Cassazione penale, Sez. 6^, sentenza n. 7329/2025, udienza del 10 ottobre 2024, ha ribadito, in accordo alla costante giurisprudenza di legittimità, che la regola di giudizio compendiata nella formula “al di là di ogni ragionevole dubbio”, di cui all’art. 533, comma 1, cod. proc. pen., consente di pronunciare sentenza di condanna a condizione che il dato probatorio acquisito lasci fuori soltanto ricostruzioni alternative costituenti eventualità remote, pur astrattamente formulabili e prospettabili come possibili in rerum natura, ma la cui effettiva realizzazione, nella fattispecie concreta, risulti priva del benché minimo riscontro nelle emergenze processuali, ponendosi al di fuori dell’ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana (Sez. 3, n. 5602 del 21/1/2021, Rv. 281647; Sez. 5, n. 1282 del 12/11/2018, dep. 2019, Rv. 275299; Sez. 1, n. 17921 del 03/03/2010, Rv. 247449).
Le Sezioni unite hanno, infatti, statuito che il canone dell’oltre ogni ragionevole dubbio, per la sua immediata derivazione dal principio della presunzione di innocenza, esplica i suoi effetti conformativi non solo sull’applicazione delle regole di giudizio, ma anche, e più in generale, sui metodi di accertamento del fatto, imponendo protocolli logici del tutto diversi in tema di valutazione delle prove e delle contrapposte ipotesi ricostruttive in ordine alla fondatezza del tema d’accusa: la certezza della colpevolezza per la pronuncia di condanna, il dubbio originato dalla mera plausibilità processuale di una ricostruzione alternativa del fatto per l’assoluzione (Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Troise, Rv. 272430, in motivazione).
Si tratta, dunque, sia di una regola di giudizio, che definisce lo standard probatorio necessario per pervenire alla condanna dell’imputato, escludendo l’utilizzabilità di criteri alternativi di giudizio, quali “la consistente verosimiglianza” o la forte plausibilità” della ricostruzione adottata, sia di un metodo dialettico di accertamento del fatto, che obbliga il giudice a sottoporre, nella valutazione delle prove, la tesi accusatoria alle confutazioni costituite dalle ricostruzioni antagoniste prospettate dalle difese (cfr. Sez. 6, n. 45506 del 27/04/2023, Rv. 285548 – 15; Sez. 1, n. 41110 del 24/10/2011, Rv. 251507).
Sul giudice grava, dunque, l’onere di individuare gli elementi di conferma dell’ipotesi accusatoria accolta, in modo da far risultare la non razionalità del dubbio derivante dalla prospettazione alternativa, non potendo detto dubbio fondarsi su un’ipotesi del tutto congetturale, seppure plausibile (cfr. Sez. 6, n. 10093 del 5/12/2018, dep. 2019, Rv. 275290; Sez. 4, n. 22257 del 25/3/2014, Rv. 259204).
In questo articolato contesto, la regola di giudizio dell’oltre ogni ragionevole dubbio pretende percorsi epistemologicamente corretti, argomentazioni motivate circa le opzioni valutative della prova, giustificazione razionale della decisione, standard conclusivi di alta probabilità logica in termini di certezza processuale, essendo indiscutibile che il diritto alla prova, come espressione del diritto di difesa, estende il suo ambito fino a comprendere il diritto delle parti ad una valutazione legale, completa e razionale della prova.
Si è, inoltre, chiarito, con riferimento alla valutazione della prova indiziaria, che il giudice di merito non può limitarsi ad una valutazione atomistica e parcellizzata degli indizi, né procedere ad una mera sommatoria di questi ultimi, ma deve, preliminarmente, valutare i singoli elementi indiziari per verificarne la certezza (nel senso che deve trattarsi di fatti realmente esistenti e non solo verosimili o supposti) e l’intrinseca valenza dimostrativa (di norma solo possibilistica), e, successivamente, procedere ad un esame globale degli elementi certi, per accertare se la relativa ambiguità di ciascuno di essi, isolatamente considerato, possa risolversi, sulla base di una visione unitaria, consentendo di attribuire il reato all’imputato al di là di ogni ragionevole dubbio e, cioè, con un alto grado di credibilità razionale, sussistente anche qualora le ipotesi alternative, pur astrattamente formulabili, siano prive di qualsiasi concreto riscontro nelle risultanze processuali ed estranee all’ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana (Sez. U, n. 6682 del 4 febbraio 1992, Musumeci, Rv. 191231; Sez. 1, n. 8863 del 18/11/2020, dep. 2021, Rv. 280605 – 02).
La regola di giudizio, oltre che probatoria, di certezza processuale codificata all’art. 533 cod. proc. pen., muovendo dai capisaldi del processo penale accusatorio della presunzione di innocenza e dell’onere della prova gravante sulla pubblica accusa, impone al giudice, e non all’imputato, di verificare il tasso di univocità degli elementi probatori agli atti e la concreta sostenibilità, sulla base di quanto acquisito nell’istruttoria dibattimentale e delle regole della logica, di diverse ricostruzioni fattuali idonee a indurre un ragionevole dubbio sulla colpevolezza dell’imputato.

BARD: REGOLA UNIVERSALE
MA CHE A GARLASCO NON VALE
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Caro Professore, sa meglio di me che le sentenze e i principi che ne sono tratti non equivalgono a proposizioni scientifiche, perché, in quanto opinioni, magari autorevoli ma sempre opinioni, non sono falsificabili attraverso verifiche oggettive. Il che è come dire che tutto si può dire e tutto si tiene. Ho anch’io la mia opinione, ovviamente, ma non aggiungerebbe nulla al dibattito in corso.
VG
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