Lavori pubblica utilità e ritiro del passaporto (Riccardo Radi)

La Cassazione penale sezione 6 con la sentenza numero 19463 del 26 maggio 2025 ha ribadito che l’art. 64 Legge 689/81 prevede espressamente il divieto di modificare le prescrizioni relative al lavoro di pubblica utilità previste dall’art. 56-ter della medesima legge, tra le quali è ricompresa quella del ritiro del passaporto e della sospensione della validità ai fini dell’espatrio di ogni altro documento equipollente.

La Suprema Corte, in precedenti sentenze (cassazione sezione 1 40594/2025 e cassazione sezione 3 44347/2024) ha precisato che, “in tema di sanzioni sostitutive di pene detentive brevi, le prescrizioni previste dall’art. 56-ter della legge 24 novembre 1981, n. 689 – introdotto dall’art. 71 d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 – per la semilibertà sostitutiva, la detenzione domiciliare sostitutiva e il lavoro di pubblica utilità sostitutivo non sono “pene accessorie” la cui applicazione dipende dalla discrezionale valutazione del giudice, ma costituiscono contenuto necessario e predeterminato della pena sostitutiva, da applicare obbligatoriamente anche in caso di patteggiamento“. (Sez. 6, n. 30768 del 16/05/2023 Cc. (dep. 14/07/2023) Rv. 284967 – 01).

In motivazione, la Suprema Corte ha precisato che la richiesta formulata dall’imputato per l’applicazione di dette pene sostitutive, ovvero il consenso prestato alla richiesta del pubblico ministero, implica necessariamente l’accettazione delle prescrizioni che le connotano.

Manifestamente infondata, ancora, risulta la questione di legittimità costituzionale sollevata.

Il ricorrente, infatti, non tiene conto che il lavoro di pubblica l’attività sostitutivo svolge una duplice funzione, rieducativa e risocializzante, mirante al reinserimento del reo nella collettività, ma anche afflittiva, costituendo pur sempre una pena derivante dalla commissione di un reato, come d’altronde sottolineato dalla modifica del nome iuris disposto dalla riforma Cartabia con l’introduzione dell’art. 20 bis cod. pen., e che l’applicazione della misura ha, quale necessario presupposto, l’assenso del condannato che, quindi, ha la possibilità di valutare la congruità e la convenienza della pena sostitutiva rispetto alla pena comminata.

Le prescrizioni comuni previste dall’art. 56 ter citato, ancora, rispondono a esigenze special preventive evidenti, come dimostrano la previsione del comma 2 della norma, e l’art. 58 che consente la sostituzione della pena detentiva solo quando le pene sostitutive assicurino “la prevenzione del pericolo di commissione di altri reati” eventualmente anche mediante l’imposizione di obblighi ulteriori rispetto a quelli preveduti dall’art. 56 ter. 3.

Con riferimento al dedotto contrasto della citata normativa con l’art. 2, prot. 4 Cedu in relazione all’automatismo del divieto ed al conseguente sospetto di illegittimità costituzionale della previsione introdotta dal d.lgs. 150 del 2022, si osserva che le pene sostitutive delle pene detentive, si traducono, secondo il razionale apprezzamento conformativo del legislatore italiano, in una restrizione della libertà personale (si pensi alla esplicita equiparazione di cui all’art. 57, primo comma, I. 689/81, anche in relazione alla possibilità di revoca di cui all’art. 66 della medesima legge) con la conseguenza che risulta infondato l’accostamento operato dal ricorrente sia alla tematica delle pene condizionalmente sospese (questione affrontata da Corte EDU 20 settembre 2016, Vlasov e Benyash c. Russia) sia al tema delle misure cautelari coercitive, ossia ai principi di proporzionalità e adeguatezza ad esse sottesi che hanno condotto la Corte cost. alle conclusioni di cui alla sentenza 109 del 1994.