Innocente (in primo grado) colpevole (in secondo grado): il ribaltamento in appello della sentenza assolutoria di primo grado e l’attuale panorama giurisprudenziale (Riccardo Radi)

La Cassazione penale sezione 2 con la sentenza numero 15953/2025 approfondisce e delinea il panorama giurisprudenziale in materia di ribaltamento in appello della sentenza assolutoria di primo grado.

La Suprema Corte, sottolinea che incombe sul giudice di appello l’onere di offrire una motivazione “rafforzata” che si confronti con gli argomenti posti a sostegno della sentenza di assoluzione.

Tale onere è generale e riguarda anche i casi in cui il compendio probatorio non abbia una struttura dichiarativa, ma si fondi su prove di altra natura.

La Suprema Corte precisa che l’onere di fornire una motivazione rafforzata implica la necessità di effettuare il riesame della decisione assolutoria attraverso la obbligatoria rinnovazione delle testimonianze decisive, chiarendo che l’obbligo di rinnovazione dibattimentale è limitato alle testimonianze (a) relativamente alle quali la “attendibilità intrinseca” dei dichiaranti sia oggetto di una precisa richiesta di rivalutazione del pubblico ministero, su cui grava l’onere di proporre motivi specifici nel rispetto delle prescrizioni contenute nel novellato art. 581 cod. proc. pen., (b) siano “decisive” per la valutazione della responsabilità.

L’obbligo non si estende, invece, alle testimonianze i cui contenuti siano incontestati, ma in relazione alle quali si invoca una diversa valutazione degli elementi di conferma; in relazione a tali testimonianze la rinnovazione è rimessa alla discrezionalità del giudice, che potrà esercitarla nel rispetto delle regole previste dai primi tre commi dell’art. 603 cod. proc. pen.

Sul punto la Cassazione ha affermato, che nella sentenza di condanna che ribalta la decisione assolutoria di primo grado devono essere confutate in via specifica tutte le ragioni poste a sostegno della decisione assolutoria di primo grado, “dimostrando puntualmente l’insostenibilità sul piano logico e giuridico degli argomenti più rilevanti ivi contenuti”, questo perché la motivazione, sovrapponendosi a quella della sentenza riformata, deve dare compiuta ragione delle scelte operate e “della maggiore considerazione accordata ad elementi di prova diversi o diversamente valutati” (cfr., per tutte, Sez. 5, n. 42033 del 17/10/2008, Pappalardo, Rv. 242330, Sez. U. n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231674).

Si tratta di un percorso ermeneutico che trova significative conferme nella giurisprudenza della Corte Edu, che con giurisprudenza consolidata, ha ritenuto non rispettoso delle garanzie convenzionali il processo che si risolva in un ribaltamento dell’assoluzione sulla base di un compendio probatorio cartolare che si presenta “deprivato” rispetto a quello disponibile in primo grado, in quanto carente dell’audizione diretta dei testimoni “già” uditi, dei quali si pretende di rivalutare la attendibilità intrinseca e la credibilità dei contenuti accusatori, senza fare ricorso alla percezione diretta dell’evento dichiarativo (Dan v. Moldavia, Corte Edu, 5 luglio 2011; Manolachi v. Romania, Corte EDU, III sez., 5 marzo 2013; Flueras v. Romania, Corte Edu, III sez., 9 aprile 2013; Corte Edu, III Sez., sent. 4 giugno 2013; Hanuv. Romania, ric. 10890/04; più recentemente Moinescu v. Romania, Corte Edu, III sez. 15.9.2015, Nitulescu v. Romania, Corte Edu, III sez. 22.9.2015; Lorefice v. Italia, Corte Edu, 1 sez., 29 giugno 2017).

Invero il diritto convenzionale valorizza non tanto il diritto dell’imputato ad entrare in contatto con la fonte delle accuse (comunque esercitato nel primo grado di giudizio), quanto il suo il diritto ad una decisione basata su di un percorso valutativo affidabile, che presuppone che il giudice della condanna valuti gli “stessi elementi” a disposizione del giudice dell’assoluzione e, dunque, con specifico riguardo alle prove dichiarative, anche gli elementi di valutazione provenienti dalla comunicazione extraverbale.

Tale panorama giurisprudenziale è stato arricchito da alcuni decisivi arresti delle Sezioni Unite, ma soprattutto dall’intervento legislativo di modifica dell’art. 603 cod. proc. pen., che ha introdotto l’obbligo” della rinnovazione dibattimentale nel caso in cui il giudizio di appello sia promosso dal pubblico ministero ed il proscioglimento deciso in primo grado sia fondato su “motivi attinenti la valutazione della prova dichiarativa“.

