Partecipazione ad un’associazione mafiosa: l’indispensabile requisito di un apporto concreto e gli indicatori fattuali dai quali ricavarlo (Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 6^, sentenza n. 7329/2025, udienza del 10 ottobre 2024, ha richiamato, condividendolo, il costante indirizzo della Suprema Corte, anche a Sezioni unite, che definisce la condotta di “partecipazione” ad un’associazione di stampo mafioso in chiave dinamica quale stabile inserimento dell’agente nella struttura organizzativa dell’associazione, idoneo, per le specifiche caratteristiche del caso concreto, ad attestare la sua “messa a disposizione” in favore del sodalizio, per il perseguimento dei comuni fini criminosi (cfr., da ultimo, Sez. U, n. 36958 del 27/05/2021, Modafferi, Rv. 281889; Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231670).

Al fine di ravvisare, dunque, una condotta di “partecipazione” al sodalizio mafioso assume assoluta decisività la possibilità di attribuire al soggetto la realizzazione di un qualsivoglia “apporto concreto”, sia pur minimo, ma in ogni caso riconoscibile, alla vita dell’associazione, tale da far ritenere avvenuto il dato dell’inserimento attivo con carattere di stabilità e consapevolezza oggettiva.

Si è, inoltre, affermato che, sul piano probatorio, la partecipazione ad una associazione di tipo mafioso può essere desunta da indicatori fattuali dai quali, sulla base di attendibili regole di esperienza attinenti propriamente al fenomeno della criminalità di stampo mafioso, possa logicamente inferirsi la appartenenza del soggetto al sodalizio, purché si tratti di indizi gravi e precisi, come, ad esempio, i comportamenti tenuti nelle pregresse fasi di “osservazione” e “prova”, l’affiliazione rituale, l’investitura della qualifica di “uomo d’onore”, la commissione di delitti-scopo (Sez. U, n. 33748 del 2005, Mannino), l’accertata sussistenza di un rapporto gerarchico dell’interessato rispetto ai soggetti ritenuti sicuramente partecipi del sodalizio (Sez. 6, n. 1162 del 14/10/2021, dep. 2022, Rv. 282661), oltre a molteplici e significativi “facta concludentia”, idonei, senza alcun automatismo probatorio, a dare la sicura dimostrazione della costante permanenza del vincolo, con puntuale riferimento, peraltro, allo specifico periodo temporale considerato dall’imputazione (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231670).

In particolare, sono stati considerati quali comportamenti concludenti, idonei a costituire indizio di intraneità al sodalizio criminale, l’essere posto a conoscenza dell’organigramma e della struttura organizzativa delle cosche della zona, dell’identità dei loro capi e gregari, dei luoghi di riunione, degli argomenti trattati, l’essere stato ammesso a partecipare ad incontri deputati all’inserimento di nuovi sodali (Sez. 5, n. 25838 del 23/07/2020, Prestia, Rv. 279597 – 02), la partecipazione a più riunioni organizzative tenute in un immobile riconosciuto quale “sede” organizzativa del gruppo criminale, non essendo ipotizzabile che un estraneo possa essere ammesso più volte a tali consessi (Sez. 1, n. 26684 del 12/4/2013, Rv. 256045).

Inoltre, proprio in considerazione dell’autonomia del reato associativo rispetto ai reati “fine”, si è esclusa l’indispensabilità, ai fini della prova della partecipazione al sodalizio, della commissione di reati “fine” dell’associazione (cfr., con riferimento all’associazione di stampo mafioso, Sez. 1, n. 33033 del 11/07/2003, Rv. 225977; detto principio è stato da ultimo ribadito in relazione all’associazione finalizzata al narcotraffico da Sez. 4, n. 11470 del 09/03/2021, Rv. 280703).

Infine, quanto al ruolo direttivo e alla funzione di capo di cui all’art. 416-bis, comma secondo, cod. pen., si è condivisibilmente affermato che vanno riconosciuti solo a chi risulti al vertice di una entità criminale autonoma, sia essa famiglia, cosca o “clan”, dotata di propri membri e regole (così, da ultimo, Sez. 2, n. 20098 del 03/06/2020, Rv. 279476 – 03).