nel contesto dato impiegati con modalità oggettivamente artificiose (e conseguentemente incoerenti con il senso economico dell’operazione intrapresa) e dunque rivelatrici del loro orientamento verso un obiettivo in ultima analisi illecito, ossia e per l’appunto la distorsione della naturale dinamica del mercato.

In definitiva il senso economico dell’operazione esclude la tipicità del fatto, mentre la motivazione effettivamente rispondente al senso economico esclude la colpevolezza.

Per converso l’intento fraudolento non è di per sé sufficiente a rendere il fatto tipico se questo non assume gli oggettivi caratteri artificiosi evocati dalla norma incriminatrice.

Si è infatti precisato come la tipicità della condotta ad oggetto “altri artifizi” non possa essere desunta dal mero fine di alterazione del mercato perseguito dal suo autore, essendo invece comunque necessario che la stessa si manifesti in maniera oggettivamente artificiosa, venendo realizzata con modalità di azione, di tempo e di luogo di per sé tali da poter incidere sul normale andamento del corso dei titoli (Sez. 5, n. 4324 del 08/11/2012, dep. 2013, Dall’aglio, Rv. 254324; Sez. 5, n. 2063 del 02/10/2008, dep. 2009, Crovetto, Rv. 242356).