Sul versante giurisprudenziale le Sezioni unite hanno anticipato la riforma affermando che l’onere di fornire una motivazione rafforzata implica la necessità di effettuare il riesame della decisione assolutoria attraverso la obbligatoria rinnovazione delle testimonianze decisive (Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta, Rv. 267486), estendendo tale obbligo, prima della riforma c.d. “Cartabia” (che, in relazione all’abbreviato c.d. “secco”, lo ha abolito) anche ai casi in cui si proceda con il rito abbreviato non condizionato (Sez. U. n. 18620 del 19/01/2017, Patalano, Rv. 269786) ed ai casi relativi all’esame del perito; si è infatti affermato che e dichiarazioni rese dal perito o dal consulente tecnico nel corso del dibattimento, in quanto veicolate nel processo a mezzo del linguaggio verbale, costituiscono prove dichiarative, sicché sussiste, per il giudice di appello che, sul diverso apprezzamento di esse, fondi, sempreché decisive, la riforma della sentenza di assoluzione, l’obbligo di procedere alla loro rinnovazione dibattimentale attraverso l’esame del perito o del consulente, mentre analogo obbligo non sussiste ove la relazione scritta del perito o del consulente tecnico sia stata acquisita mediante lettura, ivi difettando la natura dichiarativa della prova (Sez. U, n. 14426 del 28/01/2019, Pavan, Rv. 275112 – 01)

Inoltre, le Sezioni unite hanno offerto una interpretazione “restrittiva” del comma 3-bis dell’art. 603 cod. proc. pen. attraverso l’individuazione di precisi limiti all’obbligo di rinnovazione.

È stato infatti affermato che “l’espressione utilizzata dal legislatore nella nuova disposizione di cui al comma 3-bis, secondo cui il giudice deve procedere, nell’ipotesi considerata, alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, non equivale infatti alla introduzione di un obbligo di rinnovazione integrale dell’attività istruttoria – che risulterebbe palesemente in contrasto con l’esigenza di evitare un’automatica ed irragionevole dilatazione dei tempi processuali -, ma semplicemente alla previsione di una nuova, mirata, assunzione di prove dichiarative ritenute dal giudice d’appello “decisive” ai fini dell’accertamento della responsabilità, secondo i presupposti già indicati da questa Corte nella sentenza Dasgupta.

Coordinando la locuzione impiegata dal legislatore nel comma 3-bis (“il Giudice dispone la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale”) con quelle – del tutto identiche sul piano lessicale – già utilizzate nei primi tre commi della medesima disposizione normativa, deve pertanto ritenersi che il Giudice d’appello sia obbligato ad assumere nuovamente non tutte le prove dichiarative, ma solo quelle che – secondo le ragioni puntualmente e specificamente prospettate nell’atto di impugnazione del pubblico ministero – siano state oggetto di erronea valutazione da parte del giudice di primo grado e vengano considerate decisive ai fini dello scioglimento dell’alternativa “proscioglimento-condanna”” (Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Troise, Rv. 272431, par. 7.2).

A tale rilevante limitazione si associa quella individuata dalla condivisa giurisprudenza che limita l’obbligo di rinnovazione ai casi in cui si invochi la rivalutazione della attendibilità intrinseca delle testimonianze “decisive”, senza estenderlo alle prove dichiarative i cui contenuti siano incontestati, sebbene l’appellante invochi una diversa valutazione dei dati di contesto.

Si è infatti affermato che non sussiste l’obbligo di procedere alla rinnovazione della prova testimoniale decisiva per la riforma in appello dell’assoluzione, quando l’attendibilità della deposizione sia valutata in maniera del tutto identica dal giudice di appello, che si limita ad effettuare un diverso apprezzamento del complessivo compendio probatorio ovvero ad offrire una diversa interpretazione della fattispecie incriminatrice (Sez. 5, n. 33272 del 28/03/2017, Carosella, Rv. 270471; Sez. 5, n. 47833 del 21/06/2017, Terry, Rv. 273553; Sez. 6, n. 49067 del 21/09/2017, Bertolini, Rv. 271503)

In conclusione, può essere affermato che l’obbligo” di rinnovazione dibattimentale è limitato alle testimonianze (a) relativamente alle quali la “attendibilità intrinseca” dei dichiaranti sia oggetto di una precisa richiesta di rivalutazione del pubblico ministero, su cui grava l’onere di proporre motivi specifici nel rispetto delle prescrizioni contenute nel novellato art. 581 cod. proc. pen., (b) siano “decisive” per la valutazione della responsabilità.

L’obbligo non si estende, invece, alle testimonianze i cui contenuti siano incontestati, ma in relazione alle quali si invoca una diversa valutazione degli elementi di conferma; in relazione a tali testimonianze la rinnovazione è rimessa alla discrezionalità del giudice, che potrà esercitarla nel rispetto delle regole previste dai primi tre commi dell’art. 603 cod. proc. pen.

Un commento

  1. Ma questo vale anche nell’appello richiesto dall’avvocato dell’imputato in caso di condanna in primo grado? Se una prova testimoniale difensiva puo’ essere decisiva, si puo’ richiedere di nuovo la testimonianza in fase di appello?

    "Mi piace"

I commenti sono chiusi.